Quantcast
Channel: Cardiologia | Benessere Sport - Migliora la Mente, il Corpo e lo Spirito!
Viewing all 44 articles
Browse latest View live

7/9 Febbraio 2019 – Lucca, Italia – CUORE D’AUTORE

$
0
0


CARDIOLUCCA

Cuore d’Autore

7/9 Febbraio 2019 – Lucca, Italia
Centro Congressi Auditorium San Francesco

ACCREDITAMENTO ECM
MEDICO CHIRURGO (CARDIOLOGI, CARDIOCHIRURGHI, INTERNISTI, MALATTIE METABOLICHE E DIABETOLOGIA, MEDICI DI MEDICINA GENERALE, RIANIMATORI, MEDICINA DELLO SPORT), TECNICO DI FISIOPATOLOGIa CARDIOCIRCOLATORIA E PERFUSIONE CARDIOVASCOLARE

Segreteria Organizzativa Aristea International Srl
Tel. 010 553591 – Fax 010 5535970

e-mail cardiolucca@aristea.com
WEB www.cardiolucca.it

L'articolo 7/9 Febbraio 2019 – Lucca, Italia – CUORE D’AUTORE sembra essere il primo su Sport e Medicina.


26 Gennaio 2019 – Genova, Italia – CUORE E NON SOLO

$
0
0

cuorenonsolo

Cuore e Non Solo

26 Gennaio 2019 – Genova, Italia
Centro Congressi del Porto Antico

ACCREDITAMENTO ECM
4,2 ECM MEDICO CHIRURGO, FARMACISTA, FISIOTERAPISTA, INFERMIERE, TECNICO DELLA FISIOPATOLOGIA CARDIOCIRCOLATORIA E PERFUSIONE CARDIOVASCOLARE, TECNICO SANITARIO DI RADIOLOGIA MEDICA

Segreteria Organizzativa Aristea International Srl
Tel. 010 553591 – Fax 010 5535970

e-mail montorsi@aristea.com
WEB http://www.cuoreenonsolo.org/

L'articolo 26 Gennaio 2019 – Genova, Italia – CUORE E NON SOLO sembra essere il primo su Sport e Medicina.

CERTIFICATO MEDICO, NUOVA CIRCOLARE: NO AI BAMBINI SOTTO I 6 ANNI

$
0
0

Per praticare sport a livello non agonistico, i bambini fino a sei anni non dovranno presentare alcun certificato medico e, tanto meno, l’elettrocardiogramma. Lo prevede una circolare di prossima emanazione da parte del Ministero della Salute, al fine di facilitare l’accesso alle attività motorie per i più piccoli.
Ad annunciarlo, andando incontro alle richieste dei pediatri che avevano denunciato come un eccesso di burocrazia tendesse ad allontanare i bimbi dallo sport, è stato il sottosegretario alla Salute Vito De Filippo, nella risposta all’interrogazione presentata in Commissione Sanità del Senato dalla senatrice Pd Annalisa Silvestro.
Sull’obbligo della certificazione medica, negli ultimi tre anni, si sono “avvicendate” tre leggi, due decreti ministeriali e, a giugno 2015, una circolare di chiarificazione da parte del Ministero. Inoltre una risoluzione della Commissione XII di Montecitorio, seguita ad una lettera aperta delle Associazioni pediatriche italiane.
Ma il caos certificati, non accenna a diminuire, con palestre e piscine che continuano a chiederli anche nei casi in cui l’obbligo è stato eliminato.
“Al fine di promuovere e salvaguardare l’attività motoria nella prima infanzia”, anticipa il Ministero, “da 0 a 6 anni, e fatta eccezione per i casi di bambini con specifici problemi sanitari, tale attività motoria può essere svolta senza alcuno obbligo di certificato sanitario”. Una posizione, aggiunge, “che sarà oggetto di una specifica integrazione alla circolare del giugno 2015”.
(fonte: ministero salute)

Commento di SPORT&MEDICINA:
“PREVENZIONE, PREVENZIONE … CHI ERA COSTEI?
Chi pratica attività sportiva da 0 a 6 anni non può avere malattie … e solo dopo i 60 anni è obbligatorio un controllo cardiologico annuale: questo dicono le norme!
Ma il presidente della Federazione Medico Sportiva Italiana e i presidenti delle Associazioni Medico Sportive delle varie regioni stanno pensando finalmente di intervenire per far capire che la prevenzione è fondamentale e non è solo una “parola” da usare per prendere in giro la gente?!?!?!
Quale bambino non va dal medico una volta l’anno? E allora fare una visita (dal pediatra o dal medico dello sport) e farsi rilasciare un certificato, quale “aggravio” burocratico causerebbe? E magari si potrebbe approfittare della visita per dare indicazioni ai genitori sul tipo di attività sportiva da svolgere e correggere errori di alimentazione e/o postura, migliorando lo stato di salute del bambino e attuando una vera azione preventiva.

Commento di Marcello Cosentino:
“Lo annuncia il Ministero della Salute”: io spero vivamente che si ricordino dell’ultimo decesso in cronaca, quello del bambino di 7 anni che praticava calcio da almeno 2 anni. In quella circostanza, la seconda notizia data era quella della denuncia a carico del Medico che aveva certificato l’idoneità per attività sportiva non agonistica. La caccia alle streghe inizia dal Ministero della Salute a quanto pare, se promuovono delle iniziative così scellerate: non penso che un elettrocardiogramma a riposo o da sforzo di un figlio possano essere un deterrente per i genitori ai fini dell’avvicinamento all’attività sportiva.
E ne vale la sicurezza, non il portafogli, si tratta solo di tagliare prestazioni che spettano di diritto per risparmiare qualcosa.
Faccio il Medico e la visita cardiologica la regaliamo sempre quando sottoponiamo bambini all’ECG da sforzo. A questo punto, promuovete pure il fumo di sigaretta …”.

Commento di Sara Peritonno:
“Che porcheria! Ma allora torniamo indietro ed eliminiamo qualsiasi obbligo di visita sia agonistica che non agonistica: chi vuole fare sport lo faccia come diavolo vuole e se muore muore amen! Lo dico da medico dello sport: preferisco a questo punto dedicarmi all’orto piuttosto che combattere ancora con queste diatribe sterili di chi si apre la bocca con paroloni parlando di prevenzione e poi nemmeno sa che cosa vuol dire fare prevenzione. L’ultima legge sulle certificazioni non agonistiche è ridicola e poi che i pediatri e medici di famiglia promuovono lo sport sembra più una favola o una barzelletta. Aboliamo qualsiasi certificazione e poi vediamo che succede.”

**

L'articolo CERTIFICATO MEDICO, NUOVA CIRCOLARE: NO AI BAMBINI SOTTO I 6 ANNI sembra essere il primo su Sport e Medicina.

26 Gennaio 2019 – Genova, Italia – CUORE E NON SOLO

$
0
0

cuorenonsolo

Cuore e Non Solo

26 Gennaio 2019 – Genova, Italia
Centro Congressi del Porto Antico

ACCREDITAMENTO ECM
4,2 ECM MEDICO CHIRURGO, FARMACISTA, FISIOTERAPISTA, INFERMIERE, TECNICO DELLA FISIOPATOLOGIA CARDIOCIRCOLATORIA E PERFUSIONE CARDIOVASCOLARE, TECNICO SANITARIO DI RADIOLOGIA MEDICA

Segreteria Organizzativa Aristea International Srl
Tel. 010 553591 – Fax 010 5535970

e-mail montorsi@aristea.com
WEB http://www.cuoreenonsolo.org/

L'articolo 26 Gennaio 2019 – Genova, Italia – CUORE E NON SOLO sembra essere il primo su Sport e Medicina.

IL COLESTEROLO NON SI ABBASSA SOLO CON LA DIETA

$
0
0

L’alimentazione è importante, ma per tenere sotto controllo i lipidi occorre praticare attività fisica aerobica e, quando serve, ricorrere a integratori e farmaci.

colesterolo1

Testo di Chiara Caretoni

Che si riceva una email personale o una più tradizionale busta di carta, poco importa: quando ci si ritrova tra le mani l’esito degli esami del sangue, magari svolti semplicemente per monitorare lo stato di salute generale, l’occhio fa una breve scannerizzazione di ciò che ha davanti e immancabilmente si posa sui temuti valori del colesterolo, come se non aspettasse altro che una conferma o una smentita. “Ce l’avrò entro i limiti?” è il quesito che più rimbomba – dal momento del prelievo al ritiro dei referti – nella testa di chi sa, complice il mare magnum di notizie prodotte sull’argomento, che l’ipercolesterolemia può mettere in serio pericolo la salute.
Eppure pochi sanno davvero che cosa sia il colesterolo, a cosa serva veramente, perché in alcuni casi può trasformarsi in un infido nemico e in che modo intervenire per tenerlo a bada. Di per sé il colesterolo, che in gran parte viene sintetizzato dall’organismo e in parte introdotto attraverso l’alimentazione, non è dannoso ma, anzi, è fondamentale per assolvere numerose funzioni fisiologiche. Non solo è una componente imprescindibile delle membrane cellulari, soprattutto del sistema nervoso, ma è anche il precursore di alcuni ormoni, come il testosterone e gli estrogeni, è il materiale di partenza per la sintesi della vitamina D, importantissima per la salute delle ossa, favorisce l’assorbimento di diverse vitamine e contribuisce alla formazione della bile.

I VALORI DA NON SUPERARE

L’uomo, dunque, ha bisogno del colesterolo, che viene trasportato nel sangue grazie a delle strutture chiamate lipoproteine, cioè particelle di lipidi (grassi) e proteine. Si tratta delle HDL (dall’inglese High Density Lipoproteins), considerate “buone” perché trasportano il colesterolo in eccesso dai tessuti periferici al fegato, favorendone l’eliminazione: il valore che le identifica dovrebbe essere uguale o superiore a 50 mg/dl (milligrammi per decilitro di sangue). E poi ci sono le LDL (Low Density Lipoproteins), note come “cattive”, poiché trascinano il colesterolo dal fegato ai tessuti e, durante il tragitto, possono ossidarsi e depositarsi sulla pareti delle arterie. La quantità di colesterolo contenuta nelle LDL dovrebbe mantenersi al di sotto di limiti che variano a seconda dello stato di salute del paziente: sotto i 70 mg/dl nei pazienti che hanno già avuto un infarto oppure un ictus, sotto i 100 mg/dl nei pazienti con diabete o ipercolesterolemia familiare in prevenzione primaria e sotto 115 mg/dl nei pazienti a più basso rischio cardiovascolare. Un eccesso di LDL comporta a lungo andare un concreto rischio che si formino le famigerate placche responsabili del restringimento dei vasi sanguigni.
“Questo fenomeno è deleterio per il sistema cardiovascolare perché le placche ricche di lipidi e proteine sono particolarmente fragili e soggette a rottura, specialmente se l’individuo fuma, è diabetico e soffre anche di ipertensione arteriosa”, spiega Alberico Catapano, professore ordinario di farmacologia all’Università degli Studi di Milano.
“Se la placca si frantuma, il materiale si dissemina e può formare un trombo, cioè un tappo che ostruisce il vaso coinvolto: in questo caso il sangue non riesce a fluire correttamente e gli organi e i tessuti non vengono più irrorati”. Se a chiudersi è un’arteria coronarica, l’individuo può andare incontro all’infarto del miocardio, mentre se il blocco avviene a livello carotideo si può avere un ictus cerebrale.

TROPPO ALTO IN UN ADULTO SU TRE

L’ipercolesterolemia, dunque, è uno dei principali fattori di rischio delle patologie cardiovascolari e, stando ai dati raccolti negli ultimi decenni, rappresenta un problema più che mai attuale per la popolazione italiana. Tra il 1998 e il 2002, infatti, l’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare ha condotto una prima indagine su un campione misto di 9.712 persone di età compresa fra i 35 e i 74 anni, scoprendo che il 20,8% degli uomini e il 23% delle donne erano ipercolesterolemici, cioè avevano i valori del colesterolo totale superiori alla soglia raccomandata (che si aggira intorno ai 200 mg/dl). A distanza di qualche anno, tra il 2008 e il 2012, è stata eseguita una seconda ricerca su 8.710 individui fra i 35 e i 79 anni: in questo caso il colesterolo alto ha interessato il 34,3% degli uomini e il 36,6% delle donne.
Questi dati, che sono piuttosto indicativi, vanno incrociati con quelli relativi alle malattie cardiovascolari, attualmente responsabili del 44% di tutti i decessi: come sottolinea l’Istituto superiore di sanità la cardiopatia ischemica è la prima causa di morte in Italia, seguita dai tumori e dagli eventi cerebrovascolari.

BASTA PUNGERSI UN DITO

“In base alle ultime linee guida stilate dalla Società Europea di Cardiologia (ESC) e dalla Società Europea dell’Aterosclerosi (EAS) nel 2016”, continua Catapano, “è possibile prevenire un’elevata percentuale di eventi cardiovascolari agendo sui suoi fattori di rischio modificabili, tra i quali spicca proprio l’ipercolesterolemia”.
E per abbassare il colesterolo bisogna innanzitutto intervenire su tutto ciò che può portare a un aumento dei suoi livelli e, di conseguenza, alla formazione della placca aterosclerotica: al di là della genetica, sulla quale si può fare ben poco, ci sono infatti alcuni stili di vita in grado di influenzare la colesterolemia.
pungeredito
“Poiché in genere valori elevati di colesterolo non causano alcun sintomo, spesso la persona non sa di avere i parametri fuori dagli standard ottimali e quindi di essere più esposta al rischio cardiovascolare. Quando compaiono i primi disturbi, generalmente la patologia è già conclamata e talvolta non lascia scampo”, conferma Matteo Pirro, direttore della struttura complessa di Medicina Interna dell’Università degli Studi di Perugia. È per questo motivo che lo screening periodico e il monitoraggio costante dei parametri rivestono un ruolo chiave in termini di prevenzione. Stando alle indicazioni della Società Europea di Cardiologia, non esistono criteri condivisi né su quando iniziare i controlli né sulla loro frequenza. Sebbene sia compito del medico di famiglia suggerire un “calendario” cucito su misura su ogni paziente, è comunque raccomandabile che gli uomini intorno ai 40 anni e le donne al di sopra di 50 si sottopongano a una prima indagine.
Tuttavia, questa valutazione andrebbe anticipata (verso i 35 anni nei maschi e i 45 nelle femmine) negli individui con familiarità per ipercolesterolemia ed eventi cardiovascolari in età giovanile e in pazienti diabetici e con arteriopatia periferica.
“Gli strumenti a nostra disposizione per monitorare i valori di questa molecola”, ricorda Pirro, “sono sicuramente gli esami del sangue e i test di autodeterminazione della colesterolemia: con un kit monouso, che può essere acquistato in farmacia e utilizzato autonomamente a casa propria attraverso una piccola digito puntura, è possibile verificare il livello di colesterolo totale e avere un’indicazione iniziale da sottoporre, nel caso fosse necessario, al proprio medico. Sarà quest’ultimo che potrà proporre un eventuale approfondimento di indagini”.

UOVA E LATTICINI ASSOLTI

E se il colesterolo fosse moderatamente elevato, in che modo si può intervenire?
Come suggeriscono le ultime linee guida europee, in questi casi il primo approccio è certamente quello di metter mano all’alimentazione: anche se quello presente nel nostro organismo è in gran parte di origine endogena e solo per una piccola parte proveniente dal cibo ingerito, una dieta bilanciata e varia può comunque contribuire al controllo dei suoi livelli plasmatici.
“Gli alimenti certamente da bandire sono quelli contenenti grassi idrogenati, anche detti grassi trans, che, oltre ad aumentare le LDL, possono diminuire le HDL”, conferma Pirro. Queste molecole, prodotte dalla manipolazione industriale dei grassi, si trovano nella margarina, spesso nei prodotti da forno confezionati e negli alimenti fritti.
Alcuni recenti studi, invece, hanno riabilitato uova, latte e latticini, che fino a poco tempo fa erano considerati nemici della salute: sebbene siano ricchi di colesterolo e grassi saturi, questi cibi contengono anche altri preziosi elementi come calcio e proteine che ne bilanciano l’effetto. Ovviamente l’ipercolesterolemico deve moderare l’assunzione di carni grasse, di insaccati e di oli tropicali particolarmente ricchi di grassi saturi.
“Invece i cibi contenenti fibre e grassi monoinsaturi, omega 3 e omega 6, possono esercitare un effetto benefico sul profilo lipidico e sul rischio cardiovascolare: ecco perché sulle tavole non dovrebbero mai mancare frutta, verdura, legumi, olio di oliva, frutta secca e pesce con lisca”, continua Pirro. “E un elevato introito di fibre è in grado di ridurre i livelli circolanti di colesterolo, attraverso una riduzione del suo assorbimento intestinale”.

BENE NUOTO, CORSA E BICICLETTA

Un altro fattore che può influenzare il colesterolo nel sangue è l’attività fisica. “In genere viene consigliato di praticare attività aerobica, caratterizzata da uno sforzo moderato per un periodo di tempo prolungato, che favorisce l’aumento delle lipoproteine HDL che trasportano il colesterolo dai tessuti verso il fegato, promuovendone l’eliminazione”, aggiunge Catapano. Sebbene i meccanismi alla base di questo fenomeno non siano ancora del tutto chiari, uno studio pubblicato su Exercise and Sports Science Reviews ha ipotizzato che a entrare in gioco sia l’effetto dell’attività fisica sulla produzione e sull’attività di alcuni enzimi coinvolti nel processo di trasporto del colesterolo verso il fegato. Per proteggere la salute cardiovascolare e tenere a bada l’ipercolesterolemia, quindi, l’Organizzazione mondiale della sanità suggerisce di praticare almeno 150 minuti ogni settimana di jogging, nuoto, corsa leggera o ciclismo, suddividendola in sessioni di 20 minuti al giorno.
Inoltre, stando a una ricerca pubblicata nel 2011 su American Heart Journal, anche il fumo sembra stimolare l’aumento delle LDL. L’acroleina, cioè una molecola prodotta durante la combustione delle sigarette, favorirebbe la formazione delle placche e promuoverebbe l’aterosclerosi, legandosi proprio al colesterolo cattivo già depositato sulle pareti delle arterie. “Ecco perché smettere di fumare, soprattutto se si soffre di ipercolesterolemia, è fortemente raccomandato”, conferma il farmacologo.

RISO ROSSO FERMENTATO

Modificare lo stile di vita è sempre un buon inizio, ma spesso è necessario un ulteriore aiuto per raggiungere livelli ottimali di colesterolo. Oltre a seguire una dieta povera in grassi trans idrogenati, ricca di fibre, equilibrata nel contenuto di grassi monoinsaturi, omega 3 e omega 6, praticare attività fisica e smettere di fumare, ci si può affidare ai nutraceutici ipocolesterolemizzanti, cioè integratori alimentari in grado di determinare una riduzione significativa di LDL. “Quello che ha dimostrato una maggiore efficacia duratura nel tempo è il riso rosso fermentato, che deriva dalla fermentazione del comune riso da cucina a opera di un lievito, il Monascus Purpureus”, spiega Pirro. “Questo prodotto contiene la monacolina K, una simil-statina che interferisce con la sintesi di colesterolo; questa sua azione, dovuta alla inibizione di un enzima epatico coinvolto nella produzione di colesterolo, è capace di diminuirne i livelli plasmatici di circa il 20%”. È bene ricordare che gli integratori a base di riso rosso fermentato, che si possono facilmente trovare nelle farmacie per lo più sotto forma di compresse, possono talvolta scatenare alcuni effetti collaterali, come ad esempio piccole alterazioni a livello epatico e dolori muscolari, e dunque sarebbe sempre meglio assumerli con cautela e sotto la supervisione del medico. “Un’altra sostanza anti-colesterolo è la berberina, estratta dalla corteccia e dalle radici della Berberis aristata, capace di aumentare l’eliminazione delle LDL dal circolo in parte perché riesce a diminuire i livelli della proteina PCSK9: quando i livelli di PCSK9 nel sangue si riducono, il fegato mostra una maggiore abilità nel rimuovere le LDL e quindi promuovere la riduzione della colesterolemia”, prosegue Pirro.

STATINE E NUOVI FARMACI

Tuttavia, se gli interventi correttivi dello stile di vita associati all’assunzione di nutraceutici non sortiscono l’effetto auspicato, o se da principio il colesterolo è alto o molto alto, il percorso terapeutico si indirizza necessariamente verso un’azione farmacologica.
“Come suggeriscono le linee guida ESC/EAS 2016, infatti, il trattamento di prima scelta è costituito dalle statine, che sono in grado di ridurre l’incidenza e la mortalità cardiovascolare sia in prevenzione primaria sia nelle persone che hanno già subito infarti o ictus”, conferma Catapano. Questi farmaci, che hanno dimostrato di essere sicuri e ben tollerati, inibiscono la sintesi di colesterolo a livello epatico e svolgono un effetto antinfiammatorio sulla placca aterosclerotica.
Gli studi clinici svolti sulle statine hanno dimostrato che gli effetti collaterali, come ad esempio i dolori muscolari, sono eventi piuttosto rari. Tuttavia alcune persone possono sviluppare un’intolleranza a questa tipologia di farmaci: in questi casi il medico può optare per altre soluzioni terapeutiche, come l’ ezetimibe, che riduce l’assorbimento intestinale del colesterolo, e gli anticorpi monoclonali, che inibiscono l’enzima PCSK9, favorendo l’eliminazione del colesterolo cattivo nel fegato.

cover_colesterolo

LE STRATEGIE ANTICOLESTEROLO

colesterolo4
Per tenere sotto controllo il livello di colesterolo nel sangue sono consigliabili l’attività fisica aerobica, come il ciclismo, e l’assunzione di integratori, quali la berberina, una sostanza estratta dalla corteccia e dalle radici della Berberis Aristata, un arbusto spinoso originario di India, Nepal e Sri Lanka.

colesterolo5Berberis Aristata

LA TAC MULTISTRATO PER DETERMINARE MEGLIO IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE

colesterolo3

Nel novembre scorso l’American Heart Association (AHA) e l’American College of Cardiology (ACC) hanno stilato le nuove linee guida sul trattamento del colesterolo, pubblicate sulle riviste Circulation e Journal of Applied Analysis and Computation. Oltre a rimarcare la necessità di condurre stili di vita adeguati, gli studiosi hanno acceso i riflettori su uno strumento particolarmente utile per predire la malattia aterosclerotica. Si tratta della valutazione del calcio coronarico (CAC score) che, in rapporto all’età dell’individuo, misura la quantità di calcio presente nelle coronarie, ossia nelle arterie che portano ossigeno al cuore. “È un esame importante perché, se il calcio si deposita nelle pareti arteriose, alimenta le placche aterosclerotiche, dando un’indicazione sulla estensione delle lesioni a livello cardiaco”, spiega Alberico Catapano, professore ordinario di farmacologia all’Università degli Studi di Milano. Il test, eseguito per mezzo di Tac multistrato non invasiva, consente dunque di fornire ulteriori informazioni sullo stato di salute del sistema cardiovascolare di un individuo. L’esame, che non rientra nei programmi abituali di screening, viene prescritto dal medico solo in caso di familiarità per ipercolesterolemia, in presenza di altri fattori di rischio cardiovascolari o livelli di colesterolo borderline.

colesterolo-in-eccesso

SI RINGRAZIA OK SALUTE & BENESSERE PER AVER AUTORIZZATO LA RIPRODUZIONE DELL’ARTICOLO

logooksalute

L'articolo IL COLESTEROLO NON SI ABBASSA SOLO CON LA DIETA sembra essere il primo su Sport e Medicina.

