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PREVALENZA DI RIGURGITI VALVOLARI INSIGNIFICANTI NEGLI ATLETI

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a cura di Luigi Ferritto
(Prevalence of Trivial Valve Regurgitation in Athletes)

ABSTRACT

Negli atleti molto allenati si riscontrano frequentemente insignificanti rigurgiti valvolari. Molti studi scientifici hanno dimostrato la fisiologicità di questi minimi jet da rigurgito in valvole strutturalmente normali e hanno evidenziato che il fenomeno di minimi rigurgiti valvolari negli atleti è secondario alla dilatazione delle camere cardiache e ad un conseguente allargamento dell’anulus valvolare dovuto all’allenamento di endurance. In definitiva tutti concordano che l’eccessiva prevalenza di rigurgiti valvolari negli atleti sia, presumibilmente, un altro adattamento cardiaco all’allenamento, rientrando nella costellazione di adattamenti cardiovascolari conosciuti come “Cuore d’Atleta” e, ove tutti gli altri elementi clinici siano nella norma (anamnesi, ECG a riposo e da sforzo, ecocardiogramma M-mode, B-mode, il rilievo doppler di questi minimi rigurgiti deve essere considerato insignificante.

L’Ecocardiografia Color-Doppler ha, da sempre, evidenziato flussi di rigurgito trans-valvolare in alcuni soggetti normali, in una fase del ciclo cardiaco durante la quale la valvola dovrebbe essere chiusa. L’eziologia di questi jet da rigurgito è incerta nonostante tra gli anni ’80 e ’90 sia stata prodotta una gran mole di lavori su tale argomento che hanno evidenziato un più comune riscontro negli atleti.
All’esame fisico, un soffio meso-sistolico o olo-sistolico, di intensità 1-2/6 può essere auscultato fin nel 50% degli atleti (1).
Utilizzando il “”mappaggio”" Color-Doppler, Pollack et al. (1988) hanno osservato che in fondiste estremamente allenate il 93% presentava un rigurgito tricuspidale, l’87% presentava un rigurgito polmonare e il 20% presentava un rigurgito mitralico. In atleti meno allenati il reperto di un rigurgito valvolare è stato meno frequente anche se il 24% dei soggetti normali presentava un rigurgito tricuspidale, il 18% presentava un rigurgito polmonare ed il 7% presentava un rigurgito mitralico (2).
Negli stessi anni Douglas P.S. et al. (1989) confrontando un gruppo di atleti ed un gruppo di sedentari, mediante “mappaggio” Color-Doppler, hanno osservato che negli atleti estremamente allenati il 69% presentavano un rigurgito alla valvola mitralica e il 76% un rigurgito alla valvola tricuspidale mentre nel gruppo di soggetti sedentari di controllo il 27% presentava un rigurgito alla valvola mitralica e il 15% un rigurgito alla valvola tricuspidale.
La prevalenza dei rigurgiti alla valvola aortica e polmonare era simile nei due gruppi.
Gli autori hanno concluso che l’allenamento sportivo intenso è associato ad un aumento della prevalenza dei rigurgiti mitralici e tricuspidalici essendo però, ancora, poco chiaro il meccanismo in valvole strutturalmente normali (3).
Dopo alcuni anni Macchi C. et al. (2001), confrontando il cuore di giovani atleti e giovani sedentari, hanno evidenziato un aumento della prevalenza di rigurgiti mitralici (47%), tricuspidalici (35.3%) e polmonari (88.2%) negli atleti rispetto al gruppo dei soggetti sedentari (4).
Anche Wrzosek K. et al. (2002), effettuando un follow-up ecocardiografico sulla funzionalità valvolare nel “Cuore d’Atleta” di 24 mesi, hanno evidenziato che la prevalenza dei rigurgiti valvolari aumenta significativamente nel corso del follow-up, infatti all’inizio dello studio i rigurgiti mitralici e tricuspidalici erano presenti nel 34% e nel 77% degli atleti mentre al termine dello studio il 69% degli atleti presentava un rigurgito mitralico e il 96% un rigurgito tricuspidale. Alta era la presenza di rigurgiti polmonari sia all’inizio che al termine dello studio (5).
Nel 2005 Bonow R. et al. nella stesura della “Task Force 3″ sui disordini delle valvole cardiache (36th Bethesda Conference), per l’American College of Cardiology Foundation, hanno premesso che negli atleti, la prevalenza dei rigurgiti valvolari rilevata con metodo Doppler è alta, con almeno un jet da rigurgito trovato in più del 90% dei soggetti e un triplo jet da rigurgito presente nel 20% degli atleti. La vasta maggioranza di questi jet sono insignificanti e non hanno nessuna importanza clinica (6).

NOSTRA ESPERIENZA

Presso l’ambulatorio di Cardiologia dello Sport della Clinica Athena “Villa dei Pini” abbiamo studiato la morfologia, la funzionalità cardiaca e la continenza valvolare mediante ecocardiocolordoppler “G E Vivid 3″ con trasduttore di 3.5 MHz, di 40 atleti praticanti sport agonistico di endurance (ciclismo).
Gli atleti aveva un’età compresa tra i 24 e i 37 anni, una frequenza cardiaca a riposo compresa tra i 37 e i 48 b/min valori pressori sistolici a riposo di 110±10 mmHg e diastolici a riposo di 75±5 mmHg, una SpO2 del 99%. Essi praticavano settimanalmente 12-20 ore di intensa attività sportiva e tutti erano risultati idonei all’attività agonistica.
Il ventricolo sinistro in diastole è risultato di 57±3.3 mm, il setto interventricolare in diastole è risultato di 12±1.2 mm, la parete posteriore del ventricolo sinistro è risultata di 12±1.3 mm, il diametro atriale sinistro è risultato di 38±3 mm.

La funzione sisto-diastolica del ventricolo sinistro è risultata sostanzialmente normale in tutti gli atleti.
Premesso che le strutture valvolari erano anatomicamente normali in tutti i soggetti:un rigurgito della valvola mitrale è stato riscontrato in 25 atleti (63%). Questo jet sistolico era caratterizzato da colore blu omogeneo con poca componente di varianza, si estendeva in atrio sinistro per una lunghezza inferiore a 2 cm dall’anulus mitralico e con velocità massima registrabile intorno a 4.5 m/s.
Un rigurgito alla valvola tricuspidale è stato riscontrato in 29 atleti (73%) e anche questo jet sistolico era visualizzato dal color doppler in blu, con una piccola componente di varianza, con un’estensione in atrio destro abbastanza ampia, fino a 4 cm dall’anulus valvolare.

Un rigurgito alla valvola polmonare è stato riscontrato in 30 atleti (75%) e al color-doppler il rigurgito era rappresentato da colore rosso omogeneo che si estendeva in ventricolo destro per non più di 2 cm, occupando quasi interamente la diastole e solo in 1 atleta (3%) è stato riscontrato un rigurgito alla valvola aortica olodiastolico, rappresentato da colore rosso omogeneo, estendendosi fino ad 1 cm da essa.
Secondo la nostra casistica circa l’80% degli atleti presenta almeno un jet di rigurgito di grado trascurabile ad una valvola mentre il 25% presenta un rigurgito mitro-tricuspidale e polmonare.

CARATTERISTICHE DEI RIGURGITI VALVOLARI INSIGNIFICANTI

Le metodiche Doppler, spettrali e Color, hanno una elevata sensibilità nel riconoscimento di rigurgiti in soggetti sani senza segni di cardiopatia e senza alterazioni anatomiche significative evidenti all’ecocardiogramma (7). Il rilievo di un rigurgito in valvola sana è ancora più evidente negli atleti per una più favorevole finestra ecocardiografica.
È utile analizzare l’aspetto dei rigurgiti e il meccanismo che ne è alla base separatamente per ogni singola valvola cardiaca.
Negli atleti un rigurgito mitralico, clinicamente insignificante, è rilevabile con una frequenza che varia dal 20% al 69%. La durata del jet rigurgitante è limitata, nella maggior parte dei casi alla proto-mesosistole, ma possono registrarsi rigurgiti olosistolici.

Immagine Mitral Valve Regurgitation (trivial) tratta da: www.medison.ru/uzi/img/p249.jpg

Le velocità massima e media sono elevate con picco di velocità a 4.5 m/sec in accordo con il gradiente pressorio sistolico ventricolo-atriale. Il jet è centrale, con estensione longitudinale e area estremamente variabile. Anche se non è possibile indicare un valore limite, in media un jet da rigurgito mitralico fisiologico, negli atleti, non supera la lunghezza di 2 cm e un area di 2 cmq (8). La frequenza di questo rigurgito sembra associata all’aumento di volume delle cavità cardiache di sinistra, maggiore negli atleti di endurance rispetto a quelli praticanti sport di potenza, e a un conseguente allargamento dell’anulus valvolare, sempre in modo limitato, però, rispetto a ciò che avviene nella cardiomiopatia dilatativa (9).
Un rigurgito tricuspidale è rilevabile, negli atleti, in un’altissima percentuale di casi (fino al 96% nell’esperienza di Wrzosek K. et al.). Il flusso da rigurgito è centrale, come documentato dal Color Doppler, olosistolico con velocità di picco che può raggiungere i 2.5 m/sec. La velocità massima si raggiunge in proto-sistole con estensione al color-Doppler che raggiunge e supera i 3 cmq. La frequenza elevata di questo rigurgito è legata verosimilmente al non perfetto collabimento dei lembi valvolari per l’area valvolare ampia dovuta al rimodellamento delle camere cardiache di destra in seguito all’esercizio fisico intenso (10).
Anche la valvola polmonare, negli atleti, presenta molto frequentemente un rigurgito che può essere olodiastolico, la velocità del jet rigurgitante può raggiungere i 2 m/sec in proto diastole e la lunghezza del jet può raggiungere i 2 cm. Il rigurgito polmonare è, verosimilmente, dovuto al gradiente trans valvolare relativamente basso in diastole che permette la chiusura della valvola ma non ne garantisce la perfetta continenza (11).
La frequenza di rilevazione di un jet da rigurgito diastolico alla valvola aortica deve essere considerato eccezionale nei giovani atleti con valvola e vaso aortico normale ma negli atleti veterani possono  riscontrarsi piccoli jet rigurgitanti centrali, olodiastolici, con lunghezza non superiore ad 1.5 cm e area non superiore a 1 cmq (12).
Negli atleti, specie quelli praticanti discipline di endurance, è frequente il riscontro di trascurabili rigurgiti multi valvolari (fino al 30 % del rigurgito mitro-tricuspidale e polmonare) (13).
Il rilievo di rigurgiti valvolari negli atleti va considerato normale quando tutti gli altri elementi sono considerati nella norma (anamnesi, esame obiettivo, ECG a riposo e sotto sforzo, RX telecuore, Ecocardiogramma mono-bidimensionale) (14).