CANTA CHE TI PASSA MA E’ MEGLIO SE IMPARI A FARLO

$
0
0

I benefici psicofisici del canto sono documentati dalla scienza. E aumentano quando si padroneggia la tecnica

canta2

Testo di Roberta Camisasca

canta1

Cantare aumenta l’ossigenazione nel sangue – che avviene attraverso i globuli rossi (sopra) grazie all’emoglobina – e sembra diminuire il rischio di ipercolesterolemia e di malattie cardiovascolari.

Cantare sotto la doccia è liberatorio. Anche in auto da soli, a squarciagola, con il volume al massimo. O in un locale di karaoke con gli amici, microfono in mano e testo che scorre sul monitor. Il risultato è sempre lo stesso: una scarica di endorfine, gli ormoni della felicità, che si verifica ogni qualvolta facciamo qualcosa di divertente, che ci rallegra e ci fa stare bene.
«A quasi tutti piace cantare, da sempre e di tutto, dal canto popolare alla canzone leggera, perfino la lirica», conferma Franco Fussi, specialista in foniatria e otorinolaringoiatria, responsabile scientifico del master in vocologia dell’Università di Bologna.
«Si racconta che, durante il Carnevale del 1813 a Venezia, persino i gondolieri fischiettassero il motivo dell’aria “Di tanti palpiti” del Tancredi di Rossini il giorno dopo la sua prima esecuzione.
Partecipare a un’attività corale è socializzante, amplifica l’appartenenza a un gruppo, stimola la creatività e la solidarietà, sviluppa la capacità di relazione interpersonale, riduce l’ansia». Ma perché questo irrefrenabile desiderio di lasciarsi andare? «Durante il canto il cervello rilascia endorfine, che risollevano l’umore e alleviano tristezza e irritabilità, e ossitocina, che aiuta a ridurre l’ansia e aumenta l’autostima».
Una cura naturale, semplice e alla portata di tutti, per ridurre lo stress e dimenticare, almeno per qualche minuto, pensieri e preoccupazioni.

AUMENTA L’OSSIGENAZIONE NEL SANGUE
Anche sulla salute i benefici sono documentati. «Cantare è un’attività aerobica», sottolinea Fussi. «Aumenta l’ossigenazione nel sangue e sembra contribuire alla diminuzione del rischio di ipercolesterolemia e malattie cardiovascolari». I benefici raddoppiano se a una indispensabile dose di entusiasmo si aggiunge la tecnica giusta. Quella che solo un professionista può offrire. Fussi, oltre a essere uno specialista della voce, è anche consulente di importanti teatri italiani e accademie d’arte lirica e canto moderno. Collabora con i più famosi cantanti pop e lirici, da Laura Pausini ad Andrea Bocelli.
«Nel momento in cui l’attività vocale, anche amatoriale, diventa frequente, la mancanza di una preparazione adeguata può provocare danni da surménage o malménage (sovraccarico o mal utilizzo)», spiega. «Una guida professionale non solo aiuta a ottenere il miglior risultato al minor costo, ma protegge la salute e amplifica i benefici psicofisici del canto».
Seguire un corso è l’ideale, magari preceduto da un counseling (consulenza professionale) e da un ciclo di terapia logopedica. Opportuna anche una visita foniatrica, per assicurarsi che l’organo sia in buono stato e non vi siano controindicazioni.
«È come alzare il cofano dell’auto per vedere se il motore è a posto, prima di accenderlo e partire», afferma l’esperto. «La consapevolezza d’uso dello strumento è essenziale anche per un cantante amatoriale: permette di dilettarsi con tutte le tipologie di canto, corale o solistico, pop o classico, di musical theatre o rock, con la garanzia di non procurarsi danni».

UN MIX DI PASSIONE E TALENTO
Ma non si dice sempre che basta la passione? Un esempio su tutti: il soprano Florence Foster Jenkins (1868-1944), famosa per la sua completa mancanza di doti canore. Passò la sua vita a esibirsi, orgogliosa e appagata, nonostante le risa del pubblico e le critiche feroci. Dalla sua storia è stato tratto anche un film con Meryl Streep (Florence, nel 2016).
«Esiste una componente innata, una predisposizione naturale al canto in quanto atto motorio che prevede la coordinazione fra tre apparati: respiratorio, laringeo e risonanziale», chiarisce Fussi. «Si tratta di coordinamento muscolare come per qualsiasi sport ed esistono apparati più favoriti di altri, anche per costituzione tessutale. C’è poi una disposizione detta “sovra segmentale”, cioè la capacità espressiva, il talento personale. Quello che oggi viene chiamato “X Factor”.
Ma queste capacità, per manifestarsi e svilupparsi, hanno bisogno dell’apprendimento di una tecnica solida, attraverso lo studio e l’allenamento».
Lo ha dimostrato anche uno studio delle università di Northwestern e Buffalo di New York, che hanno rilevato, con un esperimento, come gli adulti che imparano a cantare da piccoli perdano questa capacità se smettono di allenarsi. C’è un altro aspetto. «Una percentuale di chi viene definito “stonato” (circa il 4%, ma potrebbero essere di più) soffre in realtà di un disturbo neurologico, l’amusia, causata da un’anomalia cerebrale», svela il foniatra. «Consiste nell’incapacità di comprendere la musica, eseguirla e rispondere emotivamente a essa. Ne soffriva anche Che Guevara: durante una festa, si trovò a ballare un tango mentre in sala stavano suonando musica di tutt’altro genere. Siccome non è un problema che si inquadra facilmente, molti amusici finiscono con l’essere etichettati come stonati. Ma i veri stonati, a differenza degli amusici, percepiscono chiaramente di non azzeccare una nota. È possibile compensare il deficit dell’amusia addestrando le proprie capacità di discriminazione delle frequenze, ma soltanto se il cervello è plastico, come, per esempio, nel caso dei bambini».

L’AIUTO DEL COACH
L’insegnamento del canto non è regolamentato in Italia, per cui nella miriade delle offerte, comprese quelle sul web, è essenziale non affidarsi al caso. «Il titolo non è una garanzia: lo è soprattutto la capacità didattica del professionista», sottolinea lo specialista. «Aver compiuto uno o più percorsi formativi di un certo livello assicura il possesso di una consapevolezza pedagogica accurata.

canta6
Esistono, infatti, specie nel canto moderno, svariate metodologie di approccio, più appropriate per alcuni stili che per altri. Se dopo tre mesi di lezioni vi sono affaticamenti, alterazioni vocali o scarsa progressione tecnica, è il caso di rivolgersi a un altro docente, magari chiedendo consiglio al medico foniatra o al logopedista». Fondamentale l’esercizio a casa. «Per automatizzare una funzione atletica come quella del canto è necessario mantenere l’organo in esercizio quotidianamente, magari per mezz’ora», conclude lo specialista in foniatria. «A chi mi chiede quanto tempo serve, rispondo che non si finisce mai di imparare: anche i grandi artisti continuano il loro lavoro di formazione. Tuttavia, una volta in possesso di una minima base tecnica, si aprono già tante possibilità di espressione. A questo punto si potrà decidere se intraprendere un’attività amatoriale, semi-professionale o professionale».

canta5

Corde vocali: un po’ di anatomia

Le corde vocali sono gli organi centrali nel processo di fonazione: si presentano come ripiegature della mucosa laringea, di colore bianco perla, convergenti tra loro nella parte anteriore e divergenti nella parte posteriore.

canta7

Si trovano nella regione mediana della laringe e costituiscono quella sorta di strettoia che, vibrando, permette la modulazione dell’aria e consente la produzione del suono parlato e cantato. Nella respirazione «normale», le corde restano in posizione distante tra loro per permettere all’aria di passare. Nel processo di fonazione invece si avvicinano formando una stretta fessura attraversata dall’aria che, passando, le fa vibrare, sviluppando un’onda sonora amplificata grazie agli spazi di risonanza, che hanno anche il compito di variare il timbro della voce. La qualità e l’estensione della voce, quindi, dipendono dalla lunghezza e dalla tensione delle corde vocali e dalla loro regolare vibrazione.

Sette regole di manutenzione della voce

Oltre a prevenire le lesioni delle corde vocali legate all’uso continuativo, è importante mettere in pratica misure di prevenzione e igiene utili a mantenerle in salute. Ecco sette regole consigliate da Franco Fussi, specialista in foniatria e otorinolaringoiatria, responsabile scientifico del master in vocologia dell’Università di Bologna.

1- Esegui un controllo laringostroboscopico all’anno e riserva circa un mese all’anno al riposo vocale.
2- Non trascurare raffreddori e piccoli disturbi. La salute delle corde vocali è condizionata dallo stato di salute generale e da eventuali mali di stagione, stress, allergie e affezioni gastrointestinali come il reflusso faringolaringeo che, irritando le corde vocali, impoverisce il timbro.

canta4
3- Bevi molta acqua. Una mucosa disidratata fa in modo che sulla superficie delle corde vocali venga a mancare il film idro-lipidico che mantiene lubrificata la corda e la fa ondeggiare in maniera libera, naturale e senza sforzi. È importante bere in modo continuativo e non solo prima di cantare: l’acqua viene assorbita dall’intestino e passa nella circolazione sanguigna prima di arrivare alle corde vocali. Due litri è la quantità ideale, che si traduce in circa otto bicchieri da distribuire durante la giornata.

canta3

4- Fai gli sciacqui con acqua e sale o bicarbonato di sodio tutti i giorni: rendono la voce più limpida; gli infusi a base di erisimo, detta anche erba del cantante (nella foto sopra), sono invece utili ad alleviare le irritazioni della mucosa. Infine, tenere una garza bagnata sotto al naso serve a inumidire le mucose.
5- Non fumare: chi è abituato alle sigarette presenta corde vocali ingrossate, responsabili di un timbro vocale modificato e difficoltà respiratorie. Anche bevande bollenti e cibi acidi favoriscono irritazione e disidratazione delle corde vocali.
6- Riscalda sempre la voce prima di cantare. Entrare in azione di colpo, da uno stato di freddo iniziale, scatena una reazione protettiva dei muscoli della gola che serve a fronteggiare il rischio di lesione. La lunghezza del riscaldamento dovrebbe essere inversamente proporzionale alla durata della performance: breve in previsione di poche canzoni, fino a un’ora per lunghe sessioni. Alcuni artisti trovano utile eseguire anche un blando riscaldamento ogni mattina.
7- Evita pastiglie balsamiche a base di mentolo ed erisimo che, in stati di normalità, possono creare disidratazione e indurimento della voce. Rischioso anche l’abuso di antidolorifici, che potrebbero mascherare i primi segnali di sforzo vocale.

cantare-con-entusiasmo-di-un-bambino-700x465

 

SI RINGRAZIA OK SALUTE & BENESSERE PER AVER AUTORIZZATO LA RIPRODUZIONE DELL’ARTICOLO

logooksalute

L'articolo CANTA CHE TI PASSA MA E’ MEGLIO SE IMPARI A FARLO sembra essere il primo su Sport e Medicina.

Speciale: IL “CUORE D’ATLETA”

$
0
0

(The “Athlete’s Heart”)

A cura di Luigi Ferritto (1) e Sergio Lupo (2)

(1) Dipartimento di Medicina Generale, Clinica “Athena” Villa dei Pini – Piedimonte Matese (CE)
(2) Istituto di Medicina e Scienza dello Sport – CONI – Roma

Gli atleti agonisti con importanti ambizioni seguono per la preparazione un programma di allenamento sportivo intenso e di lunga durata che provoca sostanziali modificazioni morfologiche e funzionali dell’apparato cardiovascolare, che si instaurano progressivamente e regrediscono con l’interruzione della pratica sportiva.
L’allenamento appare il più importante dei fattori nel provocare i cambiamenti morfologici cardiaci infatti gli atleti praticanti gli sport di endurance presentano un aumento sia dei volumi che della massa del cuore, mentre negli atleti praticanti gli sport di potenza si ha solo un’ipertrofia del miocardio. Anche la funzionalità cardiaca non è esente da modificazioni. Infatti, negli atleti, è caratteristica la bradicardia sinusale, spesso con aritmia sinusale; fino a 1/3 degli atleti possono essere portatori di un blocco atrio-ventricolare di primo grado e di frequente riscontro sono anche i battiti ectopici. È importante la conoscenza della costellazione di modificazioni cardiovascolari negli atleti al fine di evitare erronee diagnosi di cardiopatia.

INTRODUZIONE

In questi ultimi decenni la cultura sportiva ha subito notevoli cambiamenti.
Gli atleti agonisti con importanti ambizioni, infatti, seguono per la preparazione, rigorose schede d’allenamento che comprendono sedute giornaliere di più ore e che portano a vari adattamenti sia a carico dei muscoli scheletrici, sia a carico del sistema cardiovascolare: proprio i cambiamenti che avvengono su quest’ultimo sono conosciuti come “Cuore d’Atleta” (1).
Il lettore, deve però prestate attenzione perché, come su detto, questi adattamenti fisiologici sono propri di atleti di elevato livello agonistico e non di atleti di basso livello o dediti ad attività ludico-ricreativa, dove l’anatomia cardiovascolare non differisce molto dal soggetto sedentario (2).

FIG. 1 – Immagine Ecocardiografica in Quattro Camere Apicale

CLASSIFICAZIONE DELLE ATTIVITÀ SPORTIVE IN BASE ALL’IMPEGNO CARDIOVASCOLARE

Gli esperti della Società Italiana di Cardiologia dello Sport (SICSport), della Federazione Medico-Sportiva Italiana e delle altre associazioni cardiologiche italiane (ANCE, ANMCO, SIC) nella realizzazione dei Protocolli COCIS hanno redatto una classificazione nella quale le attività sportive vengono distinte in cinque categorie:
A) Impegno “minimo – moderato” (frequenze cardiache sottomassimali e caduta delle resistenze periferiche), quali jogging, marcia, ciclismo in pianura, ecc., praticati a livello non agonistico.
B) Impegno di tipo “neurogeno” (aumento della frequenza cardiaca dovuto ad importante impatto emotivo), quali automobilismo, sport di tiro, ecc.
C) Impegno di “pressione” (frequenze cardiache moderatamente elevate e significativo aumento delle resistenze vascolari e della pressione arteriosa), quali sollevamento pesi, corsa di velocità, ecc.
D) Impegno “medio – elevato” (numerosi e rapidi incrementi della frequenza cardiaca e delle resistenze periferiche vascolari, in relazione a brusche interruzioni dell’attività muscolare alternate a fasi di intenso lavoro aerobico), quali calcio, pallacanestro, tennis, ecc.
E) Impegno “elevato” (frequenze cardiache e portate massimali necessarie a sostenere un lavoro intenso e protratto), quali maratona, canottaggio, ciclismo, ecc.
Questa classificazione costituisce per il medico un utile strumento operativo per valutare il grado e l’adeguatezza degli adattamenti cardiovascolari in un soggetto praticante una determinata attività sportiva e il rischio cardiovascolare emodinamico e/o aritmogeno reale o ipotetico (3).

ADATTAMENTI CARDIACI

ECOCARDIOGRAMMA
(Si ringrazia per il filmato il Dottor Fernando DI PAOLO Istituto di Medicina e Scienza dello Sport del CONI)

Nel corso degli ultimi anni sono stati numerosi gli studi che hanno contribuito ad individuare le modificazioni indotte dall’esercizio fisico sull’apparato cardiovascolare e a definire il concetto di “Cuore d’atleta”.
Tali studi, inizialmente basati su dati clinici, radiologici ed elettrocardiografici, si sono avvalsi in tempi più recenti di metodiche più innovative e sofisticate quali l’ecocardiografia coi i suoi molteplici campi di interesse e la risonanza magnetica, che hanno consentito di effettuare una valutazione non solo morfologica, ma anche funzionale dell’apparato cardiovascolare nel soggetto allenato.
Tra i fattori che inducono le modificazioni che nell’insieme caratterizzano il “cuore d’atleta”, l’allenamento appare il più importante nel provocare i cambiamenti morfologici tra cui l’incremento delle dimensioni delle camere cardiache sinistre, del setto interventricolare, della massa e degli apparati valvolari, ma influiscono anche il genotipo (fattori ereditari), l’età e l’epoca di inizio dell’attività sportiva (4).

FIG. 2

– VENTRICOLO SINISTRO

I meccanismi che provocano modificazioni della morfologia del ventricolo di sinistra negli atleti sono molteplici, ma il tipo di sport ha una particolare importanza: gli sport di resistenza (ciclismo, sci di fondo, canottaggio e canoa) hanno il maggiore impatto nell’ingrandire la cavità ed aumentare lo spessore delle pareti mentre gli atleti praticanti sport di potenza (sollevamento pesi o lanci) presentano un ispessimento delle pareti ventricolari.
Gli atleti praticanti discipline di “endurance” presentano dimensioni delle pareti e/o delle cavità ventricolari al di sopra dei limiti normali, tanto da simulare una condizione patologica, quale la cardiomiopatia ipertrofica (quando lo spessore delle pareti è > 13 mm) o la cardiomiopatia dilatativa (quando la cavità ventricolare sinistra è > 60 mm).
Il meccanismo causale di un così importante rimodellamento cardiaco è rappresentato dall’aumento della portata cardiaca (che durante sforzo supera i 30 l/min) e della pressione arteriosa sistolica (che durante sforzo supera i 200 mmHg).

FIG. 3 – Immagine Ecocardiografica in B-Mode e M-Mode (Ciclista aa. 28)

La dilatazione della cavità ventricolare sinistra negli atleti, soprattutto quelli praticanti sport di resistenza, può arrivare nel 15% dei casi sino a 70 mm, che verosimilmente rappresenta il limite fisiologico dell’ingrandimento indotto dall’allenamento (valori medi ottenuti da autori diversi sono compresi tra 54 mm e 63 mm). L’ingrandimento della camera ventricolare avviene in modo globale ed omogeneo, per cui la normale geometria ventricolare non è alterata, così come lo spessore delle pareti che è normale o aumentato (5, 6). Nella cardiopatia dilatativa, anche se le dimensioni assolute della cavità ventricolare possono presentare valori simili all’atleta, non raramente il diametro traverso diastolico supera i 70 mm, si verifica un rimodellamento geometrico del ventricolo che tende ad assumere un aspetto globoso, lo spessore delle pareti può essere normale, con il rapporto h/r (spessore relativo) usualmente ridotto (< 0.30) ed è presente una disfunzione contrattile del miocardio (4).
Gli atleti praticanti sport di potenza (sollevamento pesi o lanci) presentano un ispessimento delle pareti ventricolari, che è conseguenza del carico di pressione cui vanno incontro durante l’allenamento (la pressione sistolica supera abitualmente i 200 mmHg, talora anche i 300 mmHg), mentre la cavità ventricolare sinistra non si modifica sensibilmente (7).

FIG. 4 – Immagine Ecocardiografica in Asse Corto del Ventricolo di sinistra

Generalmente l’ispessimento delle pareti ventricolari negli atleti ben allenati non supera i 15 mm (2% degli atleti), che rappresentano il limite dell’ipertrofia fisiologica indotta dall’allenamento (valori medi ottenuti da autori diversi sono compresi tra 12 mm e 13 mm). Nel cuore d’atleta la distribuzione dell’ipertrofia è simmetrica e regolare anche se i diversi segmenti del miocardio ventricolare possono non essere ispessiti in modo uguale (il setto anteriore mostra generalmente il massimo ispessimento) ma le differenze sono modeste (< di 2 mm) e nell’insieme l’ipertrofia risulta simmetrica ed omogenea (8). Al contrario, nei pazienti con cardiopatia ipertrofica, l’ipertrofia è tipicamente asimmetrica e, anche se il setto interventricolare è la regione più spesso coinvolta dall’ipertrofia, esiste una eterogeneità morfologica e non sono rari i casi in cui il massimo ispessimento interessa solo altri segmenti del ventricolo (6).
Gli atleti praticanti sport di squadra, infine, presentano variazioni della morfologia cardiaca usualmente più lievi, a ragione del carico emodinamico più modesto (7).
Caratteristiche del ventricolo sinistro nel “Cuore d’atleta” sono delle trabecole fibrose o fibro-muscolari tese tra le sue pareti, definite false corde tendinee per differenziarle dalle vere corde: generalmente sono tese tra setto interventricolare e parete laterale, in vicinanza dell’impianto dei muscoli papillari (2).

ECOCARDIOGRAMMA ATLETA CANOTTAGGIO
(Si ringrazia per il filmato il Dottor Fernando DI PAOLO Istituto di Medicina e Scienza dello Sport del CONI)

– FUNZIONE SISTO-DIASTOLICA DEL VENTRICOLO SINISTRO

Una delle caratteristiche particolari del Cuore d’Atleta è che all’aumento della massa miocardica fa riscontro l’assoluta normalità degli indici funzionali.
La Funzione sistolica espressa mediante la frazione di eiezione ventricolare sinistra del “Cuore d’Atleta”, misurata ecocardiograficamente o con altre metodiche, risulta nella norma (F.E.% 60-65) (2) mentre la funzione diastolica è nettamente aumentata e migliorata negli atleti, tanto che il riempimento ventricolare appare già completo in protodiastole.
Il ventricolo nel “Cuore d’Atleta” esprime un elevato coefficiente di distensibilità nella fase protodiastolica in cui sembra completarsi quasi interamente il riempimento ventricolare stesso: non è raro che durante l’esercizio la velocità del flusso transmitralico superi quella transvalvolare aortica (9).
Tutti gli studi sulla funzione diastolica nel cuore fisiologicamente ipertrofico hanno dimostrato velocità massime d’incremento delle dimensioni del ventricolo sinistro e di assottigliamento parietale normali o superiori alla norma, con un ampio volume di riempimento ventricolare protodiastolico e, in condizioni di riposo, un contributo marginale della sistole atriale (rapporto E/A>2). Il miglioramento dei parametri di funzionalità diastolica si associano ad un aumento delle dimensioni e delle performance ventricolari.
Il rilasciamento isovolumetrico è prolungato nelle forme patologiche d’ipertrofia, mentre è sempre nell’ambito della normalità nell’ipertrofia fisiologica (4).

– ATRIO SINISTRO

Anche l’atrio sinistro, che riceve il sangue ossigenato dai polmoni, non è esente da modificazioni morfologiche. Infatti negli atleti di fondo non è difficile evidenziare un ingrandimento superiore alla norma (valori medi ottenuti da autori diversi sono compresi tra 36 mm e 42 mm) (10).

– CAVITÀ CARDIACHE DI DESTRA

Analogamente le camere cardiache di destra subiscono un aumento proporzionato del volume; molti studi dimostrano che negli atleti di endurance si verifica un aumento del volume di circa il 25% e della massa di circa il 37%, rispetto a soggetti sedentari (11). L’ecocardiografia standard ha evidenziato come anche il ventricolo destro partecipi al processo di ingrandimento del “Cuore d’Atleta”, con aumento delle dimensioni interne e dello spessore della parete libera. La complessità della struttura tridimensionale del ventricolo destro, associata alla sua caratteristica dinamica di contrazione non concentrica ma prevalentemente longitudinale, alla localizzazione retrosternale della camera cardiaca e alla cooperazione dinamica con il setto interventricolare, determina notevoli difficoltà nell’analisi della cinetica globale e segmentarla di tale ventricolo con l’ecocardiografia tradizionale.
La partecipazione delle sezioni destre del cuore è testimoniata anche dall’incremento consensuale nell’atleta di endurance del calibro della vena cava inferiore, con normale collassabilità inspiratoria, fenomeno strettamente correlato all’ingrandimento dei diametri cavitari del ventricolo di destra (4).

– RIGURGITI VALVOLARI

La prevalenza di rigurgiti valvolari negli atleti è molto alta, infatti il 90% presenta un jet di rigurgito ad almeno una valvola e il 20% presenta un jet di rigurgito a tre valvole (12).
Questi rigurgiti valvolari “fisiologici” sono possibili in corrispondenza di tutte e quattro le valvole cardiache, ma con frequenza estremamente variabile e in assenza di alterazioni strutturali (2)

FIG. 5 – Immagine Ecocardiocolordoppler di Rigurgito Mitralico di grado insignificante (rigurgito fisiologico)

Questo fenomeno sembra legato all’aumento del tempo di allenamento e associato al fisiologico ingrandimento delle camere cardiache e generalmente non ha alcun significato emodinamico (13, 14, 15).
Raramente un ecocardiografista esperto non è in grado di effettuare una diagnosi differenziale tra un rigurgito valvolare fisiologico e patologico.
Nei rigurgiti “fisiologici”:
– è assente qualsiasi alterazione strutturale valvolare,
– non si osservano fenomeni di turbolenza ed “aliasing” al Doppler,
– l’area di rigurgito è limitata alla zona mediana immediatamente sottovalvolare, con rilievo del segnale Doppler fino e non oltre a 1-2 cm da essa (2, 16).

– INFLUENZA DEI FATTORI COSTITUZIONALI NEL RIMODELLAMENTO CARDIACO

Le dimensioni cardiache sono il risultato non solo dell’influenza dello sport praticato ma anche delle caratteristiche costituzionali dell’atleta e del grado di risposta cardiaca all’allenamento.
È noto da tempo che le dimensioni cardiache sono in relazione con le dimensioni corporee in tutti i mammiferi. Nell’uomo esistono i nomogrammi che permettono di predire le dimensioni cardiache in base al rapporto tra peso corporeo, superficie corporea, statura ed età (6).
L’età rappresenta un altro fattore determinante le dimensioni cardiache, è comune osservare come il passaggio dall’adolescenza all’età adulta si accompagna ad un aumento progressivo delle dimensioni cardiache (in particolare dello spessore delle pareti ventricolari). Ciò sembra legato ad un aumento delle dimensioni corporee ed al progressivo incremento dei carichi di lavoro negli allenamenti effettuati dagli atleti (17).
Anche il sesso ha influenza sull’adattamento morfologico cardiaco.
Le atlete, quando paragonate ai maschi della stessa età e praticanti le stesse discipline sportive, presentano dimensioni minori sia della cavità (circa – 10%) che dello spessore delle pareti ventricolari (circa – 20%). Queste differenze sono legate ad una serie di fattori, tra cui i principali sono la taglia corporea (e la percentuale di massa magra) mediamente più piccola nelle donne, l’aumento più modesto della portata cardiaca e della pressione arteriosa sistolica durante lo sforzo e, non ultimo, il più basso livello di ormoni androgeni naturali (18,19). Le differenze nella morfologia cardiaca tra atleti ed atlete hanno notevole importanza clinica: infatti gli uomini possono sviluppare una ipertrofia delle pareti ventricolari sino a 15 o 16 mm, mentre al contrario le donne raramente superano gli 11 mm. Pertanto, il problema della diagnosi differenziale tra “Cuore d’Atleta” e cardiomiopatia ipertrofica non si pone usualmente nelle atlete (7).
Recentemente è stato suggerito che un ruolo importante nel rimodellamento cardiaco possa spettare anche ai fattori genetici (20, 21).
Sebbene tale ipotesi sia assai attraente, al momento esiste una conferma solo per quanto riguarda l’enzima ACE (che controlla il livello della pressione arteriosa e può presentarsi nelle isoforme D/D, I/I e I/D) ed altri enzimi del sistema renina-angiotensina-aldosterone. È stato dimostrato che i soggetti che hanno il pattern ACE di tipo D/D e I/D , all’esercizio fisico, rispondono con un aumento della massa ventricolare sinistra significativamente maggiore (rispettivamente 42 g e 38 g) in confronto a quelli con pattern I/I (2 g) (22).

– ADATTAMENTI PERIFERICI

È logico che anche il sistema circolatorio, costituito da vasi arteriosi e venosi, debba adattarsi a questa nuova realtà. In altri termini la circolazione deve essere potenziata al fine di consentire lo scorrimento di flussi sanguigni così elevati senza “rallentamenti”.
A seguito dell’allenamento di resistenza, si ha un aumento delle arterie coronarie che nutrono il cuore. Il cuore dell’atleta, aumentando il suo volume e la massa muscolare, ha bisogno di un maggior rifornimento di sangue e di una maggiore quantità di ossigeno (23).
L’aumento del calibro delle coronarie costituisce un altro degli elementi che differenziano l’ipertrofia fisiologica del cuore da quella patologica legata alle malattie cardiache congenite o acquisite. Negli atleti c’è la possibilità di visualizzare i tratti iniziali dell’arteria coronaria di destra e sinistra e di misurarne il calibro, in modo non invasivo mediante l’ecocardiografia, e in alcuni casi anche di evidenziarne la biforcazione in discendente anteriore e circonflessa. Tale fenomeno nell’atleta è dovuto all’aumento del calibro stesso delle coronarie, proporzionale all’aumento della massa miocardica, e al prolungamento della diastole dovuto alla bradicardia (4).
I vasi arteriosi e venosi di medio e grosso calibro aumentano le loro dimensioni (“vasi d’atleta”): questo fenomeno è particolarmente evidente nella vena cava inferiore, il vaso che riporta al cuore il sangue proveniente dai muscoli degli arti inferiori, utilizzati molto nei vari sport.
A carico della microcircolazione, gli adattamenti più importanti riguardano naturalmente i muscoli (particolarmente i muscoli più allenati).
I capillari, attraverso i quali avvengono gli scambi tra sangue e muscolo, sono distribuiti in maggior misura attorno alle fibre muscolari rosse, lente, a metabolismo aerobico (fibre ossidative), che hanno bisogno di una maggiore quantità di ossigeno (23).
Nell’atleta di resistenza, con l’allenamento si realizza un aumento in assoluto del numero di capillari e del rapporto capillari/fibre muscolari.
Tale fenomeno è conosciuto con il nome di “capillarizzazione” e grazie ad esso, le cellule muscolari vengono a trovarsi nelle migliori condizioni per sfruttare a pieno le aumentate disponibilità di ossigeno e substrati energetici. L’aumento della superficie capillare e della capacità di vasodilatazione delle arteriole muscolari, fa sì che i muscoli riescano ad accogliere quantità di sangue veramente notevoli senza che aumenti la pressione (24).

– TRAINING E DETRAINING

In numerosi studi, la valutazione ecocardiografica dell’ipertrofia ventricolare sinistra ha dimostrato che, sia nel corso del periodo di allenamento (training), che dopo la sua interruzione (detraining), possono verificarsi modificazioni molto rapide delle dimensioni e dell’ipertrofia del ventricolo sinistro.
In tempi relativamente brevi, sia i fondisti (osservati per 7 settimane), che i nuotatori (osservati per 10 settimane), hanno presentato rapide modificazioni sia delle dimensioni che dell’ipertrofia ventricolare, con aumenti delle dimensioni cavitarie sinistre sino a 15 mm al termine dello studio.
Durante la fase di detraining, sia i nuotatori che i fondisti hanno evidenziato un progressivo ridimensionamento delle dimensioni telediastoliche delle cavità cardiache sinistre.
Non è ancora accertato se le più evidenti modificazioni osservate negli atleti di resistenza regrediscano rapidamente, ma è possibile che, dopo un lungo periodo di adattamento, tali modificazioni regrediscano molto più lentamente (25).
Tuttavia in studi recenti si è evidenziato che il rimodellamento cardiaco in seguito a decondizionamento è più evidente negli atleti che praticano attività sportiva da meno anni rispetto agli atleti che praticano attività sportiva da più anni, infatti in questi persistono una sostanziale dilatazione ed ispessimento delle pareti delle camere anche dopo il periodo di detraining (26).

ESAME OBIETTIVO

La Pressione Arteriosa sistemica differisce di poco tra gli atleti allenati a sport di endurance e le persone normali non allenate. I polsi carotidei negli atleti, specie quelli praticanti sport di endurance, sono iperdinamici, fenomeno verosimilmente dovuto alla bradicardia e all’aumentata gittata sistolica. L’impulso ventricolare sinistro è spostato, ingrandito e di tipo iperdinamico. È frequentemente presente un terzo tono (dovuto al riempimento ventricolare rapido protodiastolico); è meno comune un quarto tono (più facilmente udibile con l’aumento del tempo di riempimento diastolico e un torace sottile).
Un soffio sistolico eiettivo sul margine sinistro dello sterno, di intensità 1-2/6, può essere auscultato fin nel 50% degli atleti e spesso diminuisce d’intensità al passaggio dalla posizione supina a quella ortostatica (27).

VALUTAZIONE DEL RITMO CARDIACO DELL’ATLETA

Lo studio dell’elettrocardiogramma dell’atleta ha sempre appassionato i cardiologi fin dalle prime interpretazioni dell’elettrocardiografia.
Molte sono le modificazioni dell’elettrocardiogramma descritte negli atleti e spesso considerate innocente effetto dell’allenamento, tuttavia alcune modificazioni, quali l’aumento marcato di voltaggio delle onde R o S, un sopraslivellamento del tratto ST, l’inversione dell’onda T, la presenza di onde Q profonde, potrebbero suggerire la presenza di una cardiomiopatia ipertrofica o cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro. Al momento attuale il significato clinico di tali alterazioni in atleti peraltro sani, non è ancora ben definito, non è chiaro cioè se tali anomalie ECG siano la prima espressione di una cardiomiopatia che si svelerà in un tempo successivo, oppure siano semplice espressione del rimodellamento morfologico cardiaco indotto dall’allenamento. In realtà solo una piccola percentuale di atleti che mostrano alterazioni marcate dell’ECG presentano, alla verifica ecocardiografica, anomalie, mentre la maggioranza di essi sono risultati “falsi positivi”(7) .

FIG. 6 – Prevalenza di alcune Bradiaritmie nel gruppo di Atleti e nel gruppo di Controllo (sedentari)

Numerosi sono stati gli studi epidemiologici condotti sulla prevalenza delle diverse aritmie cardiache negli sportivi.
Tra le aritmie più frequenti negli atleti rispetto alla popolazione sedentaria si evidenzia: le bradicardie sinusali, i ritardi di conduzione atrioventricolare e le tachiaritmie.

– BRADICARDIA SINUSALE

La bradicardia sinusale è l’espressione peculiare dell’elettrocardiogramma dello sportivo ed è talora caratterizzata da valori a riposo anche inferiori ai 40 bpm.
È più frequente negli atleti praticanti sport di resistenza ad elevato livello agonistico.

FIG. 7 – Bradicardia Sinusale (43 bpm) in atleta

Generalmente la bradicardia sinusale, se non è accompagnata da sintomatologia sincopale e se è normalizzata dall’esercizio fisico, viene inquadrata nel cosiddetto adattamento “ipervagotonico” all’allenamento fisico intenso e, nella maggioranza dei casi, non pone problemi di idoneità allo sport agonistico.
Molti studi hanno documentato che un allenamento intenso e duraturo è in grado di modificare l’equilibrio simpatovagale in senso vagale, inducendo la predominanza della componente parasimpatica. Tale effetto è particolarmente evidente in quelle regioni cardiache che maggiormente risentono della prevalenza del tono vagale, come il nodo del seno ed il nodo atrioventricolare. È probabile che alcune bradicardie molto marcate siano l’espressione anche di una componente genetico – costituzionale e vadano seguite attentamente nel tempo. Le bradicardie estreme dell’atleta devono essere distinte dalle bradicardie espressione di una iniziale disfunzione sinusale, soprattutto in età adulta e avanzata, nella quale l’evenienza di una malattia del nodo del seno è cronologicamente più probabile (28).
Per una diagnosi differenziale tra Bradicardia estrema e iniziale disfunzione sinusale nell’atleta è utile ricordare che nelle bradicardie “fisiologiche” si evidenzia:
– Assenza di pause sinusali maggiori di 3,5 secondi
– Scomparsa della bradicardia durante test da sforzo e dopo disallenamento
– Assenza di sintomi di tipo sincopale.

– RITARDI DELLA CONDUZIONE ATRIOVENTRICOLARE

L’ipervagotonia indotta dall’allenamento può essere considerata il primum movens patogenetico anche per queste forme di bradiaritmia.

FIG. 8 – Blocco Atrio-Ventricolare di 1° grado

Si tratta generalmente di blocchi atrioventricolari di 1° grado o di 2° grado tipo Mobitz 1, con espressione tipicamente notturna e con completa normalizzazione dopo test da sforzo massimale o dopo periodo di disallenamento.
Una particolare attenzione deve essere posta ai casi di blocco atrioventricolare già evidente in giovane età che non si associano ad un intenso condizionamento fisico o ai casi presenti in età adulta, soprattutto se si tratta di blocco atrioventricolare di grado avanzato od associato a blocco di branca (28).

– TACHIARITMIE: ARITMIE SOPRAVENTRICOLARI

La prevalenza dei battiti prematuri sopraventricolari nell’atleta è molto variabile (intorno al 30%) da casistica a casistica e generalmente non assume rilevanza clinica né compromette l’idoneità all’attività sportiva agonistica.
Di interesse maggiore sono le varie forme di tachicardia parossistica, di flutter o di fibrillazione atriale parossistica. Nello sportivo tali tachiaritmie rappresentano un importante problema, in seguito al cardiopalmo che provocano, soprattutto quando tale sintomo accade durante lo sforzo fisico. Per fortuna questi episodi sono molto rari nello sportivo, con una prevalenza del 1%.
Il sintomo del cardiopalmo nell’atleta è sostenuto dalle seguenti aritmie: tachicardia da rientro atrioventricolare (50%); fibrillazione atriale (25%); flutter atriale (13%); tachicardia da rientro atrioventricolare da via anomala occulta e tachicardia atriale (6,2%).
La fibrillazione atriale, anche se rara negli atleti, assume un particolare rilievo epidemiologico nell’atleta sintomatico per cardiopalmo. Essa può essere correlata sia ad un ipertono neuro – adrenergico e, quindi, scatenata dallo sforzo fisico, sia concomitante ad un forte input vagale. Generalmente, la fibrillazione atriale “vagale” è in relazione al grado di allenamento e scompare dopo un congruo periodo di disallenamento. Negli atleti che presentano episodi di fibrillazione atriale deve essere esclusa una cardiopatia, un distiroidismo e la presenza di pre-eccitazione cardiaca (6).
Particolare attenzione deve essere posta alla Sindrome di Wolff-Parkinson-White nell’atleta e al rischio ad essa connesso di poter determinare frequenze ventricolari elevatissime, inefficaci dal punto di vista emodinamico, con conseguente fibrillazione ventricolare e morte improvvisa. Questa eventualità tragica è correlata ad elementi intrinseci al fascio anomalo, alla situazione cardiaca generale e alla potenzialità aritmogena del gesto atletico (6).

– TACHIARITMIE: ARITMIE VENTRICOLARI

Le aritmie ventricolari nell’atleta apparentemente sano rappresentano una delle tematiche più controverse nell’ambito della cardiologia dello sport. Tale problematica può essere riassunta in alcuni punti fondamentali:
– La prevalenza di battiti ectopici ventricolari isolati nello sportivo è molto frequente ed è stimabile tra il 35% e il 50%.
– È spesso difficile identificare un substrato organico come causa dell’aritmia, anche nelle forme più maligne.
– Non esistono ancora studi longitudinali per poter stabilire un follow-up adeguato.

FIG. 9 – Extrasistolia Ventricolare

Sono sempre più frequenti gli studi che documentano la presenza di un substrato organico associato all’aritmia, come minime anomalie a carico dell’infundibolo ventricolare destro, miocarditi in fase di remissione, cardiopatia aritmogena del ventricolo destro ed altre forme minori di cardiopatia. In tal senso lo sforzo fisico è generalmente inquadrabile come fattore scatenante od aggravante l’aritmia.
Sulla base di queste osservazioni è utile proporre un iter valutativo dell’atleta con aritmie ventricolari, articolato nei seguenti punti:
– scrupolosa ricerca di una cardiopatia organica associata all’aritmia
– attento studio aritmologico degli atleti sintomatici per sincope o cardiopalmo
– cautela nell’indicazione e prescrizione di metodiche invasive negli atleti aritmici asintomatici, nei quali manca un vero end-point elettrofisiologico, a causa della difficoltà di attribuire ad una aritmia inducibile, potenzialmente aspecifica, un rischio reale di morte improvvisa
Vale la pena sottolineare che tra le forme più pericolose rientrano proprio quelle aritmie ventricolari che, per assenza di ripercussioni sulla performance, consentono di praticare lo sport ad alto livello, esponendo l’atleta ad un reiterato rischio.
Negli atleti andranno considerate in modo benigno quelle forme “occasionali” di aritmie ventricolari, non ripetibili e non associate allo sforzo fisico.
Una delle forme di più frequente riscontro nell’atleta è l’aritmia ventricolare ad origine dal cono di efflusso della polmonare od infundibolare destra che assume il caratteristico aspetto a “tipo blocco di branca sinistro”. Questa aritmia è spesso cancellata dallo sforzo fisico, è raramente associata ad una cardiopatia ed ha una prognosi benigna (6) .

EVENTI POTENZIALMENTE TEMIBILI NELL’ATLETA

– MORTE IMPROVVISA DA SPORT

Per Morte improvvisa (MI) da esercizio fisico si intende una morte repentina ed inaspettata, non traumatica che si verifica in relazione temporale con l’attività sportiva, in genere entro un’ora dall’inizio dei sintomi.La prevalenza della MI risulta più elevata nei maschi, nei soggetti in età adulta/avanzata e nei pazienti con cardiopatia anche se clinicamente silente. Verosimilmente, la minor prevalenza della MI durante l’esercizio fisico nelle donne rispetto agli uomini trova spiegazione nella scarsa partecipazione delle prime ad attività fisiche ad impegno elevato cardiovascolare e nella minore espressione fenotipica di alcune cardiopatie di origine genetica o aterosclerotica nel sesso femminile.
Anche il tipo di esercizio ha importanza nella prevalenza della MI: nei pazienti con cardiopatia nota l’incidenza di MI risulta più bassa durante l’attività fisica di intensità moderata e controllata. Nonostante l’attività fisica, sia nel giovane che nell’anziano, aumenti le probabilità di MI di origine cardiovascolare rispetto allo stato di riposo, il rischio assoluto di MI indotto dall’esercizio rimane, comunque, basso (in Italia l’incidenza di MI nella popolazione generale giovanile risulta pari a 2.62/100000 nei maschi e pari a 1.07/100000 nelle femmine).
Le patologie, anche silenti, dell’apparato cardiovascolare rappresentano la causa della stragrande maggioranza di MI da esercizio ed incidono in maniera diversa in base all’età dei soggetti, infatti mentre nei giovani al di sotto dei 35 anni prevalgono le cardiopatie congenite o di origine genetica (cardiomiopatia ipertrofica, origine anomala delle arterie coronarie, cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro), nei soggetti in età adulta/avanzata la causa più frequente è rappresentata dall’aterosclerosi coronarica.
La patogenesi della morte improvvisa è legata prevalentemente ad un disturbo del ritmo cardiaco (fibrillazione ventricolare, blocco atrio-ventricolare completo, prolungato arresto sinusale), mentre risultano meno frequenti le cause emodinamiche, quali la rottura di un aneurisma aortico o l’embolia polmonare (29).