CONCLUSIONI

Raramente un ecocardiografista esperto non è in grado di effettuare una diagnosi differenziale tra un rigurgito valvolare fisiologico e patologico.
Nei rigurgiti “fisiologici”:

- è assente qualsiasi alterazione strutturale valvolare
- non si osservano fenomeni di turbolenza ed aliasing al Doppler
- l’area di rigurgito è limitata alla zona mediana immediatamente sottovalvolare, con rilievo del segnale Doppler fino e non oltre a 1-2 cm da essa (15).

In conclusione negli atleti:

- la prevalenza dei rigurgiti valvolari aumenta con l’aumento del tempo di allenamento
- i rigurgiti sembrano associati al fisiologico ingrandimento del cuore
- sono da considerarsi emodinamicamente insignificanti
- è, comunque, necessario un monitoraggio periodico.

L’eccessiva prevalenza di rigurgiti di grado insignificante in valvole strutturalmente normali, negli atleti, è presumibilmente un altro adattamento all’esercizio fisico intenso proprio degli agonisti e rientra nella costellazione di adattamenti cardiovascolari conosciuti come “Cuore d’Atleta“ (16).

BIBLIOGRAFIA

  1. Shapiro L.M.: Ecocardiografia nello studio del “cuore d’atleta”- in: Cardiac Ultrasound, cap. 19 – Iliceto S., Roelandt J.R.T.C., Sutherland G.R., Linker D.T.
  2. Pollak S.J. et al.: Cardiac evalutation of women distance runners by echocardiographic color doppler flow mapping - J Am Coll Cardiol, 1988 Jan; 11 89-93
  3. Douglas P.S., Reichek N. et al.: Prevalence of multivalvular regurgitation in athletes - Am J Cardiol, 1989, Jul 15; 64 (3): 209-212
  4. Macchi C. et al.: A comparison between the heart of young athletes and of young healthy sedentary subjects: a morphometric and morpho-functional study by echo-color-doppler method - Ital J Anat Embryol, 2001, Jul-Sep; 106 (3): 221-31
  5. Wrzosek K. et al.: Echocardiographic evalutation of valve function in athlete’s hearts – 24 – months of follow-up - Polish Journal of Sports Medicine, 2002; 18,(10):,437-441
  6. Bonow R.O. et al.: Task Force 3: valvular heart disease - J Am Coll Cardiol, 2005
  7. Choong C.Y., Abascal W.M., Weyman A.E.: Prevalence of valvular regurgitation by Doppler echocardiography in patients with structurally normal hearts by two-dimensional echocardiography - Am Heart J, 1989 Mar; 117 636-42
  8. Wittlich N.: Concetto di insufficienza valvolare fisiologica in ecocardiografia color Doppler transtoracica e transesofagea – in: Cardiac Ultrasound, cap. 19 – Iliceto S., Roelandt J.R.T.C., Sutherland G.R., Linker D.T.
  9. Ferritto L. et al.: Studio mediante ecocardiocolordoppler negli atleti di endurance - J of Sports Cardiology, Vol. 5, 2008
  10. Recusani F. et al.: Tricuspid and pulmonary insufficiency and right heart flow patterns in normal: studies using color-codet flow mapping and pulsed Doppler - Circulation, 72: III-307, 1985
  11. Wittlich N.: Concetto di insufficienza valvolare fisiologica in ecocardiografia color Doppler transtoracica e transesofagea - in: Cardiac Ultrasound, cap. 19 – Iliceto S., Roelandt J.R.T.C., Sutherland G.R., Linker D.T.
  12. Nimura Y. et al.: Physiological regurgitation identified by Doppler techniques - Echocardiography 1989; 6:109-113
  13. Bonow R.O. et al.: Task Force 3: valvular heart disease - J Am Coll Cardiol, 2005
  14. Jacovella G., Pino P. G. et al.: Insufficienze valvolari inaspettate: quale significato? - Conoscere e curare il cuore ’89 – Atti del 6° simposio del centro per la lotta all’infarto, pag 29-36, Firenze, 3-5 marzo 1989
  15. Zeppilli P.: L’ecocardiografia nello sportivo - Trattato di Ecocardiografia Clinica di Nicolosi G.L., pag. 2285-2422
  16. Ferritto L., De Risi L.: Il “Cuore d’Atleta” … oltre i limiti della natura … - Il Medico dello Sport, n. 3, Giugno, pag. 11-17, 2008.

SINTESI DELLE LINEE GUIDA DEL 2010 DELL’AMERICAN HEART ASSOCIATION PER RCP ED ECC

INVESTIGATIONAL PROCEDURES FOR ATHLETE’S HEART DIAGNOSIS

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Luigi Ferritto
Dipartimento di Medicina Generale, Clinica “Athena” Villa dei Pini – Piedimonte Matese (CE)

Athletic heart syndrome is a constellation of structural and functional changes that occur in the heart of people who train for > 1 h most days. The syndrome is asymptomatic.
A regular training programme causes favourable changes in skeletal muscle performance (the realm of the sports physiologist) and two clear cut cardiovascular effects—namely, enlargement of the heart and a slow pulse rate at rest. These are the components of a characteristic clinical picture known as the “athlete’s heart”. Regular training causes the heart to enlarge. This is the result of a combination of left ventricular cavity enlargement (dilatation) and increased wall thickness (hypertrophy). It is widely held that resistance or isometric training (weight lifting, etc) stimulates hypertrophy with normal cavity dimensions (concentric), whereas aerobic, isotonic training (running, etc) stimulates hypertrophy and cavity dilatation (eccentric).
Athlete’s heart  is a diagnosis of exclusion; it must be distinguished from disorders that cause similar findings but are life threatening (eg, hypertrophic or dilated cardiomyopathies, ischemic heart disease, arrhythmogenic right ventricular dysplasia).

INVESTIGATIONAL PROCEDURES

Physical examination

Signs vary but may include bradycardia; an left ventricular impulse that is laterally displaced, enlarged, and increased in amplitude; a systolic ejection (flow) murmur at the left lower sternal border; a 3rd heart sound (S3) due to early, rapid diastolic ventricular filling; a 4th heart sound (S4), heard best during resting bradycardia because diastolic filling time is increased; and hyperdynamic carotid pulses. These signs reflect structural cardiac changes that are adaptive for intense exercise.

ECG

The ECG is usually normal, but left ventricular hypertrophy on voltage criteria is common.
Many abnormal ECG patterns have been described. Two of the most common are illustrated here:

Pronounced left ventricular hypertrophy on voltage with inferolateral T wave changes

- Early depolarisation changes with biphasic T waves in the anterior leads.

The second pattern presents a particularly characteristic biphasic T wave morphology with early repolarisation, convex proximally.
These changes reflect non-homogenous repolarisation caused by reduced resting sympathetic drive and resolve rapidly on exercise.
Incomplete RBBB, deep anterolateral T wave inversion, and “left ventricular hypertrophy and strain” pattern are described elsewhere. The latter is rare. Various slow rhythms as previously mentioned may be present (TAB. 1).
The ECG is a constant source of confusionin athletes with numerous variations on thebasic patterns. The changes are related to the extent of training and vary in athletes whose training is seasonal. Even quite gross changes may not indicate cardiovascular disease, though thorough further evaluation will often be needed to prove this point. The unpredictability and variability of the ECG in athletes seriously limits its value in screening for cardiac disease in these subjects.

Echocardiography
Cardiac ultrasound will frequently reveal a modest uniform increase in wall thickness seldom to more than 1.6 cm and usually less than 1.3 cm. Mild left ventricular cavity dilatation is also observed. Trivial regurgitation of mitral and tricuspid valves is reported more frequently than in the sedentary population.

Indices of systolic and diastolic function are normal. In some extreme cases, however, a pattern indistinguishable from hypertrophic cardiomyopathy is observed, even though exhaustive further investigations of the subject and immediate family yield no confirmatory evidence. Echocardiographic features of other confounding conditions may be present.

24 hour ECG
Dynamic ECG monitoring may show some of the bradycardic features mentioned above. Complete heart block and ventricular tachycardia (sustained or unsustained) are not features of the athlete’s heart and should be investigated thoroughly. Premature atrial and ventricular contractions are common, and more complex forms are seen, especially in the elderly.

Exercise ECG
Stress testing reveals an outstanding exercise capacity with rapid recovery of heart rate in the resting phase. The heart rate response is slower than in untrained people, but the eventual maximum rate is the same. Previously abnormal early repolarisation changes (thought to be related to reduced resting sympathetic tone) and T wave inversion will usually “normalise”.
It is widely known that patients with coronary disease may develop pseudonormalisation of T wave changes on exercise, but in the context of a fit young athlete this response is reassuring. The blood pressure response is normal which may be a helpful distinguishing feature from hypertrophic cardiomyopathy.

Other investigations
Radionuclide studies, cardiac catheterisation, and magnetic resonance imaging provide useful insight into the athlete’s heart but, in clinical practice, are largely reserved for specific cases where some suspected cardiac pathology requires elucidation. Multiple gated imaging shows that the increment in stroke volume on exercise in athletes is the result of a normal ejection fraction and increased end diastolic volume, rather than any demonstrable enhancement in contractility.
Vigorous exercise can cause elevation in cardiac enzymes including creatine phosphokinase (CPK). Small rises in MB CPK have also been reported.  This can be confusing if an athlete is admitted having collapsed. The rises are modest, however, and the time scale of enzyme release is not typical of myocardial infarction. Troponin T and I are more specific and should be used in cases of doubt.

PROGNOSIS AND TREATMENT

Although gross structural changes resemble those in some cardiac disorders, no adverse effects are apparent. In most cases, structural changes and bradycardia regress with detraining, although up to 20% of elite athletes have residual chamber enlargement, raising questions, in the absence of long-term data, about whether the athletic heart syndrome is truly benign. No treatment is required, although 3 mo of deconditioning may be needed to monitor left ventricular regression as a way of distinguishing this syndrome from cardiomyopathy. Such deconditioning can greatly interfere with an athlete’s life and may meet with resistance.

CONCLUSION

Athletes are a challenging group for the cardiologist both in terms of diagnosis and management. The stakes are high. The cardiovascular system is going to be pushed to the limit. The consequences of an erroneous diagnosis are potentially devastating, be it the death of the athlete or a career and way of life in ruins. These patients always merit the most careful evaluation. When still in doubt, the physician is well advised to seek help from others. The author of this paper certainly does!

BIBLIOGRAFIA

  1. Oakley D.: The athlete’s Heart - Heart. 2001 Dec;86(6):722-6. Review
  2. Zeppilli P.: L’ecocardiografia nello sportivo - pag. 2285-2422 da Trattato di Ecocardiografia clinica di G.L. Nicolosi
  3. D’Andrea A., Zeppilli P., Caso P., D’Andrea L., Scherillo M., Calabrò R.: Il contributo del Doppler Myocardial immaging nello studio del cuore d’atleta - Italian Heart J Vol 4 Agosto 2003
  4. Pelliccia A., Culasso F. Di Paolo F.M., Maron B.J.: Physiologic Left Ventricular Cavity Dilatation in Elite Athletes - Ann.Intern Med 1999, 5 Jenuary, vol. 130, number 1
  5. Biffi A., Pelliccia A. et al.: Reperti strumentali normali e patologici negli atleti d’elite - da sz. 19 cap. “Cardiologia dello sport” da “Trattato di Cardiologia” volume 3° a cura dell’ ANMCO
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  7. Ferritto L. et al.: Studio mediante ecocardiocolordoppler negli atleti di endurance - J. of Sports Cardiology Vol. 5 2008
  8. Pelliccia A., Maron B.J., Di Paolo F.M. et al.: Prevalence and Clinical Significance of left Atrial Remodelling in Competitive athletes - J Am Coll Cardiol. 2005 Aug
  9. Scharhag J, Schneider G, Urhausen A, et al.: Athlete’s heart. Right and left ventricular mass and function in male endurance athletes and untrained individuals determined by magnetic resonance imaging - J Am Coll Cardiol 2002;40:1856–63
  10. Douglas P.S., Reichek N. et al.: Prevalence of multivalvular regurgitation in athletes - Am J Cardiol. 1989 Jul 15;64(3):209-12
  11. Wrzosek K., Dluzniewski M.: Echocardiographic evalutation of valve function in athlete’s hearts- 24- months of follow-up - Polish Journal of Sports Medicine 2002; 18(10):437-441
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  19. Ferritto L., Gaetano P. et al.: Rimodellamento del ventricolo sinistro negli atleti dopo 12 settimane di detraining - J. of Practice Cardiology 2009.

Dottor Luigi Ferritto
Dipartimento di Medicina Generale – Ambulatorio di Fisiopatologia dello Sport
Clinica “Athena” Villa dei Pini – Piedimonte Matese (CE)
e-mail: luigiferritto@email.it

CONTENERE IL RISCHIO DI IPERTENSIONE ARTERIOSA

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Alessandra Fabretto
Specialista in Cardiologia

Le malattie cardiovascolari (cv) sono la più frequente causa di invalidità e di morte nei paesi industrializzati. Non è nota la causa scatenante di infarto o ictus, le maggiori patologie cv, ma conosciamo i loro fattori di rischio: una serie di patologie che spesso si presentano nello stesso paziente, sono correlate fra loro e riconoscono frequentemente cause comuni.
Al rischio concorrono vari fattori come la familiarità per malattie cv, l’obesità, la vita sedentaria, il fumo, lo stress, il diabete, i livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue.
L’ipertensione arteriosa (IA) dunque è la maggiore causa del rischio cv globale. La normalizzazione della pressione comporta quindi la riduzione del rischio cv, la possibilità cioè che ha un individuo di andare incontro a eventi cv maggiori nei 10 anni successivi alla valutazione.
La pressione arteriosa in un uomo sano deve mantenersi intorno a valori di 120/80 mmHg, solitamente più bassi nei giovani o nelle donne in età fertile, con variazioni in relazione all’attività fisica, allo stato generale dell’organismo, ma sempre entro limiti ben definiti.
Al mantenimento di un buon equilibrio pressorio collaborano in ogni istante molti fattori, sia all’interno dell’apparato cardiovascolare, sia esterni ad esso: neurologici, ormonali, fattori che regolano altre funzioni metaboliche. Ma se questi fattori si alterano per cause note, per malattie intercorrenti o per fattori sconosciuti, osserviamo il progressivo aumento della pressione arteriosa in modo inappropriato, sottoponendo cuore e vasi a un lavoro molto maggiore di quello fisiologico normale. Ne consegue, con il tempo, il deterioramento dei cosiddetti organi bersaglio: reni, cervello, ecc., sia per quel che riguarda la funzione sia l’anatomia. L’IA è l’aumento della pressione oltre i 135/85 mmHg, fino a valori anche molto più elevati.
Si hanno vari livelli di ipertensione: da ipertensione borderline, a lieve, moderata, severa, fino all’ipertensione maligna. Nell’IA esiste una predisposizione genetica, ma al suo sviluppo possono concorrere numerosi fattori fisici e ambientali. Significa che se uno o entrambi i genitori sono ipertesi i figli hanno alte probabilità di sviluppare l’ipertensione. E maggiore e più precoce può essere lo sviluppo della malattia e le sue complicanze quanti più fattori di rischio ha il paziente. In questo caso è indispensabile conservare entro i limiti della norma gli altri fattori di rischio noti e controllabili.

L’incidenza dell’IA è statisticamente in continuo aumento negli ultimi 20 anni nel mondo occidentale, come a loro volta sono in aumento le sue complicanze: infarto e ictus. La comunità scientifica, intesa come ricerca medica e come aziende farmaceutiche, è intensamente attiva nella ricerca delle cause dell’IA e nell’individuazione di terapie sempre più precise e con minori effetti collaterali.
Nell’ultimo congresso italiano sull’IA è emerso un dato nuovo di estrema importanza sia scientifica sia pratica: alla base di tutta la terapia anti-ipertensiva c’è la sana igiene di vita. Questa dovrebbe essere in realtà la base di tutta la moderna medicina per tutte le malattie: la prescrizione di qualunque terapia farmacologica deve essere preceduta e affiancata dalla correzione degli errori nelle norme igieniche di vita.
Nella società moderna occidentale c’è la tendenza alla vita sedentaria, all’alimentazione abbondante con conseguente aumento del peso corporeo, all’assunzione di sale in eccesso (sopratutto nei cibi preconfezionati), al consumo di caffè, a uno stress cronico che induce una produzione abbondante di adrenalina.

Il raggiungimento di questi obiettivi equivale alla somministrazione di un farmaco antiipertensivo: come se il paziente assumesse già una terapia.
Equivale a dire che in un paziente borderline o affetto da ipertensione di grado lieve il raggiungimento di questi obiettivi può far scendere la pressione tanto da permettere la sospensione, almeno temporanea, della terapia, mentre in un paziente in politerapia può significare la riduzione della quantità di pillole.
Alcuni pazienti sono spaventati dal luogo comune che una volta iniziata l’assunzione della terapia anti-ipertensiva, questa dovrà essere continuata per tutta la vita: non è così. Se messe in azione queste norme igieniche possono ridurre la pressione arteriosa e controllare eventuali patologie associate fino alla possibile riduzione del rischio cv e la possibile sospensione della terapia farmacologica.
Le statistiche hanno evidenziato che un soggetto con un fattore di rischio ha scarse probabilità di andare incontro ad eventi cv maggiori, ma aumentando il numero di fattori, la probabilità di andare incontro a infarto miocardico o ictus aumenta in modo consistente (vedi la “Carta del Rischio cardiovascolare“).
Nel 48% dei casi in Italia i pazienti ipertesi non raggiungono un sufficiente abbassamento della pressione arteriosa: non si ottengono cioè con la terapia i valori pressori raccomandati dalle linee guida della società europea dell’ipertensione, fino a una vera riduzione del rischio CV. Questo può accadere per molti motivi: scarsa aderenza alla terapia da parte del paziente, dimenticanze nell’assunzione dei farmaci, rari controlli medici, ecc.

Sia nell’uomo che nella donna la percentuale di insufficiente controllo risulta sovrapponibile e questo dato, anche se analizzato per tutte le regioni italiane, cresce ulteriormente nel resto della popolazione europea.

NORME IGIENICHE DI VITA
(poche, chiare e fondamentali)

 CALO PONDERALE

La riduzione di peso comporta la riduzione della quantità di tessuto adiposo, che contrariamente a quanto si credeva in passato, non è un tessuto inerte, ma è pari a un organo metabolicamente attivo, sede di deposito e di scambi di sostanze che nella fattispecie hanno profonde implicazioni nella regolazione della pressione arteriosa. Inoltre il lavoro a cui viene sottoposto il cuore per l’irrorazione di una massa corporea maggiore è più elevato di quello fisiologico normale. A questo aggiungiamo che negli obesi il tessuto adiposo non è solo sottocutaneo e non si riduce ad un fatto estetico: depositi adiposi si ritrovano in tutto il corpo, compresa la zona intorno al cuore.

SPORT

Lo sport da solo non fa perdere peso, ma aiuta a mantenere una corretta igiene alimentare. L’attività muscolare comporta l’attivazione di vie metaboliche diverse da quelle adottate in una vita sedentaria con la mobilizzazione e la produzione di sostanze che dilatano i piccoli vasi, stimolano l’attività cardiaca e la produzione di nuovi vasi coronarici, bruciano il colesterolo in eccesso nel sangue. Inoltre aiuta la propriocezione e motiva a mantenere una dieta più equilibrata. Questo comporta oltre che un minor rischio cv in generale, una funzione cardiaca migliore, la riduzione di adrenalina disponibile, e altri benefici.

RIDURRE L’ASSUNZIONE DI SALE

Il sodio è già contenuto nei cibi freschi. L’aggiunta di sale come cloruro di sodio durante la preparazione dei cibi o il consumo di alimenti precotti che ne contengono molto comporta l’assunzione di un eccesso di sale. Questo sovraccarica il lavoro dei reni, dando false informazioni ai sensori che attraverso vari meccanismi fanno alzare la pressione. Inoltre l’eccesso di sale nel sangue comporta anche l’eccesso nella saliva con una minor percezione dei sapori e la susseguente aggiunta di ulteriore sale. La progressiva riduzione del consumo e l’eliminazione del suo eccesso nel corpo, nel sangue e nella saliva, porta al recupero dei sapori originali dei cibi. Per quantificare uno studio recente ha dimostrato che la riduzione di 1 grammo di sale comporta in media un calo di 7 mmHg di pressione.

RIDURRE L’ASSUNZIONE DI CAFFÈ

Il caffè è un potente stimolatore del sistema nervoso, non solo centrale, ma anche delle terminazioni periferiche. Esso stimola il metabolismo, il livello di allerta neurologico e altre funzioni. A livello cardiaco aumenta la frequenza e la pressione arteriosa. Il decaffeinato visto spesso come un escamotage, ha gli stessi effetti sul sistema CV; oltre alla molecola usata per spostare la caffeina, esistono molte altre sostanze attive in una tazzina di caffè. Un caffè al giorno può essere benefico; un eccesso può essere un vero tossico.