– SINDROMI CORONARICHE ACUTE

Una percentuale variabile dal 4% al 18% avviene durante o subito dopo un’attività fisica intensa ed il periodo più a rischio è quello compreso tra la fine dell’esercizio e l’ora immediatamente successiva.
Il rischio di infarto miocardico acuto è sensibilmente minore negli individui che si allenano regolarmente e durante attività fisica bassa o moderata, mentre aumenta nei soggetti già cardiopatici.
Verosimilmente, uno dei meccanismi attraverso cui l’esercizio può favorire il verificarsi di una sindrome coronarica acuta è la rottura di una placca aterosclerotica vulnerabile, in seguito allo stress emodinamico, che innescherebbe fenomeni trombotici e vasospastici (29).

SCREENING CARDIOLOGICO PREVENTIVO

L’esercizio fisico può scatenare eventi acuti cardiovascolari tra i quali i più temibili sono la morte improvvisa e le sindromi coronariche acute. La probabilità che si verifichino eventi cardiovascolari durante esercizio fisico è più elevata nei pazienti affetti da cardiopatia, nei soggetti in età adulta/avanzata, in quelli sedentari e con fattori di rischio cardiovascolare e quando l’attività fisica è praticata ad intensità elevata.
La probabilità, invece, è minore quando l’attività fisica è praticata a bassa intensità e nei soggetti che si allenano regolarmente. Il meccanismo attraverso cui l’attività fisica abituale esercita questo effetto protettivo nei confronti degli eventi acuti cardiovascolari ed in particolare della morte improvvisa, è legato probabilmente ad una maggiore stabilità elettrica del miocardio, con riduzione del rischio di aritmie ventricolari fatali. Allo scopo di ridurre il rischio di eventi cardiaci avversi, quindi, risulta importante eseguire un adeguato screening preventivo ed avviare i soggetti ad un graduale e progressivo condizionamento fisico, soprattutto se hanno cardiopatia nota, età avanzata, o fattori di rischio coronario.
L’ECG, insieme con la storia clinica, rappresenta il primo gradino di ogni indagine non invasiva, allo scopo di identificare malattie cardiache a rischio di instabilità elettrica.
Il “golden standard” nella diagnosi della maggior parte delle malattie strutturali del cuore è l’ecocardiografia, che è un eccellente mezzo di diagnosi non invasiva per lo studio sia della morfologia che della cinetica ventricolare sinistra (30).
Ogni individuo, quindi, che si accinge ad iniziare una attività fisica regolare dovrebbe essere sottoposto, preventivamente, ad una attenta valutazione cardiologia che deve essere ancora più accurata in caso di atleti, visto i grossi carichi di lavoro effettuati.
È pensiero comune che attraverso un adeguato screening preventivo, si possa ridurre la probabilità di eventi cardiovascolari avversi, in modo da godere dei benefici dell’attività fisica senza incorrere nei rischi ad essa associati.
Scopo dello screening preventivo è quello di evidenziare l’esistenza di cardiopatie clinicamente silenti in soggetti apparentemente sani, nonché in caso di cardiopatia clinicamente accertata, stratificare il rischio associato alla pratica dell’attività sportiva ed attivare gli interventi terapeutici necessari (29).

CONCLUSIONI

Il cuore, essendo un muscolo, subisce delle variazioni come risposta funzionale alle sollecitazioni dell’allenamento. Grazie ai meccanismi dell’anabolismo proteico, in seguito ad un allenamento costante si ha una prevalenza dell’anabolismo sul catabolismo, con un conseguente aumento delle strutture fondamentali del cuore, le miofibrille, e quindi, anche condizionato dall’età e dal sesso, l’allenamento induce un ingrandimento delle dimensioni cardiache ed un aumento della massa cardiaca (6).
Negli ultimi anni si è verificato un enorme incremento della popolarità di molti sport. Ne è derivato un aumento del numero di soggetti che giungono all’osservazione del medico presentando gli effetti cardiovascolari dell’allenamento.
La conoscenza delle modificazioni cardiovascolari negli atleti è essenziale per evitare erronee diagnosi di cardiopatia.

**

L'articolo Speciale: IL “CUORE D’ATLETA” sembra essere il primo su Sport e Medicina.

IL CUORE DEL BAMBINO

$
0
0

di Armando Calzolari
Specialista in Cardiologia e Medicina dello Sport

La Cardiologia Pediatrica ha avuto un grande sviluppo negli ultimi cinquanta anni, sia per le nuove scoperte della Medicina, sia per la possibilità, da parte degli operatori, di poter usufruire di apparecchiature anche molto sofisticate. Questo ha reso possibile formulare diagnosi prima impossibili da realizzare, di intraprendere terapie mediche e chirurgiche, dare una speranza di vita a molti pazienti e migliorare la loro vita di relazione (per esempio, la correzione chirurgica di molte cardiopatie congenite o acquisite, o il trattamento medico e/o chirurgico delle aritmie).
Da un punto di vista del medico, l’approccio al paziente pediatrico è diverso rispetto a quello che si ha per l’adulto: è necessaria sempre la presenza di un genitore non solo per motivi legali ma anche per aiutare il medico ad eseguire una corretta anamnesi. Il bambino spesso non è in grado di riferire i sintomi, è spaventato dalla presenza del medico e spesso rende difficile il suo operato.
La visita cardiologica ha lo scopo di valutare le condizioni cardiovascolari del paziente e, tra l’altro, quello di interpretare correttamente, con l’ascoltazione, l’attività cardiaca e l’eventuale presenza e natura di rumori aggiunti (soffi). Gran parte dei pazienti in età pediatrica presenta, all’ascoltazione del cuore, un rumore di soffio che nella maggior parte dei casi è musicale, variabile con la postura e privo di significato organico. Nei casi dubbi è indicato eseguire l’ecocardiogramma mono 2D color-Doppler, possibilmente su suggerimento dello specialista cardiologo. La visita deve essere completata dalla misurazione della pressione arteriosa, effettuata con bracciale di idonea dimensione rispetto all’arto del paziente in esame (la larghezza del bracciale non deve superare i 2/3 della lunghezza del braccio del paziente); spesso, proprio la mancanza di un bracciale di dimensione idonea fornisce valori della pressione arteriosa non veritieri con il risultato di porre diagnosi errate, creare inutili allarmismi, sottoporre il paziente ad ulteriori indagini ingiustificate. L’ipertensione arteriosa in età pediatrica è un fenomeno molto più frequente di quanto non si creda e trova le sue cause, tra l’altro, in fattori genetici, renali, endocrini, cardiovascolari. Una causa può derivare dal restringimento dell’aorta (es. coartazione aortica) e per questo si raccomanda di palpare sempre, nel corso della visita cardiologica, le arterie femorali del paziente.
L’elettrocardiogramma è un esame importante; con questo si esamina l’attività elettrica del cuore, il ritmo, la frequenza e la morfologia del tracciato può evidenziare anomalie altrimenti non evidenziabili (ad esempio la pre-eccitazione ventricolare).
Per questo motivo viene eseguito alla nascita ed è indicato che venga eseguito prima di un intervento chirurgico o in corso di una semplice visita di controllo.
A questo proposito è necessario sottolineare l’importanza di eseguire gli esami cardiologici prima della pratica di un’attività fisica; se è ludica, il pediatra può compilare un certificato di buona salute, dopo aver fatto eseguire al bambino un elettrocardiogramma. Se è agonistica, compatibilmente con l’età, è necessario inviare il bambino/adolescente al medico dello sport il quale deve sottoporlo a visita, elettrocardiogramma a riposo e dopo sforzo (Step test x 3’), esame spirografico e prendere visione di un referto dell’esame delle urine. Per conoscenza di chi può essere interessato a tale argomento, il bambino/adolescente deve essere accompagnato da un genitore il quale deve consegnare al medico dello sport la richiesta della società sportiva alla quale è iscritto il proprio figlio, con indicata la disciplina per la quale deve essere dichiarato idoneo. Quanto detto si riferisce a bambini e adolescenti sani.
Se nel corso della visita emergono fenomeni patologici (palpitazioni, sincopi, aritmie,ecc.) è necessario eseguire esami più approfonditi, da stabilire di volta in volta. Nel caso di bambini affetti da patologia cronica è necessario eseguire una valutazione più complessa mirante a stabilire le reali condizioni del paziente al fine di fargli praticare l’attività fisica più adatta nella maniera più sicura possibile. Preme sottolineare come nel nostro Paese la legge sulla tutela sanitaria dell’attività sportiva sia molto severa, efficace nel prevenire, per quanto possibile, incidenti cardiovascolari in chi la pratica, e presa ad esempio in molti altri Paesi.
La diagnostica cardiologica pediatrica non invasiva prevede l’esecuzione dell’ecocardiogramma; può essere eseguito in epoca pre-natale con lo scopo di evidenziare eventuali anomalie congenite; in epoca neonatale se il bambino è portatore di una cardiopatia congenita; in epoche successive, per controllare l’evoluzione di una cardiopatia congenita e/o acquisita, o di un sospetto diagnostico da chiarire. Ovviamente, non è possibile elencare in questa sede tutte le indicazioni ad eseguire l’esame. Un principio dovrebbe essere quello che, essendo un esame di secondo livello, dovrebbe essere suggerito dal cardiologo. Da sottolineare, per i non addetti ai lavori, che mentre l’elettrocardiogramma esamina l’attività elettrica del cuore, l’ecocardiogramma mira a studiare l’anatomia cardiaca, flussi e volumi, il funzionamento delle valvole; quindi i due esami si integrano.
La valutazione funzionale cardiocircolatoria prevede l’esecuzione della prova da sforzo al cicloergometro o al tappeto rotante; molte sono le indicazioni per eseguire questo esame: tra queste, la presenza di un sintomo (palpitazioni, lipotimia, facile affaticabilità, ecc.), la necessità di definire la reale capacità funzionale di un paziente sano o malato, il comportamento di ritmo e frequenza cardiaca e pressione arteriosa sotto sforzo. È un esame da eseguire in ambiente protetto, da personale esperto pronto a intervenire in caso di necessità. Nell’ambito dell’età pediatrica, si deve ricordare che l’età e la statura in piedi del bambino sono due elementi importanti per optare per la bicicletta o il tappeto: camminare/correre è più facile che non pedalare e quindi il tappeto è più adatto per i bambini più piccoli, cosi come lo è per i bambini di bassa statura che non sono in grado di pedalare perché la bicicletta è, per loro, di dimensioni troppo grandi.
Ormai da molti anni, anche in età pediatrica si è compresa l’importanza di valutare il paziente non solo a riposo ma anche nel corso della normale vita di relazione: esaminare un paziente in uno studio medico è in molti casi limitativo perchè non si riesce a formulare una diagnosi corretta. Oltre alla sindrome da camice bianco, la situazione ambientale, lo stress connesso alla visita stessa, sono tutti elementi che possono falsare il giudizio del medico.
Per questo motivo, si eseguono l’elettrocardiogramma dinamico delle 24 ore (secondo Holter) e la registrazione dinamica della pressione arteriosa per 24 ore. Nel primo caso si studia il ritmo del cuore, il suo comportamento elettrico nel corso di una normale giornata (scuola, sonno, gioco). Nel secondo caso, si studia il comportamento della pressione arteriosa sempre nel corso della normale vita di relazione.
L’Holter è di grande aiuto nell’evidenziare l’eventuale presenza di fenomeni aritmici anche misconosciuti e nella diagnosi e corretta gestione di queste patologie. Come detto, l’ipertensione arteriosa in età pediatrica ha un’incidenza non trascurabile; per questo, la registrazione dinamica della pressione arteriosa è di grande ausilio nel valutare il reale comportamento della stessa in un piccolo paziente sempre nel corso di una normale giornata.
Non bisogna dimenticare, che questi esami creano comunque e sempre disagio al piccolo paziente; per questo motivo vanno suggeriti solo se veramente necessari. Non ci si deve dimenticare che si parla di soggetti in età evolutiva ai quali, se possibile, bisogna evitare stress derivanti da esami clinici e strumentali magari superflui o inutili.
Negli ultimi anni la pratica dell’attività fisica in età pediatrica ha subito modifiche profonde: se in passato si privilegiava l’attività spontanea negli oratori, anche per strada, oggi la sedentarietà è un fenomeno in grande espansione. Ma in contemporanea, chi pratica attività fisica spesso la pratica a livelli intensi, spesso agonistici. Ormai vi sono molti bambini /adolescenti che sono sottoposti a carichi di lavoro psico-fisico così importanti da sembrare adulti. Da ciò ne deriva la necessità di sottoporre questi “atleti” a esami molto accurati. L’aritmologia pediatrica ha compiuto negli ultimi decenni grandi progressi nella diagnostica e cura delle aritmie; tutto questo ha portato a una maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione di fenomeni potenzialmente fatali, tramite accurati esami diagnostici, anche invasivi, e terapie adeguate.
Anche in tal caso, come dovrebbe essere sempre nella pratica medica, la gestione di questi pazienti deve essere fatta da medici esperti nel settore i quali siano in grado di agire con perizia e prudenza, eseguendo o facendo eseguire gli esami necessari a formulare una diagnosi corretta.
Come in tutte le branche specialistiche della pediatria, lo scopo principale è quello di aiutare i piccoli pazienti a vivere nel modo migliore i primi anni della loro vita; una normale vita di relazione associata alla pratica regolare di attività fisica, sono elementi che contribuiscono a migliorare la qualità della loro vita.

Prof. Armando Calzolari
Già Primario nell’Ospedale Pediatrico del Bambino Gesù, è responsabile del servizio di Diagnostica Specialistica Pediatrica – BIOSdiagnostica – Via D. Chelini 39, Roma

**

L'articolo IL CUORE DEL BAMBINO sembra essere il primo su Sport e Medicina.


CONTENERE IL RISCHIO DI IPERTENSIONE ARTERIOSA

$
0
0

Alessandra Fabretto
Specialista in Cardiologia

Le malattie cardiovascolari (CV) sono la più frequente causa di invalidità e di morte nei paesi industrializzati. Non è nota la causa scatenante di infarto o ictus, le maggiori patologie CV, ma conosciamo i loro fattori di rischio: una serie di patologie che spesso si presentano nello stesso paziente, sono correlate fra loro e riconoscono frequentemente cause comuni.
Al rischio concorrono vari fattori come la familiarità per malattie cv, l’obesità, la vita sedentaria, il fumo, lo stress, il diabete, i livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue.
L’ipertensione arteriosa (IA) dunque è la maggiore causa del rischio CV globale. La normalizzazione della pressione comporta quindi la riduzione del rischio CV, la possibilità cioè che ha un individuo di andare incontro a eventi cv maggiori nei 10 anni successivi alla valutazione.
La pressione arteriosa in un uomo sano deve mantenersi intorno a valori di 120/80 mmHg, solitamente più bassi nei giovani o nelle donne in età fertile, con variazioni in relazione all’attività fisica, allo stato generale dell’organismo, ma sempre entro limiti ben definiti.
Al mantenimento di un buon equilibrio pressorio collaborano in ogni istante molti fattori, sia all’interno dell’apparato cardiovascolare, sia esterni ad esso: neurologici, ormonali, fattori che regolano altre funzioni metaboliche. Ma se questi fattori si alterano per cause note, per malattie intercorrenti o per fattori sconosciuti, osserviamo il progressivo aumento della pressione arteriosa in modo inappropriato, sottoponendo cuore e vasi a un lavoro molto maggiore di quello fisiologico normale. Ne consegue, con il tempo, il deterioramento dei cosiddetti organi bersaglio: reni, cervello, ecc., sia per quel che riguarda la funzione sia l’anatomia. L’IA è l’aumento della pressione oltre i 135/85 mmHg, fino a valori anche molto più elevati.
Si hanno vari livelli di ipertensione: da ipertensione borderline, a lieve, moderata, severa, fino all’ipertensione maligna. Nell’IA esiste una predisposizione genetica, ma al suo sviluppo possono concorrere numerosi fattori fisici e ambientali. Significa che se uno o entrambi i genitori sono ipertesi i figli hanno alte probabilità di sviluppare l’ipertensione. E maggiore e più precoce può essere lo sviluppo della malattia e le sue complicanze quanti più fattori di rischio ha il paziente. In questo caso è indispensabile conservare entro i limiti della norma gli altri fattori di rischio noti e controllabili.

L’incidenza dell’IA è statisticamente in continuo aumento negli ultimi 20 anni nel mondo occidentale, come a loro volta sono in aumento le sue complicanze: infarto e ictus. La comunità scientifica, intesa come ricerca medica e come aziende farmaceutiche, è intensamente attiva nella ricerca delle cause dell’IA e nell’individuazione di terapie sempre più precise e con minori effetti collaterali.
Nell’ultimo congresso italiano sull’IA è emerso un dato nuovo di estrema importanza sia scientifica sia pratica: alla base di tutta la terapia anti-ipertensiva c’è la sana igiene di vita. Questa dovrebbe essere in realtà la base di tutta la moderna medicina per tutte le malattie: la prescrizione di qualunque terapia farmacologica deve essere preceduta e affiancata dalla correzione degli errori nelle norme igieniche di vita.
Nella società moderna occidentale c’è la tendenza alla vita sedentaria, all’alimentazione abbondante con conseguente aumento del peso corporeo, all’assunzione di sale in eccesso (sopratutto nei cibi preconfezionati), al consumo di caffè, a uno stress cronico che induce una produzione abbondante di adrenalina.

Il raggiungimento di questi obiettivi equivale alla somministrazione di un farmaco anti-ipertensivo: come se il paziente assumesse già una terapia.
Equivale a dire che in un paziente borderline o affetto da ipertensione di grado lieve il raggiungimento di questi obiettivi può far scendere la pressione tanto da permettere la sospensione, almeno temporanea, della terapia, mentre in un paziente in politerapia può significare la riduzione della quantità di pillole.
Alcuni pazienti sono spaventati dal luogo comune che una volta iniziata l’assunzione della terapia anti-ipertensiva, questa dovrà essere continuata per tutta la vita: non è così. Se messe in azione queste norme igieniche possono ridurre la pressione arteriosa e controllare eventuali patologie associate fino alla possibile riduzione del rischio cv e la possibile sospensione della terapia farmacologica.
Le statistiche hanno evidenziato che un soggetto con un fattore di rischio ha scarse probabilità di andare incontro ad eventi cv maggiori, ma aumentando il numero di fattori, la probabilità di andare incontro a infarto miocardico o ictus aumenta in modo consistente (vedi la “Carta del Rischio cardiovascolare“).
Nel 48% dei casi in Italia i pazienti ipertesi non raggiungono un sufficiente abbassamento della pressione arteriosa: non si ottengono cioè con la terapia i valori pressori raccomandati dalle linee guida della società europea dell’ipertensione, fino a una vera riduzione del rischio CV. Questo può accadere per molti motivi: scarsa aderenza alla terapia da parte del paziente, dimenticanze nell’assunzione dei farmaci, rari controlli medici, ecc.

Sia nell’uomo che nella donna la percentuale di insufficiente controllo risulta sovrapponibile e questo dato, anche se analizzato per tutte le regioni italiane, cresce ulteriormente nel resto della popolazione europea.

NORME IGIENICHE DI VITA
(poche, chiare e fondamentali)

CALO PONDERALE

La riduzione di peso comporta la riduzione della quantità di tessuto adiposo, che contrariamente a quanto si credeva in passato, non è un tessuto inerte, ma è pari a un organo metabolicamente attivo, sede di deposito e di scambi di sostanze che nella fattispecie hanno profonde implicazioni nella regolazione della pressione arteriosa. Inoltre il lavoro a cui viene sottoposto il cuore per l’irrorazione di una massa corporea maggiore è più elevato di quello fisiologico normale. A questo aggiungiamo che negli obesi il tessuto adiposo non è solo sottocutaneo e non si riduce ad un fatto estetico: depositi adiposi si ritrovano in tutto il corpo, compresa la zona intorno al cuore.

SPORT

Lo sport da solo non fa perdere peso, ma aiuta a mantenere una corretta igiene alimentare. L’attività muscolare comporta l’attivazione di vie metaboliche diverse da quelle adottate in una vita sedentaria con la mobilizzazione e la produzione di sostanze che dilatano i piccoli vasi, stimolano l’attività cardiaca e la produzione di nuovi vasi coronarici, bruciano il colesterolo in eccesso nel sangue. Inoltre aiuta la propriocezione e motiva a mantenere una dieta più equilibrata. Questo comporta oltre che un minor rischio cv in generale, una funzione cardiaca migliore, la riduzione di adrenalina disponibile, e altri benefici.

RIDURRE L’ASSUNZIONE DI SALE

Il sodio è già contenuto nei cibi freschi. L’aggiunta di sale come cloruro di sodio durante la preparazione dei cibi o il consumo di alimenti precotti che ne contengono molto comporta l’assunzione di un eccesso di sale. Questo sovraccarica il lavoro dei reni, dando false informazioni ai sensori che attraverso vari meccanismi fanno alzare la pressione. Inoltre l’eccesso di sale nel sangue comporta anche l’eccesso nella saliva con una minor percezione dei sapori e la susseguente aggiunta di ulteriore sale. La progressiva riduzione del consumo e l’eliminazione del suo eccesso nel corpo, nel sangue e nella saliva, porta al recupero dei sapori originali dei cibi. Per quantificare uno studio recente ha dimostrato che la riduzione di 1 grammo di sale comporta in media un calo di 7 mmHg di pressione.