Dott.ssa Alessandra Fabretto

Specialista in Cardiologia
Responsabile del Servizio di Prevenzione e Terapia dell’Ipertensione
BIOS SpA – Via D. Chelini 39 – Roma

CARDIOLOGIA E SPORT – Indice

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ARITMIE E SPORT: Guida pratica per la popolazione di ogni età

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A cura dell’Associazione Nazionale per le Aritmie

 

 

Presentazione
I recenti casi di arresto cardiaco (AC) e di morte improvvisa “sul campo” di atleti professionisti nel pieno vigore delle loro forze, ripresi televisivamente, con diffusione mediatica planetaria, hanno provocato una immensa emozione anche al di fuori del mondo dello sport e suscitato angosciosi interrogativi.
Molti hanno così appreso che nell’atleta competitivo possono esserci aritmie cardiache in taluni casi mortali, con un ruolo determinante sulla comparsa dei drammatici eventi cardiaci sul campo, frequentemente dovuti a destabilizzazione elettrica ed aritmica di cuori precedentemente affetti da patologie aritmogene silenti o non riconosciute. Contemporaneamente sono stati posti interrogativi sulla possibilità di identificare i pochi casi ad alto rischio aritmico nella vasta popolazione di atleti competitivi professionisti od amatoriali in attività (rispettivamente circa 6 e 12 milioni in Italia). Questi interrogativi riguardano in particolare l’esistenza di regole istituzionali, misure organizzative e metodologie diagnostiche utilizzabili a tale fine. Vasta risonanza ha anche trovato nei media la problematica della defibrillazione e rianimazione cardiaca precoce e corretta negli ambienti dove si svolgono le attività sportive.
L’Associazione Nazionale ANA-ARITMIE, affiliata alla Arrhythmia Alliance inglese che spopola in Gran Bretagna, che ha come scopo principale quello di promuovere la comprensione, la diagnosi, il trattamento delle aritmie cardiache e migliorare la qualità di vita in chi ne soffre, ha così preparato questo Opuscolo informativo dedicato a tutti coloro che effettuano attività sportiva.
Il libretto è preparato seguendo il collaudato sistema a domanda risposta con il lettore adottata nelle precedenti pubblicazioni (Conoscere il Cardiopalmo – Conoscere le Aritmie Cardiache – Ablazione Transcatetere Mediante Radiofrequenza).
In questo libretto viene enfatizzata l’importanza fondamentale dell’attività sportiva per la salute ad ogni età della vita, vengono esposte le possibilità di eventi aritmici nel singolo sportivo, riportate le Leggi di tutela, relative al rilascio dell’idoneità sportiva agonistica in vigore in Italia, tenendo conto dell’eventuale presenza di aritmie cardiache in particolari soggetti. Vengono elencate e spiegate le numerose indagini cardiologiche da basali a complesse e sofisticate idonee ad individuare le aritmie dello sportivo riconoscendone le caratteristiche di benignità o severità.
Viene richiamata l’importanza fondamentale dell’ autoresponsabilizzazione dell’atleta richiesto a segnalare ogni sintomo di allarme tale da mettere in moto l’approfondimento diagnostico cardiologico. Vengono suggerite le regole comportamentali cui attenersi per evitare eventi aritmici in rapporto allo sport con particolare riguardo all’assunzione di sostanze illecite e di abuso. Vengono date informazioni sulla gestione delle aritmie dell’atleta compresi i trattamenti elettrici ablativi o basati sull’impianto di Pace Maker (PM) o di defibrillatori interni (ICD). Viene auspicata una diffusione capillare delle informazioni sulle manovre di rianimazione cardiaca sul campo auspicando che tutti gli atleti e gli operatori sportivi debbano essere in grado di effettuare le manovre basali salvavita (Basal Life Support, BLS).
In particolare viene raccomandato di fronte ad un arresto cardiaco di un atleta o spettatore, di non perdere tempo, di utilizzare immediatamente il defibrillatore semi-automatico esterno (se disponibile) da chi è autorizzato a farlo, chiamare il 118 e facilitare il trasporto al Centro Ospedaliero allertato.
Riccardo Cappato, Francesco Furlanello


Lo sport fa bene al cuore?

Vi è un accordo generale nella medicina moderna sulla fondamentale importanza di un’attività fisica e sportiva regolare nel soggetto di ogni età compreso il bambino e l’anziano, sia per conservare l’efficienza dell’organismo, che per la prevenzione primaria e secondaria delle patologie cardiovascolari.

L’attività sportiva fa bene ad ogni età!

Fra i vantaggi documentati vi è una migliore qualità di vita, la prevenzione di una patologia di usura compresa la riduzione delle masse muscolari (sarcopenia), il raggiungimento di un polso cardiaco più lento e regolare, una ipertrofia fisiologica cardiaca che assicuri una portata circolatoria adeguata allo sforzo, il controllo dei valori tensivi arteriosi.
L’effetto positivo comprende un’azione favorevole sui parametri, glucidici (diabete mellito) su quelli lipidici (più elevato colesterolo HDL, più basso LDL, trigliceridemia nei limiti), sul controllo del peso corporeo, dell’obesità, dell’osteoporosi ed in tutte le patologie collegate alla sedentarietà.

E’ possibile che lo sport attivo ed in particolare l’attività sportiva agonistica possano risultare pericolosi in chi le pratica?

E’ possibile che in singoli soggetti si verifichi quello che viene chiamato il temuto e sfavorevole “paradosso cardiaco ed aritmico” in particolare di una attività come la sportiva che nella popolazione in generale è salutare ed in quella atletica competitiva di elite rappresenta la massima espressione di potenza dell’essere umano. Può verificarsi infatti una imprevedibile sfavorevole progressione di patologie cardiache latenti e di solito ignorate, congenite od acquisite, il che avviene, nell’atleta competitivo, almeno per certi tipi di patologie del muscolo e dello scheletro elettrico del cuore, con incidenza quasi tre volte maggiore che nel pari età sedentario.
Inoltre lo sforzo fisico sportivo, in soggetti predisposti, può provocare l’eversione di aritmie di ogni tipo, compresa la fibrillazione atriale e le ectopie e le tachicardie atriali e ventricolari. Talune aritmie, di solito da sforzo e da impegno psicofisico (chiamate adrenergiche) possono essere gravi fino a provocare, peraltro in rari casi (1/100.000 agonisti praticanti/anno), la tipica morte improvvisa “sul campo” in uno sportivo, anche di elite, fino a quel momento considerato sano.

Vi sono leggi di tutela dello sportivo in Italia?

Vi sono provvedimenti cautelativi che riguardano in modo particolare l’attività sportiva agonistica e sono regolati da Leggi e Decreti emanati dallo Stato Italiano e dalle singole Regioni fin dal 1971. Va precisato che la certificazione dell’idoneità alla pratica agonistica è disciplinata dalla DM 18/02/1982. Inoltre è contemplata e disciplinata dal 1993 anche la certificazione di idoneità per l’atleta disabile (paralimpico). Per quanto riguarda lo sport non agonistico la certificazione di idoneità per il singolo sportivo è demandata e rilasciata dal Medico di Base o dal Pediatra e consiste in pratica in un Certificato di sana e robusta costituzione fisica. Per tutti coloro che effettuano attività sportiva di tipo agonistico la certificazione di idoneità viene rilasciata in diverse età a seconda dello sport, per molte discipline sportive è fissata tra i 10 e 12 anni (per il nuoto, in particolare, inizia a 8 anni) da Medici Specialisti di Medicina dello Sport che appartengono alla Federazione Medico Sportivo Italiana (FMSI), ai quali competono degli obblighi ben stabiliti dalla Legge. In pratica, il certificato di idoneità sportiva agonistica, rinnovato ogni anno o rilasciato a tempo certifica che il soggetto è in grado di effettuare allenamenti e competizioni senza rischio di andare incontro ad eventi sfavorevoli, compresi quelli cardiovascolari, nello specifico sport praticato.

Quali sono i compiti del medico dello sport che rilascia l’idoneità agonistica?

Consistono nelle indagini che vengono classificate di primo livello quali la visita clinica comprensiva di un’attenta raccolta dell’anamnesi e cioè della storia clinica del singolo atleta. Comprende l’esecuzione di un ECG a riposo e da sforzo ed altre indagini come la spirometria, l’esame completo delle urine ed eventualmente del sangue e per certi sport indagini specifiche (ad es.visita oculistica per i piloti). Al Medico Sportivo compete, qualora sia sospetta o molto probabile o certa una patologia ed in particolare una patologia cardiaca e/o una aritmia significativa, avviare lo sportivo ad accertamenti specialistici cardiologici che vengono chiamati di secondo e terzo livello fino al raggiungimento di elementi sufficienti per redigere una certificazione di idoneità o non idoneità allo sport agonistico praticato. Ne deriva che il Medico Sportivo che rilascia il certificato in base anche al giudizio espresso dal Consulente Cardiologo, eventualmente consultato, è tenuto ad esprimere un giudizio positivo o negativo (di solito a scadenza annuale od a tempo 3-6-12 mesi) che è vincolante per ogni singolo atleta.

Quali sono le indagini cardiologiche idonee a diagnosticare le aritmie nello sportivo?

Vengono considerate indagini di secondo e terzo livello quelle effettuabili rispettivamente ambulatoriamente in Laboratori Cardiologici o nell’ambito di osservazione presso Centri Specializzati. Con riferimento all’opuscolo ANA-AritmieConoscere il cardiopalmo” si segnala:
1. Monitoraggio ECG dinamico sec. Holter (dal nome dell’inventore) che consente di registrare tutti i battiti cardiaci delle 24 ore e di valutare quantitativamente e qualitativamente le aritmie nictemerali (diurne e notturne) presenti. Nello sportivo è obbligatoria una verifica delle conseguenze aritmiche dovute allo sforzo includendo nel periodo di registrazione momenti di adeguata attività fisica e se realizzabile una seduta di allenamento o competizione o corrispettivi.
2. Test ergometrico (al cicloergometro od al tappeto rotante) possibilmente con monitoraggio ECG continuativo, con sforzo fisico condotto almeno fino al raggiungimento del 75% della frequenza cardiaca massima teorica in base all’età. Speciali ergometri sono disegnati per lo studio cardiologico dell’atleta paralimpico (es. a manovella). Nell’atleta competitivo il test ergometrico comprende anche la valutazione del consumo di ossigeno ai fini della valutazione della performance.

Il test ergometrico consente attraverso una contemporanea registrazione elettrocardiografica di individuare gli eventi aritmici che si accompagnano allo sforzo

3. Loop recorder esterno (LRE) applicato per circa 2-4 settimane, che consente al soggetto di effettuare attività fisica e vita normale. Trattasi di un registratore di piccole dimensioni e di facile uso idoneo a studiare eventi aritmici non frequenti, dotato di attivazione automatica od auto-attivato del soggetto quando compare il sintomo aritmico.
4. Loop recorder impiantabile (LRI) posizionato sotto cute, a livello toracico anteriore con piccolo intervento chirurgico caratterizzato da dimensioni minimali e capace di una registrazione di circa 36 mesi, in grado di quantificare eventi aritmici saltuari altrimenti non riconoscibili.

ILR – Implantable Lop Recorder è un sistema di ridotte dimensioni impiantato sottocute mediante un piccolo taglio di 2 cm. Registra eventi aritmici fino a 36 mesi

La diagnosi di aritmia nell’atleta si completa nell’effettuazione di tutte quelle indagini che il cardiologo ritiene necessarie per escludere l’esistenza di una patologia cardiaca che le causi o che si accompagni ad esse, quali patologie aritmogene, malattie delle coronarie del muscolo cardiaco, delle valvole e dei grandi vasi, dello scheletro elettrico del cuore, ad origine genetico famigliare.
Questi esami consistono nello studio ecocardiografico color Doppler, nello studio elettrofisiologico all’interno del cuore (studio elettrofisiologico endocavitario), nella coronarografia, nella risonanza magnetica nucleare, nella tomografia cardiaca computerizzata, nello studio genetico dell’atleta e familiari, nell’eventuale biopsia cardiaca.

Quali sono le attività sportive agonistiche?

Sono le competizioni organizzate dalle Federazioni Sportive affiliate al CONI (FIGC, FISI, FIT, FAI (aeronautica), FIA (automobile), FIN (nuoto), etc. comprese quelle che riguardano i Giochi della Gioventù (per le fasi finali) e gli atleti Master. Sono identificati quali atleti competitivi Master soggetti con età superiore ai 35 anni, (25 per il nuoto), che sono tali in quanto partecipano a competizioni agonistiche delle Federazioni Sportive del CONI suddivisi in categorie di età di 5 in 5 anni che comprendono anche età più avanzate, 70 – 75 – 80 ed oltre.
Gli atleti di elite di “Interesse Nazionale ed Olimpico” sono controllati direttamente dal CONI (Istituto di Medicina e Scienza dello Sport di Roma).

Che prevalenza hanno i problemi cardiologici e le aritmie in particolare, nella non idoneità allo sport?

Fra le cause, provvisorie o definitive, di non idoneità sportiva agonistica alla visita medico-sportiva le più comuni (il 60/80% di tutte le non idoneità) sono quelle cardiologiche intese come condizioni che fanno supporre la presenza di una anomalia cardiaca congenita od acquisita incompatibile, salvo un approfondimento permissivo.
La presenza od il sospetto di una aritmia rappresenta a sua volta circa il 40% di tutte le cause cardiache di non idoneità e comporta quasi costantemente una serie di indagini cliniche e strumentali successive fino alla elaborazione di un giudizio definitivo. Quest’ultimo può essere di benignità totale, di necessità di periodici controlli con idoneità a tempo, di non compatibilità per intolleranza o rischio, di rivalutazione dopo guarigione spontanea od a seguito a trattamento specifico (ad es. con ablazione transcatetere con radiofrequenza TC/RF). La visita medico sportiva di idoneità sportiva agonistica rappresenta inoltre nella vita dell’atleta un importante momento preventivo in grado di attirare l’attenzione sulla presenza di anomalie cardiache ed aritmiche in particolare ignorate dall’atleta.

Perché le aritmie cardiache hanno importanza nello sport?

Un’attività atletica effettuata per un periodo sufficientemente critico induce delle modificazioni elettro-genetiche di un cuore normale quali ad esempio la bradicardia che può essere più o meno marcata in base al tipo di sport, alla durata dell’attività sportiva, all’intensità ed alla predisposizione individuale. Queste modificazioni, caratterizzate da un polso lento per attività sinusale modulata dall’influsso neuro-vegetativo conseguente all’attività sportiva, che si adegua aumentando di frequenza in modo proporzionale al tipo di sforzo, alla durata, all’impegno agonistico, sono di solito benigne e marker di un cuore d’atleta.
Le aritmie risultano però incompatibili con l’attività sportiva in due principali condizioni cliniche:
1. quando creano con la loro presenza anche in atleta con cuore normale conseguenze emodinamiche sulla pompa e portata cardiaca non compatibili con il gesto atletico soprattutto qualora realizzino eccessive tachicardie o bradicardie. Esempi tipici sono rappresentati da tachicardie parossistiche atriali (che caratterizzano il famoso cuore matto dello sportivo), dalla fibrillazione atriale e dal flutter atriali rapidi, dalla presenza di una asistolia sinusale o di un blocco atrio ventricolare critici sintomatici (particolarmente durante pause o recupero dopo sforzo) (vedi opuscoli ANA-Aritmie “Conoscere il cardiopalmo” e “Le aritmie cardiache”). Inoltre sono particolarmente importanti eccessivi aumenti o rallentamenti della frequenza cardiaca in sport così detti a rischio intrinseco cioè pericolosi all’atleta ed agli spettatori per le condizioni ambientali nelle quali vengono praticati. Sono tali, oltre a gran parte degli sport estremi, molti sport di pilotaggio, il paracadutismo, l’alpinismo, certi sport subacquei, lo sci da discesa ecc.
2. le aritmie cardiache sono pericolose quando si realizzano nel contesto di una patologia silente, detta cardiomiopatia aritmogena, che l’attività atletica può rivelare anche in soggetti che ne ignoravano la presenza provocando, durante allenamento o competizione gravi sintomi come la sincope (perdita improvvisa di coscienza), l’arresto cardiaco e la morte improvvisa. Ciò avviene di solito nell’atleta nei 90% dei casi durante attività fisica, in soggetti che pur idonei fino a quel momento ad effettuare attività atletica anche ad alti livelli con grande performance, vengono improvvisamente destabilizzati elettricamente. E’ infatti documentato che l’attività sportiva agonistica protratta rivela e fa evolvere patologie cardiache aritmogene sottostanti ignorate e che il singolo gesto atletico può destabilizzare elettricamente, provocando gravi disturbi, un cuore precedentemente asintomatico e ritenuto sano. Il problema fondamentale appare quindi quello di una identificazione precoce del rischio aritmico nel singolo atleta.

Cosa deve fare l’atleta per prevenire le patologie aritmiche ed i gravi eventi conseguenti?

L’atleta competitivo ha il dovere di proteggersi segnalando immediatamente ai familiari, o a qualche responsabile del suo mondo sportivo, ed al proprio medico, la comparsa di sintomi soprattutto in corso di sforzo fisico:

  • cardiopalmo regolare od irregolare, dolori precordiali, mancanza di fiato ingiustificato, calo della performance, perdite anche minori della coscienza, variazioni ingiustificate della pressione arteriosa
  • non deve mai riprendere l’attività fisica intensa fino a che un eventuale evento infiammatorio, soprattutto se febbrile, non sia spento in quanto il soggetto può essere in piena depressione immunitaria e quindi esposto ad eventi infettivi infiammatori. Fra di essi è particolarmente pericolosa la miocardite, frequente causa di aritmie a breve medio e lungo termine anche mortali dovute a reazione infiammatoria acuta o cronica secondaria a localizzazione muscolare cardiaca di batteri o di virus
  • anche lo sportivo non agonista, non obbligato per legge, dovrebbe sottoporsi annualmente ad uno screening cardiologico possibilmente comprensivo di una visita cardiologica con ECG e test da sforzo massimale. Fortemente auspicabile anche lo studio ecocardiografico Color Doppler
  • deve evitare l’assunzione di ogni tipo di sostanza illecita che rientri nelle liste WADA (World Anti-Doping Agency) aggiornate annualmente, inclusi anche integratori farmacologicamente contaminati, in quanto tutte queste sostanze possono provocare effetti collaterali cardiovascolari anche gravi a breve, medio e lungo termine e frequentemente aritmie di ogni tipo, atriali e ventricolari, nonché esporre l’atleta competitivo alla positività dell’eventuale ricerca anti-doping.

L’atleta non deve assumere sostanze illecite, cioè proibite dalla WADA, sia in quanto eticamente inaccettabili che per il pericolo di gravi conseguenze cardiache ed aritmiche in particolare

E’ possibile “guarire” le aritmie dell’atleta?

L’atleta deve essere conscio che molti degli eventi aritmici che può presentare possono essere successivamente considerati e classificati come benigni ed assolti in base a studio cardiologico clinico e strumentale cui viene sottoposto particolarmente da Specialisti esperti ed in Centri Specializzati.
Può essere inoltre considerato guarito quando aritmie transitorie, dovute a cause identificabili (ad es. farmaci, sostanze stimolanti, patologie della tiroide, eventi infiammatori ecc.) sono individuate e risolte.
Può essere infine considerato guarito dopo interventi terapeutici efficaci (come da verifica specialistica dopo qualche mese) che portino alla estirpazione della patologia aritmica quali l’ablazione transcatetere con radio frequenza (TC/RF) o con altro tipo di energia. Questo tipo di procedura,effettuata in Laboratori esperti, è in grado di risolvere in via definitiva situazioni aritmiche che hanno origine ad un percorso curabile con questa metodica quali ad esempio tachicardie parossistiche sopra ventricolari focali o da circuito elettrico nodale o da un by-pass muscolo/elettrico fra la cavità atriale e ventricolare come la sindrome di WPW (vedi opuscolo ANA-Aritmie “Conoscere le aritmie cardiache”). Possono essere curate con successo anche tachicardie ventricolari benigne soprattutto ad origine dalla parte alta del cuore come la tachicardia ventricolare conale destra o sinistra o le tachicardie ventricolari fascicolari benigne in cuore sano. Attualmente è possibile anche identificare ed eliminare aritmie ectopiche atriali e ventricolari focali o da micro rientro di solito ad alta densità numerica qualora incompatibili con l’attività sportiva agonistica. Anche la fibrillazione atriale dell’atleta compreso quello Master, può essere trattata con successo soprattutto se in cuore sano, con l’ablazione transcatetere con radiofrequenza.

L’ablazione transcatetere con radiofrequenza (TTCC/RRFF) può guarire molti tipi di aritmie dell’atleta

Quale attività sportiva e’ possibile negli atleti portatori di pace-maker (pm) o di defibrillatore (icd)?

Rispettando il diritto del soggetto di effettuare un’attività fisica e sportiva la decisione del rilascio dell’idoneità viene valutata individualmente, in base al tipo di gravità della cardiopatia sottostante e l’importanza di eventuali aritmie sopra o ventricolari nei riguardi dello sforzo fisico.