RIDURRE L’ASSUNZIONE DI CAFFÈ

Il caffè è un potente stimolatore del sistema nervoso, non solo centrale, ma anche delle terminazioni periferiche. Esso stimola il metabolismo, il livello di allerta neurologico e altre funzioni. A livello cardiaco aumenta la frequenza e la pressione arteriosa. Il decaffeinato visto spesso come un escamotage, ha gli stessi effetti sul sistema CV; oltre alla molecola usata per spostare la caffeina, esistono molte altre sostanze attive in una tazzina di caffè. Un caffè al giorno può essere benefico; un eccesso può essere un vero tossico.


Dott.ssa Alessandra Fabretto
Specialista in Cardiologia
Responsabile del Servizio di Prevenzione e Terapia dell’Ipertensione
BIOS SpA – Via D. Chelini 39 – Roma

**

L'articolo CONTENERE IL RISCHIO DI IPERTENSIONE ARTERIOSA sembra essere il primo su Sport e Medicina.

ASCOLTARE MEGLIO IL CUORE …

$
0
0

di Giuseppe Luzi

stetoscopio
È, insieme al camice bianco, uno dei simboli del medico. Consente di essere utilizzato come un emblema, quasi magico, della professione.
Parliamo dello stetoscopio/fonendoscopio.
È il sogno iniziale per ogni studente di Medicina. Metterselo sul collo e “girare” nei reparti con aria professionale … Ma è probabile che molti medici ignorino la storia dello stetoscopio/fonendoscopio, che è ricca di evoluzioni nel tempo.
La storia racconta che lo stetoscopio (vedremo poi la differenza tra i due termini, anche se oggi correttamente si dovrebbe usare solo il lemma fonendoscopio) fu inventato da Renè Theophile Hyacinthe Laennec nel 1816. Sembra che l’invenzione nascesse da un certo imbarazzo derivato dalla necessità di auscultare il petto di una giovane (piuttosto obesa).
Per il contatto diretto dell’orecchio sulla cute venne arrotolato un quaderno formando una sorta di cilindro cavo. Ebbene, Laennec realizzò che appoggiando un’estremità del quaderno arrotolato sul torace e collocando il proprio orecchio all’altra estremità del cilindro, si potevano ascoltare meglio, amplificati, i rumori provenienti dagli atti respiratori del polmone e quelli originati dall’attività cardiaca. Il nome stetoscopio, letteralmente vuol dire guardare dentro il petto, e ha origine da due parole greche: stethos “petto” e skopé “guardare”.
Il primo “vero” modello dello strumento era costituito da un cilindro di legno che aveva un piccolo tunnel all’interno. Nel corso degli anni vari cambiamenti, proposti da diversi autori, portarono alla costruzione di nuovi stetoscopi, utilizzando oltre a legno altre sostanze di metallo, avorio o plastiche.
È stato anche ideato uno stetoscopio biauricolare, che però non deve essere confuso con il fonendoscopio che si usa comunemente ai nostri giorni. Infatti il fonendoscopio ha una capsula di metallo che racchiude una membrana vibratile. Questa membrana viene applicata dal medico sui punti da esaminare. La capsula si collega quindi con uno o due tubi flessibili lungo i quali “viaggiano” le onde sonore.
In termini concettuali gli strumenti sono un po’ la stessa cosa e differiscono perché il fonendoscopio ha la membrana vibratile nella capsula mentre lo stetoscopio ne è privo. Gli stetoscopi monoaurali hanno avuto un lungo periodo di applicazione nell’ambito dell’ostetricia (prevalentemente per il rilievo del battito fetale). Il loro uso ai nostri giorni è stato del tutto sostituito dall’impiego di strumenti che usano l’effetto Doppler.
René Theophile-Hyacinthe Laennec (1781-1826) è stato un medico francese dalla vita avventurosa e sfortunata. La madre morì di tubercolosi quando aveva cinque anni e necessariamente, essendo il padre non in grado di seguirlo perché impegnato nella professione di avvocato, venne affidato a uno zio medico nella città di Nantes.
Dopo un certo periodo di esperienza come chirurgo militare si spostò a Parigi ed ebbe contatti con alcuni importanti clinici del tempo. Si dedicò con impegno all’anatomia patologica e nel giugno del 1804 si laureò.
L’invenzione dello stetoscopio prese forma presso l’Ospedale Necker di Parigi. Come riportano diverse fonti alla base della scoperta c’è il forte spirito di osservazione di quest’uomo, intelligente e pronto a correlare le informazioni. Sembra che una mattina avesse visto alcuni ragazzi giocare in modo insolito. Uno di loro poggiava l’orecchio all’estremità di una pertica lunga e sottile. Un altro ragazzo, collocatosi all’altra estremità, utilizzava uno spillo facendo piccole percussioni. Incuriosito dal gioco fu invitato a provare come fosse possibile ascoltare in modo netto e forte il rumore, altrimenti impercettibile, dello spillo.
Fu posta una lapide che ricorda, presso l’ospedale Necker, l’introduzione di questo essenziale strumento dell’attività medica: l’auscultazione.

stetoscopio3

Laennec comunicò la sua invenzione all’Accademia delle Scienze e successivamente venne pubblicato il libro “Trattato sull’auscultazione mediata”. Il pregio del suo studio è consistito nell’aver esaminato le diverse sintomatologie, utilizzando il suo strumento, e in particolare aver meglio caratterizzato le patologie del polmone.
I primi stetoscopi, costruiti dallo stesso Laennec erano di cedro e di ebano.

stetoscopio1
stetoscopio2

Il suo trattato non venne accolto immediatamente con favore ed ebbe, al solito, come accade frequentemente nel mondo medico e della ricerca scientifica in generale, detrattori. L’impegno del lavoro e le polemiche contribuirono a far peggiorare la salute di Laennec che morì in Bretagna, nel 1826, di tubercolosi.
Negli anni Quaranta del XX secolo due autori, Rappaport e Spragne, idearono un modello di fonendoscopio particolarmente efficace, che consentiva di distinguere i suoni ad alta frequenza da quelli a bassa frequenza. Attorno agli anni Sessanta poi, il celebre David Littmann, docente ad Harvard, costruì un modello ancora migliore (ideazione del diaframma modificabile).
Arrivando ai nostri giorni, l’evoluzione tecnica ha consentito di produrre fonendoscopi con sistemi di trasduzione delle onde sonore, in gradi di ridurre le interferenze “esterne”. In particolare, il XXI secolo vede l’introduzione dei fonendoscopi elettronici (fonendoscopi in grado di amplificare elettronicamente i suoni e quindi anche di registrarli).

soffio-cuore

Giuseppe Luzi, prof. associato di Medicina Interna, svolge attività di consulenza in qualità di medico internista e specialista in Immunologia Clinica – BIOSdiagnostica

**

L'articolo ASCOLTARE MEGLIO IL CUORE … sembra essere il primo su Sport e Medicina.

POWELLNUX – Alimento Multifunzionale Naturale

$
0
0

powellnux

Il nuovo e innovativo programma di allenamento naturale con l’alimento multifunzionale, Powellnux.
Emanuele Blandamura, sfidante al titolo mondiale Boxe dei pesi medi, ha deciso di seguire il progetto Powellnux seguito dal suo trainer e dal suo cardiologo il prof. Valerio Sanguigni, ideatore della miscela alimentare funzionale brevettata Powellnux.

POWELLNUX, IL BUONO CHE FA BENE

sanguigni

La miscela antiossidante Powellnux con base di cacao scuro, nocciole, tè verde, nata da uno studio del cardiologo prof. Valerio Sanguigni, sperimentata inizialmente come gelato e poi brevettata, a breve acquistabile online in crema e barrette, è un innovativo integratore naturale, che concilia salute e gusto. Consigliato anche agli sportivi per il miglioramento della performance fisica, sarà protagonista al Riminiwellness in programma a Rimini dal 1 al 4 giugno.
Efficace sull’ipertensione arteriosa, riduce lo stress ossidativo e l’invecchiamento, migliora la funzione vascolare e la performance fisica. Sono i tre punti di forza della innovativa miscela antiossidante brevettata da Vera Salus Bio con il nome di “Powellnux”, ai quali se ne aggiunge un quarto, non trascurabile: il sapore. Visto che Powellnux è gustosa e piacevole al palato, come poche volte accade per un prodotto salutare. L’idea della miscela antiossidante con base di cacao scuro, nocciole, tè verde, sperimentata inizialmente come gelato, nasce grazie ad uno studio del prof. Valerio Sanguigni, cardiologo e docente di Medicina interna all’Università di Roma Tor Vergata e da sempre attento ai fenomeni di invecchiamento della popolazione. “Partendo da studi condotti su popolazioni centenarie, siamo arrivati, sempre attraverso studi scientifici, a dimostrare che la somministrazione della miscela alimentare alla base di Powellnux – spiega Valerio Sanguigni – determina un evidente effetto acuto di riduzione dello stress ossidativo e miglioramento della funzione vascolare e performance fisica in gruppo di soggetti sani, determinando, anche in soggetti con ipertensione, una riduzione della pressione arteriosa”.

VIVERE BENE A LUNGO

Valerio-Sanguigni-Powellnux-1

Vivere a lungo è importante, è quello a cui tutti ambiscono. Ma la differenza, spesso, non la fa quanti anni si riesce a vivere, ma come. Per farlo, o almeno per provarci, c’è un solo modo: investire sulla propria salute. E’ questa la filosofia del Prof. Valerio Sanguigni, cardiologo e docente di Medicina interna all’Università di Roma Tor Vergata. «Le malattie cardiovascolari, soprattutto infarto del miocardio e ictus cerebrale, sono la prima causa di morte nel mondo, circa il 40%» spiega Sanguigni. Numeri che non hanno bisogno di alcuna interpretazione, e che mettono in evidenza come uno stile di vita sano sin da giovani possa favorire una vecchiaia più lunga.
La ricerca della longevità pone delle domande fondamentali in campo medico: la prima cosa da fare è cercare di capire perché in certe popolazioni è così frequente trovare persone molto anziane in buona salute. Gli abitanti di Vicabamba (Ecuador), Hunza (Kashmir), Tibet, Abcasi (Caucaso), Giappone (Okinawa) e altre zone del mondo sono famosi per la grande percentuale di ultracentenari senza malattie. Diversi studi hanno dimostrato che le ragioni di questa longevità sono legate alle abitudini di vita, sopratutto alimentari. Le persone in quei posti consumano grandi quantità di frutta e verdura, che contengono polifenoli e antiossidanti, capaci di ridurre i danni dei radicali liberi dell’ossigeno, di far arrivare più ossigeno agli organi del corpo e quindi di rallentare l’invecchiamento. Proprio per queste proprietà, si è visto che chi mangia frutta e verdura almeno 5 o 6 volte al giorno, e pratica attività fisica regolare, riduce del 30% la possibilità di malattie cardiovascolari.
Il Prof. Sanguigni, sulla scorta di queste osservazioni, ha cercato di far adottare ai suoi pazienti uno stile di vita in grado di prevenire le malattie. «Se un dottore prescrive una terapia senza intervenire sullo stile di vita, spesso non ottiene i risultati sperati» rivela. Tanti anni a contatto con i pazienti nel suo studio di Roma gli hanno insegnato l’importanza di instaurare un rapporto di fiducia ed empatia perché, spiega, «ogni prescrizione terapeutica è come un vestito, va fatto su misura. Troppo spesso, invece, si dà la stessa cura a pazienti che hanno patologie molto diverse tra loro».
Proprio per questo motivo Valerio Sanguigni dedica gran parte della sua giornata ad ascoltare e cercare di capire le persone che si trova davanti, le loro abitudini, il loro stile di vita. Il suo obiettivo è di creare un rapporto di confidenza con i pazienti, tale da permettere loro di aprirsi e di discutere dei propri problemi senza remore, mettendosi sullo stesso piano.
Ma se osservazione e ascolto sono fondamentali per un buon dottore, c’è un altro aspetto che va coltivato e che deve andare di pari passo: lo studio. La medicina evolve in maniera molto rapida, quindi occorre tenersi sempre aggiornati sulle novità e le scoperte che avvengono nel mondo. «Il contatto con i pazienti e l’aggiornamento professionale rappresentano i due aspetti fondamentali del lavoro di qualunque medico. E’ una associazione basilare, bisogna saper tenere insieme questi due elementi».
Valerio Sanguigni e Powellnux Esperienza e conoscenza dei pazienti significa anche saper analizzare i dati offerti dalle più innovative strumentazioni tecniche per capire se muoversi in una direzione o in un’altra. La tecnologia offre oggi un gran numero di dati, un patrimonio inestimabile che deve però essere valorizzato: «Spesso c’è un eccessivo tecnicismo diagnostico, si rimandano i pazienti da un esame all’altro, a volte inutilmente. La bravura del medico – spiega Sanguigni – sta nell’analisi e nell’interpretazione dei dati che le macchine gli forniscono. E’ questo il valore aggiunto che deve essere in grado di dare».

Laurea in Medicina all’Università La Sapienza di Roma con una tesi sulla valutazione ecocardiografica degli atleti professionisti, specializzazione in Cardiologia, docente alla facoltà di Medicina dell’Università di Roma Tor Vergata, autore di numerose pubblicazioni sulle principali riviste scientifiche internazionali: il curriculum parla da solo, ma l’attività di Valerio Sanguigni non si ferma all’ambito medico e accademico.

Valerio-Sanguigni-Powellnux-2

Proprio grazie alla sua grande conoscenza delle malattie cardiovascolari e alla consapevolezza dell’importanza dell’alimentazione nella prevenzione cardiovascolare, ha pensato di creare una miscela alimentare che contenesse quegli elementi ricchi di polifenoli ed antiossidanti che rallentano l’invecchiamento. Dopo anni di studio, grazie alla collaborazione con un chimico, ha brevettato “Powellnux”, una crema composta da un mix di cacao scuro, nocciole, miele e tè verde. «L’obiettivo – racconta – era quello di mettere a punto qualcosa che facesse bene e che, allo stesso tempo, fosse anche buono».
Risultato ampiamente raggiunto sia in un senso che nell’altro. L’analisi dei dati provenienti da uno studio appena pubblicato ha mostrato come l’assunzione della miscela da parte di un campione di soggetti sani determini un aumento della performance fisica del 25%, grazie all’effetto antiossidante e di vasodilatazione delle arterie. Dato ancora più interessante, proveniente da alcuni studi in corso, è quello che i riguarda i pazienti affetti da ipertensione arteriosa, che dopo aver iniziato a consumare “Powellnux” hanno ridotto sensibilmente il dosaggio dei farmaci ipertensivi.
Il prodotto sarà presto disponibile sul mercato anche sotto forma di gelato e di barretta. Sanguigni è molto soddisfatto del risultato: «Sono convinto che molti capiranno l’importanza di questo prodotto sia nel mantenimento di una buona forma fisica sia nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. Dopotutto, come amo spesso ripetere, si tratta del primo “farmaco alimentare naturale”».
(Intervista pubblicata da: “Corriere dell’Economia”)

pdf-300x300Paper Sanguigni et al.

pdf-300x300Independent

POWELLNUXFOTO

 

Prof. Valerio Sanguigni
Specialista in Cardiologia – Università di Roma Tor Vergata

L'articolo POWELLNUX – Alimento Multifunzionale Naturale sembra essere il primo su Sport e Medicina.

FITTE AL TORACE

$
0
0

fittetorace1

NIENTE PANICO, spesso sono dovute allo stress. I dolori intercostali non vanno necessariamente associati all’infarto. Ecco come interpretarli e come farli passare.

Testo di Chiara Caretoni

Se avverti una fitta acuta e improvvisa che trafigge il costato, magari dopo uno sforzo fisico anche lieve, la tua mente – condizionata dal bagaglio di informazioni raccolte qua e là negli anni – fa scattare immediatamente l’allarme a tal punto da farti credere di avere un infarto in corso. D’altronde, quando il dolore arriva dal petto la preoccupazione sale, l’agitazione va alle stelle (e magari anche la pressione) e si tende a pensare che la salute del cuore sia ormai compromessa.
Tuttavia, prima di cedere il passo all’ansia, bisogna provare a “interpretare” il tipo di dolore avvertito. “Perché spesso viene frainteso, ingigantito e confuso con quello tipico delle fitte intercostali, che colpiscono anch’esse la parte centrale della gabbia toracica, specialmente la regione compresa tra la quinta e la decima costa”, ricorda Bruno Restelli, direttore del poliambulatorio & day services del Centro diagnostico italiano di Milano.

LE DIFFERENZE PRINCIPALI
Questi due tipi di sensazioni, infatti, si manifestano con durata e intensità molto differenti. “Il dolore caratteristico dell’attacco cardiaco”, rammenta l’esperto, “è oppressivo e localizzato dietro lo sterno o nella parte sinistra del torace, può irradiarsi al collo, al braccio e alla mano del medesimo lato con eventuale formicolio, non è legato all’atto respiratorio e può essere associato ad altri sintomi come una sudorazione eccessiva, l’affanno e una nausea persistente”.
Oltre alle peculiarità, bisogna valutare anche l’assiduità del dolore. “Quello relativo all’infarto del miocardio è acuto, non si modifica con i movimenti del corpo e soprattutto è continuativo e costante, tanto da creare un evidente stato di angoscia interiore e non dare tregua anche per molte ore”, puntualizza Restelli.
Per fugare ogni dubbio, comunque, il primo passo è contattare il proprio medico di famiglia e descrivere nei dettagli la sintomatologia: già con queste prime informazioni il dottore è in grado di capire se si tratta di un episodio cardiovascolare ed eventualmente indirizzare subito la persona al pronto soccorso per ulteriori accertamenti.
“In assenza di queste specifiche avvisaglie, è possibile che ad attanagliare l’individuo siano delle semplici – ma fastidiosissime – fitte intercostali che, a differenza dell’attacco cardiaco, sono pungenti, trafittive e migranti e possono aumentare o diminuire con l’inspirazione”, avverte Restelli. “Inoltre, il malessere causato da questo disturbo può presentarsi a sprazzi nell’arco della giornata, tornare sporadicamente nei giorni successivi e modificarsi in base alle posizioni assunte dal corpo”.

MUSCOLATURA CONTRATTA
Nella maggior parte dei casi questi dolori non sono patologici e non devono destare alcuna preoccupazione, sebbene ci sia sempre un motivo (spesso non grave) all’origine di questo disturbo. “Ad esempio, quando le fitte sono particolarmente blande e occasionali e il medico non ha riscontrato alcuna anomalia sospetta, è probabile che siano l’espressione psicosomatica di uno stato di tensione interiore, legato a un accumulo di stanchezza, ansia e stress”, sottolinea Restelli. Queste condizioni, che spesso sono accompagnate anche da disturbi digestivi, tachicardia o extrasistole e spossatezza, “agiscono” in maniera silente, irrigidiscono la muscolatura del torace, provocano a lungo andare delle contratture e infiammano le pareti addominali, dando luogo a una sensazione dolorosa anche molto intensa.

RESPIRAZIONE DIAFRAMMATICA
“Di solito in questi casi il problema tende a passare spontaneamente nel giro di pochi giorni, ma l’ideale sarebbe cercare di eliminare qualsiasi tipo di nervosismo o inquietudine”, consiglia il medico. “Un buon punto di partenza potrebbe essere quello di lavorare sul respiro, che è quasi sempre troppo breve, affannato e superficiale”. Per questo motivo, chi soffre di ansia e ha spesso fitte provenienti dal costato, dovrebbe imparare a respirare col diaframma per incamerare più ossigeno nei polmoni. In che modo? “È molto semplice: basta appoggiare i palmi delle mani sull’addome, inspirare profondamente dal naso, gonfiare la pancia per qualche secondo ed espellere lentamente l’aria dalla bocca, ripetendo l’esercizio per almeno uno o due minuti, più volte al giorno”, spiega Restelli.
Per sciogliere la tensione si può trarre beneficio anche dallo yoga e dallo stretching, attività che sono in grado di distendere i muscoli liberandoli da eventuali contratture e intorpidimento, e dalle tisane rilassanti. Via libera, dunque, a bevande a base di melissa, che è molto conosciuta per le sue proprietà antispasmodiche e antinfiammatorie, agisce come calmante sul sistema nervoso e rilassa la muscolatura, e di passiflora e valeriana, che sono sedative, ansiolitiche e conciliano il sonno.

fittetorace2

ANSIA? RESPIRA COL DIAFRAMMA
Appoggia i palmi delle mani sull’addome, inspira profondamente dal naso, gonfia la pancia per qualche secondo ed espelli lentamente l’aria dalla bocca. Ripeti l’esercizio per uno o due minuti più volte al giorno.

UTILI LE FASCE RISCALDANTI
Stress a parte, i muscoli della gabbia toracica possono subire contratture, specie in seguito a traumi, colpi di freddo, disturbi posturali, sforzi fisici improvvisi o attività sportive troppo intense, ed essere responsabili dei dolori intercostali. “In questi casi, se il fastidio è localizzato lateralmente, più verso il fianco e la schiena, si possono usare pomate antinfiammatorie da banco, anche a base di arnica o artiglio del diavolo, e applicare fasce riscaldanti che, a contatto con la pelle, rilasciano un calore naturale in grado di penetrare fino ai muscoli e acquietare l’indolenzimento”, suggerisce l’esperto.
Anche l’apparato gastrointestinale gioca un ruolo di rilievo nell’insorgenza delle fitte intercostali. “Ciò è abbastanza tipico negli individui che soffrono di reflusso, gastrite o ulcera duodenale – spesso causati proprio dallo stress di cui si parlava poco fa – e che hanno anche rigurgiti, gonfiore, nausea, crampi addominali, peso sullo stomaco, digestione lenta e meteorismo», conclude Restelli. “Se il medico sospetta una patologia che interessa l’esofago, lo stomaco, le mucose gastriche, il duodeno o l’intestino, può consigliare una gastroscopia o una colonscopia, dopo le quali si può eventualmente intraprendere una terapia idonea”.