Ad atleti portatori di elettrostimolatore cardiaco può essere concesso l’idoneità ad attività sportiva a basso impegno cardiovascolare

In linea di massima vengono concesse idoneità per sport a basso impegno cardiovascolare, non agonistici, vanno evitati sia sport di contatto che ad alto rischio intrinseco o che comprendano movimenti ripetitivi dell’arto superiore omolaterale all’impianto.
L’impianto del singolo PM o ICD nell’atleta deve previamente contemplare la continuazione di una certa attività sportiva, essere di minimo ingombro (compatibile con la necessità di funzionamento) e collocato in sede toracico contro-laterale all’arto maggiormente impiegato. Devono essere evitati rischi di traumatismi che danneggino l’elettrostimolatore prevedendo l’utilizzo di sistemi di protezione esterna. Devono essere evitate interferenze elettromagnetiche e considerata la possibilità di deficit di funzione per il PM (mio-potenziali) e per il sistema di ICD di scariche (shock elettrici inappropriati) conseguenti ad es. ad errata interpretazione di elevati aumenti della frequenza cardiaca. Sia per i PM che gli ICD sono peraltro disponibili sistemi di grande sicurezza, di minimo ingombro e di grande duttilità che consentono programmazioni personalizzate, per via telemetrica, dopo l’impianto, adeguate entro certi limiti a consentire un’attività sportiva previamente individualizzata.

Defibrillatore sottocutaneo (S-ICD) senza fili intracardiaci, impiantabile anche in atleti a rischio di arresto cardiaco

Cosa fare in caso di arresto cardiaco di un atleta sul campo?

L’arresto cardiaco (AC) di un atleta competitivo, generalmente ritenuto fino a quel momento sano, avviene nel 90% dei casi in corso di attività fisica-sportiva, allenamento o competizione, più raramente a riposo o di notte. L’AC è dovuto prevalentemente (circa 90% dei casi) ad una aritmia potenzialmente mortale se non interrotta tempestivamente, la fibrillazione ventricolare che rende del tutto inefficace la pompa cardiaca bloccando totalmente l’afflusso del sangue agli organi vitali. La possibilità di sopravvivenza cala del 10% ogni minuto che passa e dopo 5/6 minuti il cervello subisce danni irreversibili che impediscono il recupero del soggetto anche se rianimato. L’unico trattamento efficace e comprovato è la defibrillazione ventricolare precoce con un defibrillatore esterno (DEA) abbinato ad una corretta rianimazione cardiopolmonare. Il DEA è un sistema in grado di segnalare su un display la presenza della fibrillazione ventricolare, guidando l’erogazione di shock elettrici trans-toracici efficaci, attraverso piastre facilmente applicate sul petto del soggetto.

Consiste in un apparecchio di ridotto peso od ingombro, robusto, alimentato a batteria, di prezzo sempre più accessibile, concepito
per essere impiegato in modo semplice ed efficace sia da parte di personale Sanitario anche non medico nonché da personale non Sanitario “formato”, cioè legalmente abilitato con certificato annuale rinnovabile, attraverso un breve Corso organizzato dalle Regioni o Province Autonome Italiane, tenuto da Istruttori tecnici per l’emergenza come da Decreto del Ministro della Salute 18.03.2011.
La necessità di un corso, pur breve, di formazione è necessaria in quanto l’operatore deve saper usare il DEA con rapidità, sicurezza ed efficacia erogando lo shock di defibrillazione secondo le indicazioni espresse automaticamente dall’apparecchio  La possibilità di utilizzare il DEA da persone non sanitarie né mediche, purché abilitate, si configura nel PAD, Public Access Defibrillation, sistema organizzativo che rappresenta un pregresso fondamentale nella lotta contro l’arresto cardiaco compreso quello dell’atleta! Il DEA secondo il Decreto di cui sopra è previsto in tutti i luoghi frequentati nei quali si pratica attività sportiva agonistica e non agonistica compresi stadi e palestre, tenendo conto anche della necessità di eventuale soccorso a pubblico e spettatori presenti.

In conclusione: in caso di arresto cardiaco sul campo si deve intervenire immediatamente con le manovre cardiorespiratorie basali, con l’applicazione diagnostica e terapeutica del DEA, con il suo utilizzo da parte di persone abilitate e contemporaneamente procedendo alla immediata richiesta d’intervento dei mezzi di soccorso e trasporto al Centro Ospedaliero allertato. Tutti gli atleti ed operatori sportivi devono essere in grado di prestare le prime manovre di rianimazione (Basal Life Support, BLS) ed un numero maggiore possibile dovrebbe essere “certificato” dall’uso del DEA.

In caso di arresto cardiaco di un atleta sul campo, non perdere tempo ed iniziare immediatamente le manovre rianimatorie, utilizzare il defibrillatore esterno semiautomatico se abilitati ad usarlo, chiamare il 118

Promuovere la conoscenza della diagnosi e terapia, assicurare la miglior
qualità di vita per ogni paziente con aritmie cardiache


Opuscolo informativo a cura di:

Prof. Francesco Furlanello
Senior Consultant Centro di Aritmologia ed Elettrofisiologia Clinica –  IRCCS Policlinico San Donato (MI)
Casa di Cura Villa Bianca (Trento) - Coordinatore Nazionale ANA-Aritmie
Chairman

Dott. Antonio Pelliccia
Direttore Scientifico dell’Istituto di Medicina e Scienza dello Sport – CONI – Roma
Collaboratore alla revisione

Dott. Franco Giada
Responsabile Unità Prescrizione Esercizio Fisico e Cardiologia Riabilitativa – Noale (VE)
Collaboratore alla revisione

Dott. Antonio Sorgente
Centro di Aritmologia ed Elettrofisiologia Clinica - IRCCS Policlinico San Donato (MI)
Collaboratore alla revisione

Paolo Coroneo
Dipartimento Grafica ANA-Aritmie – Disegni - IRCCS Policlinico San Donato (MI)

Silvia E. A. Siminelli
Segretario Generale ANA-Aritmie

Dott. Riccardo Cappato
Direttore Centro di Aritmologia ed Elettrofisiologia Clinica - IRCCS Policlinico San Donato (MI)
Presidente ANA-Aritmie
Chairman

ASSOCIAZIONE NAZIONALE PER LE ARITMIE



Costituita in Atto formale il 02/05/2010 con Sede in
Via Turati, 26 – 20121 MILANO, affiliata ad Arrythmia Alliance UK.
Organizzazione Registrata al N. 97555830153
Sede Legale Via Turati, 26 – 20121 Milano
Sede Operativa Via Palmanova 213/A – 20132 Milano
Tel. 02 25 62 949 – Fax 02 25 62 949 – E-mail: info@anaaritmie.org
Web site: www.anaaritmie.org

E’ un ente di diritto privato senza fine di lucro che intende uniformarsi, nello svolgimento della propria attività, ai principi di democraticità interna e della struttura, di elettività, di gratuità delle cariche associative ed ha lo scopo di:

  • Alleviare gli effetti delle Aritmie Cardiache e fornire supporto e informazione a coloro che ne soffrono; particolare riguardo è posto verso i trattamenti disponibili e l’accesso a questi ultim
  • Accrescere l’educazione del personale medico e dell’opinione pubblica sulle Aritmie Cardiache e sulle loro implicazioni per i pazienti e la famiglia
  • Promuovere la ricerca nella diagnosi e nella gestione delle Aritmie Cardiache e supportare la pubblicazione dei risultati di tali studi.

L’iscrizione per i Soci che entrano a far parte dell’Associazione è gratuita ed è di fondamentale aiuto per la diffusione nella popolazione di ogni età del progetto ANA-Aritmie.
Il Presidente dell’Associazione è il Dott. Riccardo Cappato Direttore Centro di Aritmologia Clinica ed Elettrofisiologia IRCCS San Donato Milanese.

Inviare il presente modulo al n. di Fax: 02 25 62 949 o E-Mail: info@anaaritmie.org

DELLA STESSA SERIE:

CONOSCERE LE ARITMIE CARDIACHE

ARITMIE E SPORT: GUIDA PRATICA PER LA POPOLAZIONE DI OGNI ETA’

CONOSCERE IL CARDIOPALMO

ABLAZIONE TRANSCATETERE MEDIANTE RADIOFREQUENZA

ABLAZIONE TRANSCATETERE MEDIANTE RADIOFREQUENZA

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OPUSCOLO INFORMATIVO A CURA DI:
Prof. Francesco Furlanello
Coordinatore Nazionale Attività Formativa ANA-Aritmie
Tiziana Gorjup
Segretaria Nazionale ANA-Aritmie
Paolo Coroneo
Dipartimento Grafica ANA-Aritmie – Disegni
Dott. Antonio Sorgente
Collaborazione alla revisione
Dott. Riccardo Cappato
Presidente ANA-Aritmie

L’ABLAZIONE TRANSCATETERE MEDIANTE RADIOFREQUENZA DELLE ARITMIE

PRESENTAZIONE
Le aritmie sono irregolarità della normale attività elettrica cardiaca che possono verificarsi ad ogni età della vita, più frequenti in quella avanzata e più importanti in soggetti con patologia cardiaca sottostante.
Le aritmie sono sicuramente l’anomalia della funzionalità cardiaca più frequente in senso assoluto ancorché in molti soggetti non abbiano alcuna conseguenza clinica ed essere benigne e transitorie.
In certi pazienti possono essere causa di cattiva qualità di vita, provocare la comparsa od il peggioramento di malattie cardiache sottostanti ed essere alla base dei meccanismi elettrici della morte improvvisa.
L’Associazione Nazionale per le Aritmie ANA- Aritmie, costituita da circa 1 anno, aperta ad ogni cittadino, si configura come una succursale di Arrhythmia Alliance, famoso sodalizio che ha un grande seguito nel Regno Unito. Essa ha come scopo statutario il promuovere le conoscenze, la diagnosi e la terapia e di assicurare la miglior qualità di vita per ogni paziente con aritmia cardiaca.
Questo Opuscolo informativo “L’Ablazione transcatetere mediante radiofrequenza” si propone di far conoscere gli aspetti più importanti di questo moderno trattamento non farmacologico rappresentato dall’erogazione, all’interno delle cavità cardiache, raggiunte con sonda transcutanea (detta “elettrocatetere”) di energia in grado di provocare l’emissione mirata di calore idonea a “bruciare” la sede critica d’origine o di decorso di una determinata aritmia eliminandone la sorgente, derivandone frequentemente la guarigione definitiva del paziente. Ciò contrariamente ai farmaci antiaritmici che anche quando efficaci, il che non avviene costantemente per tutti i soggetti e per molte aritmie, agiscono controllando, senza eliminarla, la sorgente aritmica con lo svantaggio anche di dover essere somministrati in taluni casi a tempo indefinito. Vi sono categorie di soggetti con particolare riguardo ai bambini, ai giovani, agli atleti nei quali l’ablazione transcatetere con radiofrequenza rappresenta realmente il trattamento risolutivo e liberatorio. Analogamente vi sono tipi di aritmie recidivanti o continuative, come la fibrillazione atriale di cui si parla ampiamente in questo Opuscolo, nel quale l’intervento ablativo rappresenta una risorsa terapeutica fondamentale tale da cambiare la qualità di vita particolarmente in soggetti nei quali l’anomalia elettrica aritmica è l’unica patologia cardiaca presente. Questo opuscolo informativo è stato introdotto da due precedenti libretti propedeutici, pubblicati da ANA-Aritmie, quali “Conoscere il cardiopalmo” e “Conoscere le aritmie cardiache” a disposizione di ogni cittadino.
Riccardo Cappato              Francesco Furlanello

COS’È L’ ABLAZIONE TRANSCATETERE MEDIANTE RADIOFREQUENZA

Il sistema elettrico cardiaco produce in condizioni di normalità un singolo impulso elettrico alla volta e tale impulso viene condotto generalmente in un’unica direzione, vale a dire dagli atri ai ventricoli passando per il nodo atrioventricolare.
In particolari condizioni, presenti fin dalla nascita o acquisite durante la vita adulta, può succedere che possano essere prodotti più impulsi contemporaneamente o che un singolo impulso possa essere condotto attraverso percorsi o vie anomale chiamate accessorie. Il risultato è la comparsa di cardiopalmo tachicardico regolare o irregolare.
In particolari condizioni, presenti fin dalla nascita o acquisite durante la vita adulta, può succedere che possano essere prodotti più impulsi contemporaneamente o che un singolo impulso possa essere condotto attraverso percorsi o vie anomale chiamate accessorie. Il risultato è la comparsa di cardiopalmo tachicardico regolare o irregolare.

La tachicardia da rientro del nodo atrio-ventricolare e la tachicardia da rientro mediata da fascio di conduzione accessorio (la cosiddetta sindrome di Wolff-Parkinson-White) sono causate dalla presenza di una via di conduzione in più. La fibrillazione e le tachicardie atriali da un lato e la tachicardia ventricolare dall’altro sono invece in via di massima generate da impulsi che si originano al di fuori delle “centraline” del ritmo cardiaco, vale a dire il nodo del seno ed il nodo atrioventricolare.
L’ablazione transcatetere mediante radiofrequenza è un trattamento non farmacologico che consente di abolire gli impulsi elettrici soprannumerari o le vie accessorie responsabili delle suddette tachicardie. Rispetto ai farmaci che sedano ma non aboliscono le aritmie, l’ablazione può guarire il paziente mediante l’eliminazione definitiva della sorgente di danno.

ABLAZIONE TRANSCATETERE MEDIANTE RADIOFREQUENZA DELLE TACHICARDIE DA RIENTRO

L’ablazione transcatetere è una procedura minimamente invasiva effettuata solitamente in anestesia locale. Talvolta il paziente può anche essere addormentato ma senza mai richiedere l’intubazione. In sostanza, dei sottili tubicini dotati di elettrodi all’estremità (chiamati in gergo “elettrocateteri”) vengono introdotti in corrispondenza dell’inguine destro e/o sinistro e portati attraverso il circolo sanguigno all’interno delle camere cardiache. Generalmente, un elettrocatetere viene appoggiato nell’atrio destro, un elettrocatetere in ventricolo destro ed un altro sul nodo atrio-ventricolare. In alternativa, talora il catetere posizionato in atrio destro viene spostato all’interno del seno coronarico, che è la vena che raccoglie il sangue proveniente dal cuore.
A questo punto, il cuore può essere stimolato attraverso un pacemaker esterno con lo scopo di indurre la tachicardia che il paziente riferisce di avere o di cui è stata riportata documentazione elettrocardiografica. Talvolta alcuni farmaci quali l’atropina o l’isoprenalina vengono somministrati con lo scopo di simulare situazioni tipo stress o sforzo fisico che spesso si associano alla comparsa di cardiopalmo. La procedura ablativa verrà successivamente adattata al tipo di aritmia indotto ed identificata.
Il trattamento consiste in generale nel “bruciare” la sede di aritmia (un po’ come si fa con porri o altre escrescenze sulla pelle per eliminarle) attraverso un elettrocatetere speciale, chiamato ablatore. L’energia erogata all’interno del cuore di solito è completamente indolore talora può essere associata ad una moderata sensazione di dolore o di bruciore dietro allo sterno o localizzata sulla parete toracica anteriore. Dopo l’applicazione dell’energia ablativa il cuore viene nuovamente stimolato con lo scopo di riprodurre la tachicardia e di verificare l’efficacia della procedura ablativa stessa.
Una volta che la tachicardia non è più riproducibile, tutti i cateteri vengono rimossi dall’interno del cuore ed il paziente viene posto sotto osservazione per una durata variabile a seconda del tipo e della durata della procedura subita.

ABLAZIONE TRANSCATETERE MEDIANTE RADIOFREQUENZA DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE

La fibrillazione atriale è la più comune aritmia prolungata fra tutti i disturbi del ritmo cardiaco e fra tutte le cause del cardiopalmo irregolare. La forma parossistica, caratterizzata da episodi che si risolvono spontaneamente nel giro di minuti, ore o qualche giorno, può essere particolarmente suscettibile di un trattamento ablativo. Studi nell’uomo hanno dimostrato che la fibrillazione è favorita dalla comparsa di impulsi elettrici provenienti dalle vene “polmonari”, cioè che portano il sangue dai polmoni al cuore. Il trattamento di ablazione della fibrillazione atriale consiste nel cercare di eliminare questi focolai aritmogeni originanti da fibre muscolari presenti nelle vene polmonari, impedendo così i disturbi al cuore (cardiopalmo) che ne derivano. Questo è il motivo per il quale questa ablazione viene chiamata anche isolamento elettrico delle vene polmonari. La procedura di ablazione della fibrillazione atriale prevede l’introduzione di un elettrocatetere e di un ablatore in atrio sinistro. Per fare questo, il cardiologo operatore deve effettuare una puntura transettale, che consiste nel trapassare il setto interatriale (vale a dire la sottile membrana che separa l’atrio destro dall’atrio sinistro) con un ago denominato per l’appunto transettale.

Il catetere ablatore viene quindi posizionato in corrispondenza dell’imbocco delle vene polmonari nel cuore. Per localizzare le vene, il medico può utilizzare del mezzo di contrasto radiologico o puo’ fare riferimento ad una TAC o ad una risonanza cardiaca (RMN), che il paziente generalmente effettua Tachicardia Ritmo normaleprima della procedura e che, in alcuni casi, può essere proiettata sul monitor della sala operatoria durante l’intervento.
Talora, l’ablazione può essere facilitata dall’uso di un sistema di mappaggio elettroanatomico, che ,come un navigatore GPS, guida l’operatore nella localizzazione delle vene polmonari e delle altre strutture anatomiche di rilievo e permette di memorizzare le singole lesioni determinate dalle singole bruciature. Durante tutta la procedura, il paziente addormentato (ma non intubato) viene sottoposto a terapia anticoagulante con lo scopo di evitare la formazione di trombi nell’atrio sinistro e per scongiurare la possibilità di un ictus durante l’intervento.

CONSIGLI GENERALI DA SEGUIRE DOPO LA PROCEDURA DI ABLAZIONE

La maggior parte dei pazienti recuperano molto rapidamente dalla procedura di ablazione e possono ritornare alla vita normale già il giorno successivo all’intervento. Il consiglio di massima, a prescindere dall’esito e dal tipo di ablazione, è comunque quello di evitare di alzare pesi per le due settimane successive alla procedura, soprattutto se il paziente sta assumendo terapia anticoagulante. Dopo l’ablazione, è abbastanza frequente che il paziente sia più cosciente dei propri battiti o che possa avvertire battiti in più o mancanti.

Il paziente dovrebbe cercare di non sopravvalutare tali sintomi, che in genere vanno scomparendo progressivamente man mano che ci si allontana dalla procedura. Nel caso in cui invece il paziente continui ad avere palpitazioni o cardiopalmo, è importante avvisare il cardiologo di riferimento, perché è probabile che la procedura possa essere stata non completamente risolutiva. Può accadere in alcuni casi che siano necessarie più procedure di ablazione prima di ritenere la tachicardia completamente curata.

Promuovere la conoscenza della diagnosi e terapia, assicurare la miglior qualità di vita per ogni paziente con aritmie cardiache

Inviare il presente modulo al n. di Fax: 02 25 62 949 o E-Mail: info@anaaritmie.org

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CONOSCERE LE ARITMIE CARDIACHE

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CONOSCERE IL CARDIOPALMO

ABLAZIONE TRANSCATETERE MEDIANTE RADIOFREQUENZA

CONOSCERE IL CARDIOPALMO

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OPUSCOLO INFORMATIVO A CURA DI:
Prof. Francesco Furlanello
Coordinatore Nazionale ANA-Aritmie
Tiziana Gorjup
Segretaria Nazionale ANA Aritmie
Paolo Coroneo
Dipartimento Grafica ANA Aritmie
Leandro Gloria
Disegni
Dott.ssa Franca Porciani
Supervisione testo e grafica
Dott. Riccardo Cappato
Presidente ANA Aritmie

CARDIOPALMO

PRESENTAZIONE

Una semplice automisurazione del polso può rilevare un gran numero di problemi aritmici, cioè d’irregolarità dell’attività cardiaca, che devono essere segnalati al medico curante e che in molti casi possono essere trattati con successo dallo specialista.
Conosci il tuo polso, “know your pulse”, è il motto di una vasta campagna preventiva 2010 per le malattie cardiovascolari che si svolge in tutta la Gran Bretagna promossa dall’Associazione Internazionale “Arrhythmia Alliance” formata da volontari laici di ogni estrazione sociale e da medici di base e specialisti, iniziata con un grande lancio e ampia ricaduta sui media, presso la Camera dei Comuni di Londra e seguita da incontri e iniziative a tappeto in tutto il Regno Unito.
L’Associazione Nazionale per le aritmie ANA-ARITMIE affiliata alla Arrhythmia Alliance inglese ha come scopo principale della sua esistenza il promuovere la comprensione, la diagnosi, il trattamento delle aritmie cardiache e migliorare la qualità di vita in chi ne soffre.
L’Associazione , di recente costituzione, ha preparato al riguardo questo libretto informativo “ Il cardiopalmo” , scritto con il sistema della domanda-risposta per renderlo più pratico al cittadino italiano.
Il capitolo rappresenta un momento importante per apprendere gli elementi necessari all’automisurazione del proprio polso.
Il cardiopalmo (o palpitazione o batticuore) è la sensazione soggettiva, spesso molesta e fastidiosa dell’attività cardiaca e rappresenta uno dei motivi più frequenti di ricorso al medico curante , al cardiologo, al pronto soccorso.
Un riconoscimento precoce e corretto del tipo di cardiopalmo che il soggetto presenta, sporadicamente o frequentemente, consente una diagnosi tempestiva dell’aritmia che lo provoca e permette di utilizzare in modo efficace quei mezzi terapeutici di cui l’Aritmologo moderno dispone per il singolo paziente.
Sintetizzando, ogni cittadino deve imparare a riconoscere nel modo migliore, attraverso il rilevamento del proprio polso, le caratteristiche del cardiopalmo e fare successivamente capo al medico curante che saprà guidarlo nella diagnosi e nelle cure indirizzandolo più o meno urgentemente, se opportuno, a quegli specialisti ed istituzioni cardiologiche specializzate nel campo delle aritmie cardiache che sono ben funzionanti in Italia.
Riccardo Cappato              Francesco Furlanello