POSSONO ESSERE SINTOMI DI ALTRE MALATTIE

Non solo disturbi gastrointestinali, contratture muscolari e tensioni da stress: dietro a dolori intercostali acuti, incessanti, trafittivi ed estenuanti si possono celare anche patologie più gravi, che richiedono ben altre attenzioni. Bruno Restelli, direttore del poliambulatorio & day services del Centro diagnostico italiano di Milano, spiega quali sono.

NEVRITE (o neurite)
Si tratta si un’infiammazione che colpisce uno o più nervi del sistema nervoso periferico e spesso ha origine da un’infezione virale da herpes zoster. Può essere accompagnata da manifestazioni cutanee, come arrossamenti e gonfiori, debolezza diffusa, intorpidimento, formicolio e perdita della sensibilità della zona interessata. In questi casi vengono somministrati degli antidolorifici, per lenire la sintomatologia, dei coadiuvanti con vitamina B12 e l’acido folico.
PATOLOGIE CARDIACHE
Escluso l’infarto, che si manifesta in maniera differente, questa sensazione dolorosa, specialmente se ha sede a sinistra, può essere indice di pericardite, ossia l’infiammazione della membrana che avvolge il cuore (pericardio). Spesso è causata da un’infezione virale ma anche da un trauma toracico, malattie autoimmuni o neoplasie e peggiora in posizione supina, soprattutto durante l’inspirazione o la deglutizione. A seconda dei fattori scatenanti, il trattamento prevede la somministrazione di antibiotici, antinfiammatori o cortisonici.
PATOLOGIE POLMONARI
Le fitte intercostali possono essere l’espressione di una pleurite, cioè un’infiammazione della membrana che avvolge i polmoni (pleura). In questo caso il dolore è esacerbato dalla respirazione profonda ed è spesso accompagnato da una tosse stizzosa. Può anche capitare che a scatenare la sensazione dolorosa nel costato sia uno pneumotorace acuto, che consiste nell’accumulo di aria nel cavo pleurico, cioè quello spazio che separa il polmone dalla parete toracica.

Angina

Si ringrazia OK SALUTE & BENESSERE per aver autorizzato la riproduzione dell’articolo

logooksalute

L'articolo FITTE AL TORACE sembra essere il primo su Sport e Medicina.

ECG – Diagnosi, interpretazione e terapia

$
0
0

ECG – Diagnosi, interpretazione e terapia

ecginterpretazione

Desiree Velez Rodriguez

ECG – Diagnosi, interpretazione e terapia” non è il solito testo di interpretazione dell’ECG. Si parte dalla fisiologia, per arrivare alla cardiologia con la parte di elettrofisiologia e di clinica cardiologica basata sull’ECG. È quasi un corso completo che, partendo dai dati più basilari, introduce il lettore nell’elettrocardiografia più avanzata. Il testo è incentrato sull’importanza del ruolo dell’ECG nella diagnosi cardiologica come punto di riferimento da cui proseguire con altre metodiche diagnostiche e di imaging. Inoltre contiene gli aggiornamenti delle più recenti indicazioni dell’American Heart Association (AHA) e della Società Europea di Cardiologia (SEC). Chiude il libro una sezione che comprende i principi attivi utilizzati in cardiologia. Il testo risulta utile e attuale grazie alla validità che ha, ancora oggi e sempre di più, l’elettrocardiografia, in quanto rileva non solo disturbi cardiovascolari, ma altre malattie come la sindrome coronarica acuta e cronica e le cardiomiopatie, o alterazioni molecolari come le canalopatie.

Contenuti
Le illustrazioni, i diagrammi e le tabelle rendono il testo facile da consultare, utile per il lavoro quotidiano, del professionista di medicina generale, dello specialista e dello studente dell’ultimo anno che inizia a fare le guardie mediche.

edra

Tel. +39 02.881841 – Fax +39 02 88.184.304
e-mail: ordiniedra@lswr.it – assistenza@medikey.it

**

L'articolo ECG – Diagnosi, interpretazione e terapia sembra essere il primo su Sport e Medicina.

GUASTI ALLE VALVOLE: RIPARARLE O SOSTITUIRLE?

$
0
0

valvole1

In caso di problemi cardiaci le nuove tecniche consentono una sopravvivenza più lunga. Dall’anuloplastica all’intervento transcatetere, ecco quando sono indicate e come si eseguono

Testo di Elisa Buson

Ogni volta che si guasta la lavastoviglie, il frigorifero, la lavatrice o il televisore, si ripete sempre la stessa scena. Il tecnico dell’assistenza osserva l’apparecchio con aria sconfortata, comincia a scuotere la testa, e dopo qualche secondo di bofonchiamenti vari, solleva le spalle pronunciando la fatidica frase: “Guardi, a questo punto non vale neanche la pena di metterci le mani, fa prima a buttarlo via e comprarne uno nuovo”. Per nostra fortuna, il corpo umano è ancora fatto alla vecchia maniera, e può essere riparato anche quando a “svalvolare” è il suo motore più importante: il cuore.
Uno dei pezzi più delicati e suscettibili a guasti, secondo il libretto di manutenzione in dote ai cardiochirurghi, è la valvola mitralica, che regola il passaggio unidirezionale del sangue dall’atrio al ventricolo sinistro affinché venga pompato in tutto l’organismo.
“Questa valvola ha la stessa struttura di un paracadute: il lembo anteriore e quello posteriore, ancorati a un anello fibroso, sono le due vele a cui il cuore “paracadutista” è legato mediante delle corde tendinee”, spiega Michele De Bonis, primario dell’unità di cardiochirurgia delle terapie avanzate e di ricerca dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano. “La valvola si può ammalare per diverse cause: per degenerazione legata all’età, per un’infezione, ma anche per effetto della febbre reumatica o di malattie funzionali del cuore, come un infarto o una cardiomiopatia”.
Può accadere così che i lembi della valvola non chiudano perfettamente, causando rigurgiti via via più gravi che portano a quella che i medici definiscono insufficienza mitralica. In questi casi, la parola d’ordine è riparare.

CHIRURGIA CON CIRCOLAZIONE EXTRACORPOREA
“La riparazione della valvola è preferibile alla sostituzione perché l’intervento è più sicuro, c’è un minor rischio di infezioni, il cuore si riprende meglio e garantisce una sopravvivenza più lunga”, sottolinea De Bonis. La cosa fondamentale è non rivolgersi al primo “tecnico” trovato sulle Pagine Gialle.
“La riparazione della valvola mitralica è stata spesso definita come una lotteria, perché l’esito varia enormemente in base all’esperienza dell’ospedale che la esegue: il cardiochirurgo, in questi casi, è come un artigiano, che deve stare a bottega per anni per apprendere e perfezionare la tecnica”, aggiunge lo specialista. La chirurgia a cuore aperto rappresenta ancora la soluzione che garantisce i risultati migliori a lungo termine. Oggi, ricorda De Bonis, “si opta sempre più spesso per l’approccio mini invasivo, che prevede un’incisione più piccola (lunga 4-6 centimetri) praticata sul lato destro del torace.
L’intervento prosegue poi in modo tradizionale: il cuore viene fermato e la circolazione del sangue nel corpo viene garantita attraverso un macchinario esterno, mentre si procede alla riparazione della valvola. L’intervento si conclude dopo circa tre ore con l’anuloplastica, ovvero l’applicazione di un anello che stabilizza i lembi della mitrale garantendo un risultato più duraturo”.

PROTESI BIOLOGICHE E MECCANICHE
Se in sala operatoria si riscontrano difficoltà tecniche, “si può sempre considerare la sostituzione della valvola con una protesi, sebbene in mani esperte questa soluzione debba rappresentare decisamente un’eccezione”, spiega il cardiochirurgo. “Per i pazienti più anziani è meglio la protesi biologica, che richiede di assumere i farmaci anticoagulanti solo per qualche mese, mentre per i giovani è più indicata la protesi meccanica, che non degenera e resiste per tutta la vita, ma che ha un impatto sulla qualità della vita perché rende necessaria una terapia, detta anticoagulante, indispensabile per il funzionamento della protesi”.
Se questo tipo di operazione rappresenta un rischio troppo alto per il paziente, allora è possibile ricorrere alle tecniche di intervento trans catetere, che permettono di risalire fin dentro il cuore attraverso dei tubicini inseriti nella vena femorale destra.

valvole2bis

PER TUTTA LA VITA – La protesi meccanica in sostituzione della valvola mitrale non degenera e dura per sempre, ma richiede la terapia anticoagulante per tutta la vita

“Così il cuore non dev’essere fermato, non serve la circolazione extracorporea e l’intervento, più facile e veloce, causa meno traumi e complicazioni”, sottolinea De Bonis. “Il problema è che in questi casi la riparazione della mitrale non può essere perfezionata con l’anuloplastica e spesso tale soluzione risulta meno efficace e duratura: un’opzione da valutare solo per pazienti accuratamente selezionati”.
Anche la sostituzione di una eventuale protesi biologica impiantata al posto della valvola mitrale che negli anni sia poi degenerata può essere fatta transcatetere, “portando all’interno della protesi malata una nuova protesi biologica che si apre a margherita, ancorandosi tra atrio e ventricolo: questa pratica è piuttosto recente e finora è stata eseguita solo su qualche centinaio di casi al mondo”, ricorda il cardiochirurgo.

PICCOLA INCISIONE SULLO STERNO
L’esperienza non manca, invece, per la manutenzione di un altro pezzo chiave del cuore, la valvola aortica, che con la sua particolare forma a semiluna controlla il passaggio del sangue dal ventricolo sinistro all’aorta e quindi a tutto il resto del corpo. “La riparazione della valvola è consigliabile nei pazienti giovani sotto i 40 anni che soffrono di insufficienza aortica, generalmente per colpa di una patologia congenita: in questi casi la valvola “perde”, causando la dilatazione del ventricolo e sintomi invalidanti come la mancanza di respiro”, afferma Alessandro Castiglioni, primario di cardiochirurgia al San Raffaele.
“L’intervento viene fatto con tecnica mini invasiva, aprendo una piccola incisione verticale sullo sterno: dopo di ché si ferma il cuore, ricorrendo all’ausilio della circolazione extracorporea, e si procede alla riparazione dei lembi della valvola. Il vantaggio, anche in questo caso, è che non serve assumere una terapia anticoagulante a vita”.

I VANTAGGI DELLA TAVI
Discorso a parte per i pazienti più anziani che soffrono invece di stenosi aortica, un “indurimento” della valvola dovuto alla deposizione di calcio che ne impedisce la corretta apertura, causando la mancanza di respiro. La cosa migliore da fare è sostituire la valvola calcificata con una nuova, mediante intervento chirurgico a cuore aperto. “In genere, dopo i 70 anni, si opta per una protesi biologica: anche se degenera nel giro di 10-15 anni, c’è sempre la possibilità di sostituirla nuovamente attraverso una tecnica transcatetere, chiamata Tavi, che non richiede né di riaprire chirurgicamente il torace, né di fermare il cuore usando la circolazione extracorporea”, spiega il primario di cardiochirurgia. Un’altra importante novità è quella dell’impianto delle nuove valvole senza sutura, che non devono essere “cucite” in modo sartoriale al cuore, ma “vengono semplicemente appoggiate sul vecchio anello fibroso della valvola a cui poi si ancorano da sole, riducendo i tempi dell’intervento a vantaggio del paziente”, continua Castiglioni.

PROCEDURA ALL’AVANGUARDIA PER L’ARCO AORTICO
Per operare il cuore servono mani di fata, soprattutto quando a guastarsi è quella sorta di tubo a gomito che porta il sangue dall’aorta ascendente a quella discendente. “Il cosiddetto arco aortico può dilatarsi pericolosamente fino a rischiare la rottura nel 5-10% dei pazienti che hanno già subito un intervento per riparare la rottura (dissezione) della prima parte dell’aorta ascendente: può infatti accadere che, col passare degli anni, la porzione del vaso che si trova a valle della riparazione inizi a dilatarsi pericolosamente, rischiando a sua volta di rompersi”, ricorda Castiglioni. “In questi casi è necessario un intervento chirurgico molto delicato, che prevede l’apertura della cavità toracica e la sostituzione del tratto di aorta malato con una protesi sintetica. La procedura comporta un altissimo rischio di mortalità post-operatoria: i pazienti, tra l’altro, possono subire importanti problemi neurologici, come ictus e coma, proprio perché dall’arco aortico partono i vasi carotidei che portano sangue al cervello”.
Per superare questa impasse nel trattamento dell’aneurisma dell’arco aortico i medici del San Raffaele hanno messo a punto una nuova tecnica operatoria che riduce in modo significativo i rischi. “L’intervento prevede una prima fase di chirurgia vascolare, che stacca e reimpianta le due carotidi dirette al cervello, e poi una seconda fase di cardiochirurgia, in cui s’impianta un’endoprotesi biocompatibile all’interno dell’aorta discendente e poi la protesi vera e propria, al posto del vaso ascendente”, conclude Castiglioni. “Con questa tecnica, unica al mondo, siamo riusciti a minimizzare i rischi neurologici riducendo la mortalità dal 15 all’ 1-2%”.

MEGLIO OPERARSI AL POMERIGGIO

Il buon esito di un intervento al cuore non dipende solo dalla gravità del paziente e dall’esperienza del cardiochirurgo: conta perfino l’orario in cui si finisce sotto i ferri. Lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet dall’équipe del cardiologo David Montaigne dell’Università di Lille, in Francia.
I ricercatori hanno preso in esame quasi 600 persone che erano state sottoposte a un intervento a cuore aperto, in gran parte dei casi per la sostituzione di una valvola cardiaca: dopo un periodo di osservazione di 500 giorni, è emerso che i pazienti operati nel pomeriggio hanno un rischio di sviluppare eventi avversi che è dimezzato rispetto a quello dei pazienti operati al mattino. La scoperta è stata poi confermata da una sperimentazione ad hoc, condotta su 88 persone che dovevano essere operate per problemi valvolari: quelle sottoposte all’intervento nel pomeriggio hanno mostrato un minore danno al tessuto cardiaco. La spiegazione, secondo gli esperti, sarebbe da ricercare nei geni che regolano il nostro orologio biologico: la loro azione, infatti, favorirebbe la riparazione del cuore nelle ore pomeridiane.

valvole4a valvole4b

 

222fba957e990ed9

Si ringrazia OK SALUTE & BENESSERE per aver autorizzato la riproduzione dell’articolo

logooksalute

L'articolo GUASTI ALLE VALVOLE: RIPARARLE O SOSTITUIRLE? sembra essere il primo su Sport e Medicina.

ASCOLTARE MEGLIO IL CUORE …

$
0
0

di Giuseppe Luzi

stetoscopio
È, insieme al camice bianco, uno dei simboli del medico. Consente di essere utilizzato come un emblema, quasi magico, della professione.
Parliamo dello stetoscopio/fonendoscopio.
È il sogno iniziale per ogni studente di Medicina. Metterselo sul collo e “girare” nei reparti con aria professionale … Ma è probabile che molti medici ignorino la storia dello stetoscopio/fonendoscopio, che è ricca di evoluzioni nel tempo.
La storia racconta che lo stetoscopio (vedremo poi la differenza tra i due termini, anche se oggi correttamente si dovrebbe usare solo il lemma fonendoscopio) fu inventato da Renè Theophile Hyacinthe Laennec nel 1816. Sembra che l’invenzione nascesse da un certo imbarazzo derivato dalla necessità di auscultare il petto di una giovane (piuttosto obesa).
Per il contatto diretto dell’orecchio sulla cute venne arrotolato un quaderno formando una sorta di cilindro cavo. Ebbene, Laennec realizzò che appoggiando un’estremità del quaderno arrotolato sul torace e collocando il proprio orecchio all’altra estremità del cilindro, si potevano ascoltare meglio, amplificati, i rumori provenienti dagli atti respiratori del polmone e quelli originati dall’attività cardiaca. Il nome stetoscopio, letteralmente vuol dire guardare dentro il petto, e ha origine da due parole greche: stethos “petto” e skopé “guardare”.
Il primo “vero” modello dello strumento era costituito da un cilindro di legno che aveva un piccolo tunnel all’interno. Nel corso degli anni vari cambiamenti, proposti da diversi autori, portarono alla costruzione di nuovi stetoscopi, utilizzando oltre a legno altre sostanze di metallo, avorio o plastiche.
È stato anche ideato uno stetoscopio biauricolare, che però non deve essere confuso con il fonendoscopio che si usa comunemente ai nostri giorni. Infatti il fonendoscopio ha una capsula di metallo che racchiude una membrana vibratile. Questa membrana viene applicata dal medico sui punti da esaminare. La capsula si collega quindi con uno o due tubi flessibili lungo i quali “viaggiano” le onde sonore.
In termini concettuali gli strumenti sono un po’ la stessa cosa e differiscono perché il fonendoscopio ha la membrana vibratile nella capsula mentre lo stetoscopio ne è privo. Gli stetoscopi monoaurali hanno avuto un lungo periodo di applicazione nell’ambito dell’ostetricia (prevalentemente per il rilievo del battito fetale). Il loro uso ai nostri giorni è stato del tutto sostituito dall’impiego di strumenti che usano l’effetto Doppler.
René Theophile-Hyacinthe Laennec (1781-1826) è stato un medico francese dalla vita avventurosa e sfortunata. La madre morì di tubercolosi quando aveva cinque anni e necessariamente, essendo il padre non in grado di seguirlo perché impegnato nella professione di avvocato, venne affidato a uno zio medico nella città di Nantes.
Dopo un certo periodo di esperienza come chirurgo militare si spostò a Parigi ed ebbe contatti con alcuni importanti clinici del tempo. Si dedicò con impegno all’anatomia patologica e nel giugno del 1804 si laureò.
L’invenzione dello stetoscopio prese forma presso l’Ospedale Necker di Parigi. Come riportano diverse fonti alla base della scoperta c’è il forte spirito di osservazione di quest’uomo, intelligente e pronto a correlare le informazioni. Sembra che una mattina avesse visto alcuni ragazzi giocare in modo insolito. Uno di loro poggiava l’orecchio all’estremità di una pertica lunga e sottile. Un altro ragazzo, collocatosi all’altra estremità, utilizzava uno spillo facendo piccole percussioni. Incuriosito dal gioco fu invitato a provare come fosse possibile ascoltare in modo netto e forte il rumore, altrimenti impercettibile, dello spillo.
Fu posta una lapide che ricorda, presso l’ospedale Necker, l’introduzione di questo essenziale strumento dell’attività medica: l’auscultazione.

stetoscopio3

Laennec comunicò la sua invenzione all’Accademia delle Scienze e successivamente venne pubblicato il libro “Trattato sull’auscultazione mediata”. Il pregio del suo studio è consistito nell’aver esaminato le diverse sintomatologie, utilizzando il suo strumento, e in particolare aver meglio caratterizzato le patologie del polmone.
I primi stetoscopi, costruiti dallo stesso Laennec erano di cedro e di ebano.

stetoscopio1
stetoscopio2

Il suo trattato non venne accolto immediatamente con favore ed ebbe, al solito, come accade frequentemente nel mondo medico e della ricerca scientifica in generale, detrattori. L’impegno del lavoro e le polemiche contribuirono a far peggiorare la salute di Laennec che morì in Bretagna, nel 1826, di tubercolosi.
Negli anni Quaranta del XX secolo due autori, Rappaport e Spragne, idearono un modello di fonendoscopio particolarmente efficace, che consentiva di distinguere i suoni ad alta frequenza da quelli a bassa frequenza. Attorno agli anni Sessanta poi, il celebre David Littmann, docente ad Harvard, costruì un modello ancora migliore (ideazione del diaframma modificabile).
Arrivando ai nostri giorni, l’evoluzione tecnica ha consentito di produrre fonendoscopi con sistemi di trasduzione delle onde sonore, in gradi di ridurre le interferenze “esterne”. In particolare, il XXI secolo vede l’introduzione dei fonendoscopi elettronici (fonendoscopi in grado di amplificare elettronicamente i suoni e quindi anche di registrarli).

soffio-cuore

Giuseppe Luzi, prof. associato di Medicina Interna, svolge attività di consulenza in qualità di medico internista e specialista in Immunologia Clinica – BIOSdiagnostica

**


POWELLNUX – Alimento Multifunzionale Naturale

$
0
0

powellnux

Il nuovo e innovativo programma di allenamento naturale con l’alimento multifunzionale, Powellnux.
Emanuele Blandamura, sfidante al titolo mondiale Boxe dei pesi medi, ha deciso di seguire il progetto Powellnux seguito dal suo trainer e dal suo cardiologo il prof. Valerio Sanguigni, ideatore della miscela alimentare funzionale brevettata Powellnux.

POWELLNUX, IL BUONO CHE FA BENE

sanguigni

La miscela antiossidante Powellnux con base di cacao scuro, nocciole, tè verde, nata da uno studio del cardiologo prof. Valerio Sanguigni, sperimentata inizialmente come gelato e poi brevettata, a breve acquistabile online in crema e barrette, è un innovativo integratore naturale, che concilia salute e gusto. Consigliato anche agli sportivi per il miglioramento della performance fisica, sarà protagonista al Riminiwellness in programma a Rimini dal 1 al 4 giugno.
Efficace sull’ipertensione arteriosa, riduce lo stress ossidativo e l’invecchiamento, migliora la funzione vascolare e la performance fisica. Sono i tre punti di forza della innovativa miscela antiossidante brevettata da Vera Salus Bio con il nome di “Powellnux”, ai quali se ne aggiunge un quarto, non trascurabile: il sapore. Visto che Powellnux è gustosa e piacevole al palato, come poche volte accade per un prodotto salutare. L’idea della miscela antiossidante con base di cacao scuro, nocciole, tè verde, sperimentata inizialmente come gelato, nasce grazie ad uno studio del prof. Valerio Sanguigni, cardiologo e docente di Medicina interna all’Università di Roma Tor Vergata e da sempre attento ai fenomeni di invecchiamento della popolazione. “Partendo da studi condotti su popolazioni centenarie, siamo arrivati, sempre attraverso studi scientifici, a dimostrare che la somministrazione della miscela alimentare alla base di Powellnux – spiega Valerio Sanguigni – determina un evidente effetto acuto di riduzione dello stress ossidativo e miglioramento della funzione vascolare e performance fisica in gruppo di soggetti sani, determinando, anche in soggetti con ipertensione, una riduzione della pressione arteriosa”.

VIVERE BENE A LUNGO

Valerio-Sanguigni-Powellnux-1

Vivere a lungo è importante, è quello a cui tutti ambiscono. Ma la differenza, spesso, non la fa quanti anni si riesce a vivere, ma come. Per farlo, o almeno per provarci, c’è un solo modo: investire sulla propria salute. E’ questa la filosofia del Prof. Valerio Sanguigni, cardiologo e docente di Medicina interna all’Università di Roma Tor Vergata. «Le malattie cardiovascolari, soprattutto infarto del miocardio e ictus cerebrale, sono la prima causa di morte nel mondo, circa il 40%» spiega Sanguigni. Numeri che non hanno bisogno di alcuna interpretazione, e che mettono in evidenza come uno stile di vita sano sin da giovani possa favorire una vecchiaia più lunga.
La ricerca della longevità pone delle domande fondamentali in campo medico: la prima cosa da fare è cercare di capire perché in certe popolazioni è così frequente trovare persone molto anziane in buona salute. Gli abitanti di Vicabamba (Ecuador), Hunza (Kashmir), Tibet, Abcasi (Caucaso), Giappone (Okinawa) e altre zone del mondo sono famosi per la grande percentuale di ultracentenari senza malattie. Diversi studi hanno dimostrato che le ragioni di questa longevità sono legate alle abitudini di vita, sopratutto alimentari. Le persone in quei posti consumano grandi quantità di frutta e verdura, che contengono polifenoli e antiossidanti, capaci di ridurre i danni dei radicali liberi dell’ossigeno, di far arrivare più ossigeno agli organi del corpo e quindi di rallentare l’invecchiamento. Proprio per queste proprietà, si è visto che chi mangia frutta e verdura almeno 5 o 6 volte al giorno, e pratica attività fisica regolare, riduce del 30% la possibilità di malattie cardiovascolari.
Il Prof. Sanguigni, sulla scorta di queste osservazioni, ha cercato di far adottare ai suoi pazienti uno stile di vita in grado di prevenire le malattie. «Se un dottore prescrive una terapia senza intervenire sullo stile di vita, spesso non ottiene i risultati sperati» rivela. Tanti anni a contatto con i pazienti nel suo studio di Roma gli hanno insegnato l’importanza di instaurare un rapporto di fiducia ed empatia perché, spiega, «ogni prescrizione terapeutica è come un vestito, va fatto su misura. Troppo spesso, invece, si dà la stessa cura a pazienti che hanno patologie molto diverse tra loro».
Proprio per questo motivo Valerio Sanguigni dedica gran parte della sua giornata ad ascoltare e cercare di capire le persone che si trova davanti, le loro abitudini, il loro stile di vita. Il suo obiettivo è di creare un rapporto di confidenza con i pazienti, tale da permettere loro di aprirsi e di discutere dei propri problemi senza remore, mettendosi sullo stesso piano.
Ma se osservazione e ascolto sono fondamentali per un buon dottore, c’è un altro aspetto che va coltivato e che deve andare di pari passo: lo studio. La medicina evolve in maniera molto rapida, quindi occorre tenersi sempre aggiornati sulle novità e le scoperte che avvengono nel mondo. «Il contatto con i pazienti e l’aggiornamento professionale rappresentano i due aspetti fondamentali del lavoro di qualunque medico. E’ una associazione basilare, bisogna saper tenere insieme questi due elementi».
Valerio Sanguigni e Powellnux Esperienza e conoscenza dei pazienti significa anche saper analizzare i dati offerti dalle più innovative strumentazioni tecniche per capire se muoversi in una direzione o in un’altra. La tecnologia offre oggi un gran numero di dati, un patrimonio inestimabile che deve però essere valorizzato: «Spesso c’è un eccessivo tecnicismo diagnostico, si rimandano i pazienti da un esame all’altro, a volte inutilmente. La bravura del medico – spiega Sanguigni – sta nell’analisi e nell’interpretazione dei dati che le macchine gli forniscono. E’ questo il valore aggiunto che deve essere in grado di dare».

Laurea in Medicina all’Università La Sapienza di Roma con una tesi sulla valutazione ecocardiografica degli atleti professionisti, specializzazione in Cardiologia, docente alla facoltà di Medicina dell’Università di Roma Tor Vergata, autore di numerose pubblicazioni sulle principali riviste scientifiche internazionali: il curriculum parla da solo, ma l’attività di Valerio Sanguigni non si ferma all’ambito medico e accademico.

Valerio-Sanguigni-Powellnux-2

Proprio grazie alla sua grande conoscenza delle malattie cardiovascolari e alla consapevolezza dell’importanza dell’alimentazione nella prevenzione cardiovascolare, ha pensato di creare una miscela alimentare che contenesse quegli elementi ricchi di polifenoli ed antiossidanti che rallentano l’invecchiamento. Dopo anni di studio, grazie alla collaborazione con un chimico, ha brevettato “Powellnux”, una crema composta da un mix di cacao scuro, nocciole, miele e tè verde. «L’obiettivo – racconta – era quello di mettere a punto qualcosa che facesse bene e che, allo stesso tempo, fosse anche buono».
Risultato ampiamente raggiunto sia in un senso che nell’altro. L’analisi dei dati provenienti da uno studio appena pubblicato ha mostrato come l’assunzione della miscela da parte di un campione di soggetti sani determini un aumento della performance fisica del 25%, grazie all’effetto antiossidante e di vasodilatazione delle arterie. Dato ancora più interessante, proveniente da alcuni studi in corso, è quello che i riguarda i pazienti affetti da ipertensione arteriosa, che dopo aver iniziato a consumare “Powellnux” hanno ridotto sensibilmente il dosaggio dei farmaci ipertensivi.
Il prodotto sarà presto disponibile sul mercato anche sotto forma di gelato e di barretta. Sanguigni è molto soddisfatto del risultato: «Sono convinto che molti capiranno l’importanza di questo prodotto sia nel mantenimento di una buona forma fisica sia nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. Dopotutto, come amo spesso ripetere, si tratta del primo “farmaco alimentare naturale”».
(Intervista pubblicata da: “Corriere dell’Economia”)

pdf-300x300Paper Sanguigni et al.

pdf-300x300Independent

POWELLNUXFOTO

 

Prof. Valerio Sanguigni
Specialista in Cardiologia – Università di Roma Tor Vergata

FITTE AL TORACE

$
0
0

NIENTE PANICO, spesso sono dovute allo stress.
I dolori intercostali non vanno necessariamente associati all’infarto. Ecco come interpretarli e come farli passare.

Testo di Chiara Caretoni

Se avverti una fitta acuta e improvvisa che trafigge il costato, magari dopo uno sforzo fisico anche lieve, la tua mente – condizionata dal bagaglio di informazioni raccolte qua e là negli anni – fa scattare immediatamente l’allarme a tal punto da farti credere di avere un infarto in corso. D’altronde, quando il dolore arriva dal petto la preoccupazione sale, l’agitazione va alle stelle (e magari anche la pressione) e si tende a pensare che la salute del cuore sia ormai compromessa.
Tuttavia, prima di cedere il passo all’ansia, bisogna provare a “interpretare” il tipo di dolore avvertito. “Perché spesso viene frainteso, ingigantito e confuso con quello tipico delle fitte intercostali, che colpiscono anch’esse la parte centrale della gabbia toracica, specialmente la regione compresa tra la quinta e la decima costa”, ricorda Bruno Restelli, direttore del poliambulatorio & day services del Centro diagnostico italiano di Milano.

fittetorace1

LE DIFFERENZE PRINCIPALI
Questi due tipi di sensazioni, infatti, si manifestano con durata e intensità molto differenti. “Il dolore caratteristico dell’attacco cardiaco”, rammenta l’esperto, “è oppressivo e localizzato dietro lo sterno o nella parte sinistra del torace, può irradiarsi al collo, al braccio e alla mano del medesimo lato con eventuale formicolio, non è legato all’atto respiratorio e può essere associato ad altri sintomi come una sudorazione eccessiva, l’affanno e una nausea persistente”.
Oltre alle peculiarità, bisogna valutare anche l’assiduità del dolore. “Quello relativo all’infarto del miocardio è acuto, non si modifica con i movimenti del corpo e soprattutto è continuativo e costante, tanto da creare un evidente stato di angoscia interiore e non dare tregua anche per molte ore”, puntualizza Restelli.
Per fugare ogni dubbio, comunque, il primo passo è contattare il proprio medico di famiglia e descrivere nei dettagli la sintomatologia: già con queste prime informazioni il dottore è in grado di capire se si tratta di un episodio cardiovascolare ed eventualmente indirizzare subito la persona al pronto soccorso per ulteriori accertamenti.
“In assenza di queste specifiche avvisaglie, è possibile che ad attanagliare l’individuo siano delle semplici – ma fastidiosissime – fitte intercostali che, a differenza dell’attacco cardiaco, sono pungenti, trafittive e migranti e possono aumentare o diminuire con l’inspirazione”, avverte Restelli. “Inoltre, il malessere causato da questo disturbo può presentarsi a sprazzi nell’arco della giornata, tornare sporadicamente nei giorni successivi e modificarsi in base alle posizioni assunte dal corpo”.

MUSCOLATURA CONTRATTA
Nella maggior parte dei casi questi dolori non sono patologici e non devono destare alcuna preoccupazione, sebbene ci sia sempre un motivo (spesso non grave) all’origine di questo disturbo. “Ad esempio, quando le fitte sono particolarmente blande e occasionali e il medico non ha riscontrato alcuna anomalia sospetta, è probabile che siano l’espressione psicosomatica di uno stato di tensione interiore, legato a un accumulo di stanchezza, ansia e stress”, sottolinea Restelli. Queste condizioni, che spesso sono accompagnate anche da disturbi digestivi, tachicardia o extrasistole e spossatezza, “agiscono” in maniera silente, irrigidiscono la muscolatura del torace, provocano a lungo andare delle contratture e infiammano le pareti addominali, dando luogo a una sensazione dolorosa anche molto intensa.

RESPIRAZIONE DIAFRAMMATICA
“Di solito in questi casi il problema tende a passare spontaneamente nel giro di pochi giorni, ma l’ideale sarebbe cercare di eliminare qualsiasi tipo di nervosismo o inquietudine”, consiglia il medico. “Un buon punto di partenza potrebbe essere quello di lavorare sul respiro, che è quasi sempre troppo breve, affannato e superficiale”. Per questo motivo, chi soffre di ansia e ha spesso fitte provenienti dal costato, dovrebbe imparare a respirare col diaframma per incamerare più ossigeno nei polmoni. In che modo? “È molto semplice: basta appoggiare i palmi delle mani sull’addome, inspirare profondamente dal naso, gonfiare la pancia per qualche secondo ed espellere lentamente l’aria dalla bocca, ripetendo l’esercizio per almeno uno o due minuti, più volte al giorno”, spiega Restelli.
Per sciogliere la tensione si può trarre beneficio anche dallo yoga e dallo stretching, attività che sono in grado di distendere i muscoli liberandoli da eventuali contratture e intorpidimento, e dalle tisane rilassanti. Via libera, dunque, a bevande a base di melissa, che è molto conosciuta per le sue proprietà antispasmodiche e antinfiammatorie, agisce come calmante sul sistema nervoso e rilassa la muscolatura, e di passiflora e valeriana, che sono sedative, ansiolitiche e conciliano il sonno.

fittetorace2

ANSIA? RESPIRA COL DIAFRAMMA
Appoggia i palmi delle mani sull’addome, inspira profondamente dal naso, gonfia la pancia per qualche secondo ed espelli lentamente l’aria dalla bocca. Ripeti l’esercizio per uno o due minuti più volte al giorno.

UTILI LE FASCE RISCALDANTI
Stress a parte, i muscoli della gabbia toracica possono subire contratture, specie in seguito a traumi, colpi di freddo, disturbi posturali, sforzi fisici improvvisi o attività sportive troppo intense, ed essere responsabili dei dolori intercostali. “In questi casi, se il fastidio è localizzato lateralmente, più verso il fianco e la schiena, si possono usare pomate antinfiammatorie da banco, anche a base di arnica o artiglio del diavolo, e applicare fasce riscaldanti che, a contatto con la pelle, rilasciano un calore naturale in grado di penetrare fino ai muscoli e acquietare l’indolenzimento”, suggerisce l’esperto.
Anche l’apparato gastrointestinale gioca un ruolo di rilievo nell’insorgenza delle fitte intercostali. “Ciò è abbastanza tipico negli individui che soffrono di reflusso, gastrite o ulcera duodenale – spesso causati proprio dallo stress di cui si parlava poco fa – e che hanno anche rigurgiti, gonfiore, nausea, crampi addominali, peso sullo stomaco, digestione lenta e meteorismo», conclude Restelli. “Se il medico sospetta una patologia che interessa l’esofago, lo stomaco, le mucose gastriche, il duodeno o l’intestino, può consigliare una gastroscopia o una colonscopia, dopo le quali si può eventualmente intraprendere una terapia idonea”.

POSSONO ESSERE SINTOMI DI ALTRE MALATTIE

Non solo disturbi gastrointestinali, contratture muscolari e tensioni da stress: dietro a dolori intercostali acuti, incessanti, trafittivi ed estenuanti si possono celare anche patologie più gravi, che richiedono ben altre attenzioni. Bruno Restelli, direttore del poliambulatorio & day services del Centro diagnostico italiano di Milano, spiega quali sono.

NEVRITE (o neurite)
Si tratta si un’infiammazione che colpisce uno o più nervi del sistema nervoso periferico e spesso ha origine da un’infezione virale da herpes zoster. Può essere accompagnata da manifestazioni cutanee, come arrossamenti e gonfiori, debolezza diffusa, intorpidimento, formicolio e perdita della sensibilità della zona interessata. In questi casi vengono somministrati degli antidolorifici, per lenire la sintomatologia, dei coadiuvanti con vitamina B12 e l’acido folico.
PATOLOGIE CARDIACHE
Escluso l’infarto, che si manifesta in maniera differente, questa sensazione dolorosa, specialmente se ha sede a sinistra, può essere indice di pericardite, ossia l’infiammazione della membrana che avvolge il cuore (pericardio). Spesso è causata da un’infezione virale ma anche da un trauma toracico, malattie autoimmuni o neoplasie e peggiora in posizione supina, soprattutto durante l’inspirazione o la deglutizione. A seconda dei fattori scatenanti, il trattamento prevede la somministrazione di antibiotici, antinfiammatori o cortisonici.
PATOLOGIE POLMONARI
Le fitte intercostali possono essere l’espressione di una pleurite, cioè un’infiammazione della membrana che avvolge i polmoni (pleura). In questo caso il dolore è esacerbato dalla respirazione profonda ed è spesso accompagnato da una tosse stizzosa. Può anche capitare che a scatenare la sensazione dolorosa nel costato sia uno pneumotorace acuto, che consiste nell’accumulo di aria nel cavo pleurico, cioè quello spazio che separa il polmone dalla parete toracica.

Angina

Si ringrazia OK SALUTE & BENESSERE per aver autorizzato la riproduzione dell’articolo

logooksalute

ECG – Diagnosi, interpretazione e terapia

$
0
0

ECG – Diagnosi, interpretazione e terapia

ecginterpretazione

Desiree Velez Rodriguez

ECG – Diagnosi, interpretazione e terapia” non è il solito testo di interpretazione dell’ECG. Si parte dalla fisiologia, per arrivare alla cardiologia con la parte di elettrofisiologia e di clinica cardiologica basata sull’ECG. È quasi un corso completo che, partendo dai dati più basilari, introduce il lettore nell’elettrocardiografia più avanzata. Il testo è incentrato sull’importanza del ruolo dell’ECG nella diagnosi cardiologica come punto di riferimento da cui proseguire con altre metodiche diagnostiche e di imaging. Inoltre contiene gli aggiornamenti delle più recenti indicazioni dell’American Heart Association (AHA) e della Società Europea di Cardiologia (SEC). Chiude il libro una sezione che comprende i principi attivi utilizzati in cardiologia. Il testo risulta utile e attuale grazie alla validità che ha, ancora oggi e sempre di più, l’elettrocardiografia, in quanto rileva non solo disturbi cardiovascolari, ma altre malattie come la sindrome coronarica acuta e cronica e le cardiomiopatie, o alterazioni molecolari come le canalopatie.

Contenuti
Le illustrazioni, i diagrammi e le tabelle rendono il testo facile da consultare, utile per il lavoro quotidiano, del professionista di medicina generale, dello specialista e dello studente dell’ultimo anno che inizia a fare le guardie mediche.

edra

Tel. +39 02.881841 – Fax +39 02 88.184.304
e-mail: ordiniedra@lswr.it – assistenza@medikey.it

**

GUASTI ALLE VALVOLE: RIPARARLE O SOSTITUIRLE?

$
0
0

valvole1

In caso di problemi cardiaci le nuove tecniche consentono una sopravvivenza più lunga. Dall’anuloplastica all’intervento transcatetere, ecco quando sono indicate e come si eseguono

Testo di Elisa Buson

Ogni volta che si guasta la lavastoviglie, il frigorifero, la lavatrice o il televisore, si ripete sempre la stessa scena. Il tecnico dell’assistenza osserva l’apparecchio con aria sconfortata, comincia a scuotere la testa, e dopo qualche secondo di bofonchiamenti vari, solleva le spalle pronunciando la fatidica frase: “Guardi, a questo punto non vale neanche la pena di metterci le mani, fa prima a buttarlo via e comprarne uno nuovo”. Per nostra fortuna, il corpo umano è ancora fatto alla vecchia maniera, e può essere riparato anche quando a “svalvolare” è il suo motore più importante: il cuore.
Uno dei pezzi più delicati e suscettibili a guasti, secondo il libretto di manutenzione in dote ai cardiochirurghi, è la valvola mitralica, che regola il passaggio unidirezionale del sangue dall’atrio al ventricolo sinistro affinché venga pompato in tutto l’organismo.
“Questa valvola ha la stessa struttura di un paracadute: il lembo anteriore e quello posteriore, ancorati a un anello fibroso, sono le due vele a cui il cuore “paracadutista” è legato mediante delle corde tendinee”, spiega Michele De Bonis, primario dell’unità di cardiochirurgia delle terapie avanzate e di ricerca dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano. “La valvola si può ammalare per diverse cause: per degenerazione legata all’età, per un’infezione, ma anche per effetto della febbre reumatica o di malattie funzionali del cuore, come un infarto o una cardiomiopatia”.
Può accadere così che i lembi della valvola non chiudano perfettamente, causando rigurgiti via via più gravi che portano a quella che i medici definiscono insufficienza mitralica. In questi casi, la parola d’ordine è riparare.

CHIRURGIA CON CIRCOLAZIONE EXTRACORPOREA
“La riparazione della valvola è preferibile alla sostituzione perché l’intervento è più sicuro, c’è un minor rischio di infezioni, il cuore si riprende meglio e garantisce una sopravvivenza più lunga”, sottolinea De Bonis. La cosa fondamentale è non rivolgersi al primo “tecnico” trovato sulle Pagine Gialle.
“La riparazione della valvola mitralica è stata spesso definita come una lotteria, perché l’esito varia enormemente in base all’esperienza dell’ospedale che la esegue: il cardiochirurgo, in questi casi, è come un artigiano, che deve stare a bottega per anni per apprendere e perfezionare la tecnica”, aggiunge lo specialista. La chirurgia a cuore aperto rappresenta ancora la soluzione che garantisce i risultati migliori a lungo termine. Oggi, ricorda De Bonis, “si opta sempre più spesso per l’approccio mini invasivo, che prevede un’incisione più piccola (lunga 4-6 centimetri) praticata sul lato destro del torace.
L’intervento prosegue poi in modo tradizionale: il cuore viene fermato e la circolazione del sangue nel corpo viene garantita attraverso un macchinario esterno, mentre si procede alla riparazione della valvola. L’intervento si conclude dopo circa tre ore con l’anuloplastica, ovvero l’applicazione di un anello che stabilizza i lembi della mitrale garantendo un risultato più duraturo”.

PROTESI BIOLOGICHE E MECCANICHE
Se in sala operatoria si riscontrano difficoltà tecniche, “si può sempre considerare la sostituzione della valvola con una protesi, sebbene in mani esperte questa soluzione debba rappresentare decisamente un’eccezione”, spiega il cardiochirurgo. “Per i pazienti più anziani è meglio la protesi biologica, che richiede di assumere i farmaci anticoagulanti solo per qualche mese, mentre per i giovani è più indicata la protesi meccanica, che non degenera e resiste per tutta la vita, ma che ha un impatto sulla qualità della vita perché rende necessaria una terapia, detta anticoagulante, indispensabile per il funzionamento della protesi”.
Se questo tipo di operazione rappresenta un rischio troppo alto per il paziente, allora è possibile ricorrere alle tecniche di intervento trans catetere, che permettono di risalire fin dentro il cuore attraverso dei tubicini inseriti nella vena femorale destra.

valvole2bis

PER TUTTA LA VITA – La protesi meccanica in sostituzione della valvola mitrale non degenera e dura per sempre, ma richiede la terapia anticoagulante per tutta la vita

“Così il cuore non dev’essere fermato, non serve la circolazione extracorporea e l’intervento, più facile e veloce, causa meno traumi e complicazioni”, sottolinea De Bonis. “Il problema è che in questi casi la riparazione della mitrale non può essere perfezionata con l’anuloplastica e spesso tale soluzione risulta meno efficace e duratura: un’opzione da valutare solo per pazienti accuratamente selezionati”.
Anche la sostituzione di una eventuale protesi biologica impiantata al posto della valvola mitrale che negli anni sia poi degenerata può essere fatta transcatetere, “portando all’interno della protesi malata una nuova protesi biologica che si apre a margherita, ancorandosi tra atrio e ventricolo: questa pratica è piuttosto recente e finora è stata eseguita solo su qualche centinaio di casi al mondo”, ricorda il cardiochirurgo.

PICCOLA INCISIONE SULLO STERNO
L’esperienza non manca, invece, per la manutenzione di un altro pezzo chiave del cuore, la valvola aortica, che con la sua particolare forma a semiluna controlla il passaggio del sangue dal ventricolo sinistro all’aorta e quindi a tutto il resto del corpo. “La riparazione della valvola è consigliabile nei pazienti giovani sotto i 40 anni che soffrono di insufficienza aortica, generalmente per colpa di una patologia congenita: in questi casi la valvola “perde”, causando la dilatazione del ventricolo e sintomi invalidanti come la mancanza di respiro”, afferma Alessandro Castiglioni, primario di cardiochirurgia al San Raffaele.
“L’intervento viene fatto con tecnica mini invasiva, aprendo una piccola incisione verticale sullo sterno: dopo di ché si ferma il cuore, ricorrendo all’ausilio della circolazione extracorporea, e si procede alla riparazione dei lembi della valvola. Il vantaggio, anche in questo caso, è che non serve assumere una terapia anticoagulante a vita”.

I VANTAGGI DELLA TAVI
Discorso a parte per i pazienti più anziani che soffrono invece di stenosi aortica, un “indurimento” della valvola dovuto alla deposizione di calcio che ne impedisce la corretta apertura, causando la mancanza di respiro. La cosa migliore da fare è sostituire la valvola calcificata con una nuova, mediante intervento chirurgico a cuore aperto. “In genere, dopo i 70 anni, si opta per una protesi biologica: anche se degenera nel giro di 10-15 anni, c’è sempre la possibilità di sostituirla nuovamente attraverso una tecnica transcatetere, chiamata Tavi, che non richiede né di riaprire chirurgicamente il torace, né di fermare il cuore usando la circolazione extracorporea”, spiega il primario di cardiochirurgia. Un’altra importante novità è quella dell’impianto delle nuove valvole senza sutura, che non devono essere “cucite” in modo sartoriale al cuore, ma “vengono semplicemente appoggiate sul vecchio anello fibroso della valvola a cui poi si ancorano da sole, riducendo i tempi dell’intervento a vantaggio del paziente”, continua Castiglioni.

PROCEDURA ALL’AVANGUARDIA PER L’ARCO AORTICO
Per operare il cuore servono mani di fata, soprattutto quando a guastarsi è quella sorta di tubo a gomito che porta il sangue dall’aorta ascendente a quella discendente. “Il cosiddetto arco aortico può dilatarsi pericolosamente fino a rischiare la rottura nel 5-10% dei pazienti che hanno già subito un intervento per riparare la rottura (dissezione) della prima parte dell’aorta ascendente: può infatti accadere che, col passare degli anni, la porzione del vaso che si trova a valle della riparazione inizi a dilatarsi pericolosamente, rischiando a sua volta di rompersi”, ricorda Castiglioni. “In questi casi è necessario un intervento chirurgico molto delicato, che prevede l’apertura della cavità toracica e la sostituzione del tratto di aorta malato con una protesi sintetica. La procedura comporta un altissimo rischio di mortalità post-operatoria: i pazienti, tra l’altro, possono subire importanti problemi neurologici, come ictus e coma, proprio perché dall’arco aortico partono i vasi carotidei che portano sangue al cervello”.
Per superare questa impasse nel trattamento dell’aneurisma dell’arco aortico i medici del San Raffaele hanno messo a punto una nuova tecnica operatoria che riduce in modo significativo i rischi. “L’intervento prevede una prima fase di chirurgia vascolare, che stacca e reimpianta le due carotidi dirette al cervello, e poi una seconda fase di cardiochirurgia, in cui s’impianta un’endoprotesi biocompatibile all’interno dell’aorta discendente e poi la protesi vera e propria, al posto del vaso ascendente”, conclude Castiglioni. “Con questa tecnica, unica al mondo, siamo riusciti a minimizzare i rischi neurologici riducendo la mortalità dal 15 all’ 1-2%”.

MEGLIO OPERARSI AL POMERIGGIO

Il buon esito di un intervento al cuore non dipende solo dalla gravità del paziente e dall’esperienza del cardiochirurgo: conta perfino l’orario in cui si finisce sotto i ferri. Lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet dall’équipe del cardiologo David Montaigne dell’Università di Lille, in Francia.
I ricercatori hanno preso in esame quasi 600 persone che erano state sottoposte a un intervento a cuore aperto, in gran parte dei casi per la sostituzione di una valvola cardiaca: dopo un periodo di osservazione di 500 giorni, è emerso che i pazienti operati nel pomeriggio hanno un rischio di sviluppare eventi avversi che è dimezzato rispetto a quello dei pazienti operati al mattino. La scoperta è stata poi confermata da una sperimentazione ad hoc, condotta su 88 persone che dovevano essere operate per problemi valvolari: quelle sottoposte all’intervento nel pomeriggio hanno mostrato un minore danno al tessuto cardiaco. La spiegazione, secondo gli esperti, sarebbe da ricercare nei geni che regolano il nostro orologio biologico: la loro azione, infatti, favorirebbe la riparazione del cuore nelle ore pomeridiane.

valvole4a valvole4b

 

222fba957e990ed9

Si ringrazia OK SALUTE & BENESSERE per aver autorizzato la riproduzione dell’articolo

logooksalute

IL COLESTEROLO NON SI ABBASSA SOLO CON LA DIETA

$
0
0

L’alimentazione è importante, ma per tenere sotto controllo i lipidi occorre praticare attività fisica aerobica e, quando serve, ricorrere a integratori e farmaci.

colesterolo1

Testo di Chiara Caretoni

Che si riceva una email personale o una più tradizionale busta di carta, poco importa: quando ci si ritrova tra le mani l’esito degli esami del sangue, magari svolti semplicemente per monitorare lo stato di salute generale, l’occhio fa una breve scannerizzazione di ciò che ha davanti e immancabilmente si posa sui temuti valori del colesterolo, come se non aspettasse altro che una conferma o una smentita. “Ce l’avrò entro i limiti?” è il quesito che più rimbomba – dal momento del prelievo al ritiro dei referti – nella testa di chi sa, complice il mare magnum di notizie prodotte sull’argomento, che l’ipercolesterolemia può mettere in serio pericolo la salute.
Eppure pochi sanno davvero che cosa sia il colesterolo, a cosa serva veramente, perché in alcuni casi può trasformarsi in un infido nemico e in che modo intervenire per tenerlo a bada. Di per sé il colesterolo, che in gran parte viene sintetizzato dall’organismo e in parte introdotto attraverso l’alimentazione, non è dannoso ma, anzi, è fondamentale per assolvere numerose funzioni fisiologiche. Non solo è una componente imprescindibile delle membrane cellulari, soprattutto del sistema nervoso, ma è anche il precursore di alcuni ormoni, come il testosterone e gli estrogeni, è il materiale di partenza per la sintesi della vitamina D, importantissima per la salute delle ossa, favorisce l’assorbimento di diverse vitamine e contribuisce alla formazione della bile.

I VALORI DA NON SUPERARE

L’uomo, dunque, ha bisogno del colesterolo, che viene trasportato nel sangue grazie a delle strutture chiamate lipoproteine, cioè particelle di lipidi (grassi) e proteine. Si tratta delle HDL (dall’inglese High Density Lipoproteins), considerate “buone” perché trasportano il colesterolo in eccesso dai tessuti periferici al fegato, favorendone l’eliminazione: il valore che le identifica dovrebbe essere uguale o superiore a 50 mg/dl (milligrammi per decilitro di sangue). E poi ci sono le LDL (Low Density Lipoproteins), note come “cattive”, poiché trascinano il colesterolo dal fegato ai tessuti e, durante il tragitto, possono ossidarsi e depositarsi sulla pareti delle arterie. La quantità di colesterolo contenuta nelle LDL dovrebbe mantenersi al di sotto di limiti che variano a seconda dello stato di salute del paziente: sotto i 70 mg/dl nei pazienti che hanno già avuto un infarto oppure un ictus, sotto i 100 mg/dl nei pazienti con diabete o ipercolesterolemia familiare in prevenzione primaria e sotto 115 mg/dl nei pazienti a più basso rischio cardiovascolare. Un eccesso di LDL comporta a lungo andare un concreto rischio che si formino le famigerate placche responsabili del restringimento dei vasi sanguigni.
“Questo fenomeno è deleterio per il sistema cardiovascolare perché le placche ricche di lipidi e proteine sono particolarmente fragili e soggette a rottura, specialmente se l’individuo fuma, è diabetico e soffre anche di ipertensione arteriosa”, spiega Alberico Catapano, professore ordinario di farmacologia all’Università degli Studi di Milano.
“Se la placca si frantuma, il materiale si dissemina e può formare un trombo, cioè un tappo che ostruisce il vaso coinvolto: in questo caso il sangue non riesce a fluire correttamente e gli organi e i tessuti non vengono più irrorati”. Se a chiudersi è un’arteria coronarica, l’individuo può andare incontro all’infarto del miocardio, mentre se il blocco avviene a livello carotideo si può avere un ictus cerebrale.

TROPPO ALTO IN UN ADULTO SU TRE

L’ipercolesterolemia, dunque, è uno dei principali fattori di rischio delle patologie cardiovascolari e, stando ai dati raccolti negli ultimi decenni, rappresenta un problema più che mai attuale per la popolazione italiana. Tra il 1998 e il 2002, infatti, l’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare ha condotto una prima indagine su un campione misto di 9.712 persone di età compresa fra i 35 e i 74 anni, scoprendo che il 20,8% degli uomini e il 23% delle donne erano ipercolesterolemici, cioè avevano i valori del colesterolo totale superiori alla soglia raccomandata (che si aggira intorno ai 200 mg/dl). A distanza di qualche anno, tra il 2008 e il 2012, è stata eseguita una seconda ricerca su 8.710 individui fra i 35 e i 79 anni: in questo caso il colesterolo alto ha interessato il 34,3% degli uomini e il 36,6% delle donne.
Questi dati, che sono piuttosto indicativi, vanno incrociati con quelli relativi alle malattie cardiovascolari, attualmente responsabili del 44% di tutti i decessi: come sottolinea l’Istituto superiore di sanità la cardiopatia ischemica è la prima causa di morte in Italia, seguita dai tumori e dagli eventi cerebrovascolari.

BASTA PUNGERSI UN DITO

“In base alle ultime linee guida stilate dalla Società Europea di Cardiologia (ESC) e dalla Società Europea dell’Aterosclerosi (EAS) nel 2016”, continua Catapano, “è possibile prevenire un’elevata percentuale di eventi cardiovascolari agendo sui suoi fattori di rischio modificabili, tra i quali spicca proprio l’ipercolesterolemia”.
E per abbassare il colesterolo bisogna innanzitutto intervenire su tutto ciò che può portare a un aumento dei suoi livelli e, di conseguenza, alla formazione della placca aterosclerotica: al di là della genetica, sulla quale si può fare ben poco, ci sono infatti alcuni stili di vita in grado di influenzare la colesterolemia.
pungeredito
“Poiché in genere valori elevati di colesterolo non causano alcun sintomo, spesso la persona non sa di avere i parametri fuori dagli standard ottimali e quindi di essere più esposta al rischio cardiovascolare. Quando compaiono i primi disturbi, generalmente la patologia è già conclamata e talvolta non lascia scampo”, conferma Matteo Pirro, direttore della struttura complessa di Medicina Interna dell’Università degli Studi di Perugia. È per questo motivo che lo screening periodico e il monitoraggio costante dei parametri rivestono un ruolo chiave in termini di prevenzione. Stando alle indicazioni della Società Europea di Cardiologia, non esistono criteri condivisi né su quando iniziare i controlli né sulla loro frequenza. Sebbene sia compito del medico di famiglia suggerire un “calendario” cucito su misura su ogni paziente, è comunque raccomandabile che gli uomini intorno ai 40 anni e le donne al di sopra di 50 si sottopongano a una prima indagine.
Tuttavia, questa valutazione andrebbe anticipata (verso i 35 anni nei maschi e i 45 nelle femmine) negli individui con familiarità per ipercolesterolemia ed eventi cardiovascolari in età giovanile e in pazienti diabetici e con arteriopatia periferica.
“Gli strumenti a nostra disposizione per monitorare i valori di questa molecola”, ricorda Pirro, “sono sicuramente gli esami del sangue e i test di autodeterminazione della colesterolemia: con un kit monouso, che può essere acquistato in farmacia e utilizzato autonomamente a casa propria attraverso una piccola digito puntura, è possibile verificare il livello di colesterolo totale e avere un’indicazione iniziale da sottoporre, nel caso fosse necessario, al proprio medico. Sarà quest’ultimo che potrà proporre un eventuale approfondimento di indagini”.

UOVA E LATTICINI ASSOLTI

E se il colesterolo fosse moderatamente elevato, in che modo si può intervenire?
Come suggeriscono le ultime linee guida europee, in questi casi il primo approccio è certamente quello di metter mano all’alimentazione: anche se quello presente nel nostro organismo è in gran parte di origine endogena e solo per una piccola parte proveniente dal cibo ingerito, una dieta bilanciata e varia può comunque contribuire al controllo dei suoi livelli plasmatici.
“Gli alimenti certamente da bandire sono quelli contenenti grassi idrogenati, anche detti grassi trans, che, oltre ad aumentare le LDL, possono diminuire le HDL”, conferma Pirro. Queste molecole, prodotte dalla manipolazione industriale dei grassi, si trovano nella margarina, spesso nei prodotti da forno confezionati e negli alimenti fritti.
Alcuni recenti studi, invece, hanno riabilitato uova, latte e latticini, che fino a poco tempo fa erano considerati nemici della salute: sebbene siano ricchi di colesterolo e grassi saturi, questi cibi contengono anche altri preziosi elementi come calcio e proteine che ne bilanciano l’effetto. Ovviamente l’ipercolesterolemico deve moderare l’assunzione di carni grasse, di insaccati e di oli tropicali particolarmente ricchi di grassi saturi.
“Invece i cibi contenenti fibre e grassi monoinsaturi, omega 3 e omega 6, possono esercitare un effetto benefico sul profilo lipidico e sul rischio cardiovascolare: ecco perché sulle tavole non dovrebbero mai mancare frutta, verdura, legumi, olio di oliva, frutta secca e pesce con lisca”, continua Pirro. “E un elevato introito di fibre è in grado di ridurre i livelli circolanti di colesterolo, attraverso una riduzione del suo assorbimento intestinale”.

BENE NUOTO, CORSA E BICICLETTA

Un altro fattore che può influenzare il colesterolo nel sangue è l’attività fisica. “In genere viene consigliato di praticare attività aerobica, caratterizzata da uno sforzo moderato per un periodo di tempo prolungato, che favorisce l’aumento delle lipoproteine HDL che trasportano il colesterolo dai tessuti verso il fegato, promuovendone l’eliminazione”, aggiunge Catapano. Sebbene i meccanismi alla base di questo fenomeno non siano ancora del tutto chiari, uno studio pubblicato su Exercise and Sports Science Reviews ha ipotizzato che a entrare in gioco sia l’effetto dell’attività fisica sulla produzione e sull’attività di alcuni enzimi coinvolti nel processo di trasporto del colesterolo verso il fegato. Per proteggere la salute cardiovascolare e tenere a bada l’ipercolesterolemia, quindi, l’Organizzazione mondiale della sanità suggerisce di praticare almeno 150 minuti ogni settimana di jogging, nuoto, corsa leggera o ciclismo, suddividendola in sessioni di 20 minuti al giorno.
Inoltre, stando a una ricerca pubblicata nel 2011 su American Heart Journal, anche il fumo sembra stimolare l’aumento delle LDL. L’acroleina, cioè una molecola prodotta durante la combustione delle sigarette, favorirebbe la formazione delle placche e promuoverebbe l’aterosclerosi, legandosi proprio al colesterolo cattivo già depositato sulle pareti delle arterie. “Ecco perché smettere di fumare, soprattutto se si soffre di ipercolesterolemia, è fortemente raccomandato”, conferma il farmacologo.

RISO ROSSO FERMENTATO

Modificare lo stile di vita è sempre un buon inizio, ma spesso è necessario un ulteriore aiuto per raggiungere livelli ottimali di colesterolo. Oltre a seguire una dieta povera in grassi trans idrogenati, ricca di fibre, equilibrata nel contenuto di grassi monoinsaturi, omega 3 e omega 6, praticare attività fisica e smettere di fumare, ci si può affidare ai nutraceutici ipocolesterolemizzanti, cioè integratori alimentari in grado di determinare una riduzione significativa di LDL. “Quello che ha dimostrato una maggiore efficacia duratura nel tempo è il riso rosso fermentato, che deriva dalla fermentazione del comune riso da cucina a opera di un lievito, il Monascus Purpureus”, spiega Pirro. “Questo prodotto contiene la monacolina K, una simil-statina che interferisce con la sintesi di colesterolo; questa sua azione, dovuta alla inibizione di un enzima epatico coinvolto nella produzione di colesterolo, è capace di diminuirne i livelli plasmatici di circa il 20%”. È bene ricordare che gli integratori a base di riso rosso fermentato, che si possono facilmente trovare nelle farmacie per lo più sotto forma di compresse, possono talvolta scatenare alcuni effetti collaterali, come ad esempio piccole alterazioni a livello epatico e dolori muscolari, e dunque sarebbe sempre meglio assumerli con cautela e sotto la supervisione del medico. “Un’altra sostanza anti-colesterolo è la berberina, estratta dalla corteccia e dalle radici della Berberis aristata, capace di aumentare l’eliminazione delle LDL dal circolo in parte perché riesce a diminuire i livelli della proteina PCSK9: quando i livelli di PCSK9 nel sangue si riducono, il fegato mostra una maggiore abilità nel rimuovere le LDL e quindi promuovere la riduzione della colesterolemia”, prosegue Pirro.

STATINE E NUOVI FARMACI

Tuttavia, se gli interventi correttivi dello stile di vita associati all’assunzione di nutraceutici non sortiscono l’effetto auspicato, o se da principio il colesterolo è alto o molto alto, il percorso terapeutico si indirizza necessariamente verso un’azione farmacologica.
“Come suggeriscono le linee guida ESC/EAS 2016, infatti, il trattamento di prima scelta è costituito dalle statine, che sono in grado di ridurre l’incidenza e la mortalità cardiovascolare sia in prevenzione primaria sia nelle persone che hanno già subito infarti o ictus”, conferma Catapano. Questi farmaci, che hanno dimostrato di essere sicuri e ben tollerati, inibiscono la sintesi di colesterolo a livello epatico e svolgono un effetto antinfiammatorio sulla placca aterosclerotica.
Gli studi clinici svolti sulle statine hanno dimostrato che gli effetti collaterali, come ad esempio i dolori muscolari, sono eventi piuttosto rari. Tuttavia alcune persone possono sviluppare un’intolleranza a questa tipologia di farmaci: in questi casi il medico può optare per altre soluzioni terapeutiche, come l’ ezetimibe, che riduce l’assorbimento intestinale del colesterolo, e gli anticorpi monoclonali, che inibiscono l’enzima PCSK9, favorendo l’eliminazione del colesterolo cattivo nel fegato.

cover_colesterolo

LE STRATEGIE ANTICOLESTEROLO

colesterolo4
Per tenere sotto controllo il livello di colesterolo nel sangue sono consigliabili l’attività fisica aerobica, come il ciclismo, e l’assunzione di integratori, quali la berberina, una sostanza estratta dalla corteccia e dalle radici della Berberis Aristata, un arbusto spinoso originario di India, Nepal e Sri Lanka.

colesterolo5Berberis Aristata

LA TAC MULTISTRATO PER DETERMINARE MEGLIO IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE

colesterolo3

Nel novembre scorso l’American Heart Association (AHA) e l’American College of Cardiology (ACC) hanno stilato le nuove linee guida sul trattamento del colesterolo, pubblicate sulle riviste Circulation e Journal of Applied Analysis and Computation. Oltre a rimarcare la necessità di condurre stili di vita adeguati, gli studiosi hanno acceso i riflettori su uno strumento particolarmente utile per predire la malattia aterosclerotica. Si tratta della valutazione del calcio coronarico (CAC score) che, in rapporto all’età dell’individuo, misura la quantità di calcio presente nelle coronarie, ossia nelle arterie che portano ossigeno al cuore. “È un esame importante perché, se il calcio si deposita nelle pareti arteriose, alimenta le placche aterosclerotiche, dando un’indicazione sulla estensione delle lesioni a livello cardiaco”, spiega Alberico Catapano, professore ordinario di farmacologia all’Università degli Studi di Milano. Il test, eseguito per mezzo di Tac multistrato non invasiva, consente dunque di fornire ulteriori informazioni sullo stato di salute del sistema cardiovascolare di un individuo. L’esame, che non rientra nei programmi abituali di screening, viene prescritto dal medico solo in caso di familiarità per ipercolesterolemia, in presenza di altri fattori di rischio cardiovascolari o livelli di colesterolo borderline.

colesterolo-in-eccesso

 

SI RINGRAZIA OK SALUTE & BENESSERE PER AVER AUTORIZZATO LA RIPRODUZIONE DELL’ARTICOLO

logooksalute

Viewing all 44 articles
Browse latest View live


<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>