COS’È IL CARDIOPALMO

Il cardiopalmo (o palpitazioni o batticuore) è la sensazione soggettiva e fastidiosa dell’attività cardiaca che si verifica in un cuore normale durante lo sforzo fisico intenso o una violenta emozione, ansia e paura. Il cardiopalmo rappresenta uno dei motivi più frequenti di ricorso al medico curante, al cardiologo e al pronto soccorso per problemi cardiaci, con una frequenza quasi analoga a quella dovuta al dolore toracico. Il cardiopalmo rappresenta una situazione cardiaca importante che fa entrare il paziente in quel mondo delle aritmie cardiache di cui l’Associazione ANA – Aritmie si occupa a tempo pieno.
Approfondendo il problema del cardiopalmo si viene così a conoscenza di molti dei problemi diagnostici e terapeutici delle aritmie cardiache che sono più specificatamente approfonditi negli altri capitoli informativi che l’ANA-Aritmie mette a disposizione del paziente per aiutarlo a risolvere i problemi esistenziali legati alle aritmie stesse. La capacità del paziente di avvertire un disturbo, a volte fastidioso, come il cardiopalmo può essere peraltro una sensazione utile per identificare l’aritmia del quale il soggetto è portatore. Ne è una controprova la presenza di aritmie importanti, la fibrillazione atriale o la tachicardia ventricolare, che talora non sono avvertite dal paziente con una conseguente mancanza di diagnosi e, soprattutto, di trattamento tempestivo.

Il cardiopalmo rappresenta uno dei motivi cardiologici più frequenti di ricorso al medico curante, al cardiologo e di accessi al pronto soccorso

QUALI SONO I TIPI DI CARDIOPALMO?

Il soggetto normale, senza patologia cardiaca, può avvertire il battito cardiaco in modo inusuale, ma in condizioni prettamente fisiologiche e quindi benigne, durante uno sforzo fisico: in questo caso realizza la presenza di battiti cardiaci più forti, più intensi e (di solito) più veloci del solito.
Nel cardiopalmo patologico il soggetto può avvertire una serie di sintomi molto diversi a seconda del tipo di alterazione del ritmo cardiaco che presenta. Il cardiopalmo può essere: irregolare, tachicardico, bradicardico o di entrambi i tipi. Il cardiopalmo può comparire sporadicamente, in modo imprevedibile ed in tal caso rappresenta un evento difficile da documentare, oppure può verificarsi di frequente anche con una certa periodicità ed essere di durata prolungata da minuti a giorni.

Il soggetto può avvertire battito cardiaco durante uno sforzo fisico

Il cardiopalmo può comparire di frequente, con una certa periodicità ed essere di durata prolungata da minuti ad ore a giorni.

COS’E’ IL CARDIOPALMO IRREGOLARE?

E’ rappresentato da una serie di sintomi irregolari per frequenza ed intensità che vengono avvertiti come battito più forte, frullo d’ali nel torace, sensazione di battito irradiato al collo, sensazione di colpo (dolorosa) sul torace, tonfo al cuore, perdita di battito. Il cardiopalmo irregolare è prevalentemente dovuto alla presenza di aritmie ectopiche atriali o ventricolari, singole od in successione che interrompono la regolarità di un battito normale comunemente chiamate “extrasistoli”.
Frequentemente queste aritmie hanno significato benigno ma devono essere riconosciute come tali grazie ad una documentazione elettrocardiografica e clinica. A volte però sono patologiche per caratteristiche e substrato cardiaco. Le aritmie ectopiche sono di vario tipo, conseguenti spesso a disturbi di tipo alimentare e digestivo, per pasti abbondanti o consumati in fretta, di alcol, di sostanze stimolanti aritmogene particolarmente se in associazione, con particolare riguardo alla caffeina, alla nicotina e ad una lunga serie di sostanze così dette illecite o ricreazionali. Sensazioni di battito cardiaco forte sono dovute alla contrazione cardiaca post-ectopica con espulsione di maggiore quantità di sangue presente nel cuore.

Le aritmie ectopiche sono frequentemente conseguenti ad assunzione di pasti abbondanti o in fretta

Anche l’assunzione di alcol può essere causa delle aritmie ectopiche

Un cardiopalmo irregolare è anche conseguenza di fibrillazione atriale, aritmia caratterizzata dall’irregolarità e variabilità della frequenza cardiaca. Essa rappresenta la forma aritmica prolungata più frequente, soprattutto nell’età media e avanzata. L’irregolarità della fibrillazione atriale è dovuta alla messa fuori uso del centro sinusale, che è un vero e proprio segnapassi del ritmo cardiaco, cui consegue un numero altissimo di stimoli atriali in gran parte inefficaci (fino a 1000/min.) che arrivano ai ventricoli dopo aver superato un filtro anatomo-funzionale rappresentato dal nodo atrio-ventricolare.
La frequenza ventricolare così modulata viene ad essere inferiore, oscillando di solito fra i 60-200 bpm per minuto, in base all’attività fisica del soggetto ed al tipo di fibrillazione atriale.
Uno speciale capitolo al quale rimandiamo è dedicato alla fibrillazione atriale.

Le aritmie ectopiche sono favorite dall’assunzione di caffeina e nicotina

COS’E’ IL CARDIOPALMO TACHICARDICO?

Il paziente avverte una sensazione di battito cardiaco più veloce sia di quello basale che di quello sotto sforzo normale, che può essere ritmico come nelle tachicardie sopraventricolari o ventricolari che assumono la definizione di parossistiche quando l’esordio è brusco e improvviso. Certi tipi di tachicardia sopraventricolare si accompagnano alla sensazione di battito violento e rapido che si diffonde al collo in quanto l’attività atriale si verifica in modo abnorme rispetto a quella ventricolare (segno della rana). Questi tipi di tachicardie parossistiche si accompagnano alla emissione di una grande quantità di urina (poliuria) dovuta alla secrezione di un particolare ormone detto natriuretico atriale condizionato dalla tachicardia stessa. La poliuria può essere anche presente per il tipo più comune di cardiopalmo tachicardico irregolare rappresentato dalla fibrillazione atriale. Le tachicardie parossistiche sopraventricolari a volte si interrompono con manovre vagali effettuate e gestite dal medico (compreso il massaggio del seno carotideo e dei bulbi oculari ) ma che taluni pazienti effettuano istintivamente, quale l’accovacciamento e l’immersione della faccia in acqua fredda (bambini) e la manovra di Valsalva, inspirazione profonda ed espirazione a bocca chiusa.

COS’E’ IL CARDIOPALMO BRADICARDICO?

Il cardiopalmo bradicardico (da bradys, lento in greco), che si considera tale quando la frequenza cardiaca scende sotto i 60 battiti al minuto, è più rara delle altre forme di palpitazione in quanto la bradicardia è meno spesso sintomatica ancorché possa accompagnarsi od essere spia di sintomi di altro tipo quali vertigini, lipotimia e sincope (improvvisa transitoria perdita di coscienza da insufficiente ossigenazione cerebrale). La bradicardia è più frequente, anche se di rado dà sintomi, nella persona anziana ed è dovuta all’effetto dell’invecchiamento sul centro sinusale, e nell’atleta ove è espressione di adattamento fisiologico allo sforzo fisico sportivo continuato. La diagnosi di bradicardia è peraltro difficile in assenza di registrazioni ECG, potendo dipendere sia da una depressione della funzione dell’attività elettrica sinusale, da un blocco transitorio ed incostante di essa (blocco seno-atriale) o da un disturbo della conduzione atrio-ventricolare quale il blocco atrio-ventricolare di II°/III° grado incompleti o completi.

La bradicardia è più frequente nell’atleta ove è espressione di adattamento fisiologico allo sforzo fisico sportivo continuato

Una tipica condizione patologica che può dare origine a cardiopalmo bradiaritmico e tachiaritmico sintomatico è rappresentata dalla malattia del nodo del seno nella quale si verificano sia momenti di rallentamento dell’attività cardiaca sia di accelerazione tachicardica dovuti a tachiaritmie atriali compresa la fibrillazione atriale.
Le aritmie bradiaritmiche, quando importanti e fonte di severi disturbi soggettivi, vengono corrette con l’impianto di un sistema di elettrostimolazione (pace maker) con successiva buona qualità di vita.

COME SI DIAGNOSTICA UN CARDIOPALMO

Il gold standard diagnostico è rappresentato dalla documentazione elettrocardiografica in coincidenza della presenza dei sintomi. Da essa si capisce ad esempio se si tratta di una semplice accelerazione del centro sinusale, tachicardia sinusale, molto comune anche in soggetti senza cardiopatia soprattutto per motivi di origine psichica (da ansia di vario grado fino al panico e a vere patologie psichiatriche).
Frequentemente la tachicardia sinusale sintomatica è dovuta a una serie di farmaci in grado di stimolare il centro sinusale con particolare riguardo a sostanze “stimolanti” assunte sia per motivi terapeutici (inibitori dell’appetito utilizzati per dimagrire, certi farmaci anti-tosse, farmaci anti-asmatici quali i Beta2-stimolanti presi di solito per inalazione), sia a scopo voluttuario ricreazionale con particolare riguardo ad anfetamine, derivati efedrinici di sintesi o vegetale (cocaina, cannabinoidi, nitrati per inalazione ecc). Tutte queste condizioni sono responsabili di un cardiopalmo tachicardico sinusale non dovuto a cardiopatia.
La registrazione elettrocardiografica è fondamentale per riconoscere la presenza di vari tipi di ectopie cardiache, atriali, ventricolari, semplici o complicate, quali tachicardie sopraventricolari dovute a circuiti rientranti (tachicardie sopraventricolari atrio-ventricolari da rientro), o di tachicardie atriali dovute ad un focolaio ectopico (tachicardie atriali focali). L’elettrocardiogramma è inoltre indispensabile per riconoscere la fibrillazione atriale ed il flutter atriale (aritmia atriale cortocircuitante organizzata con tipico elettrocardiogramma diagnostico a denti di sega) ed in particolare le tachicardie ad origine ventricolare. Queste ultime possono essere di varia gravità in base alla frequenza che realizzano, i sintomi che producono (lipotimia, sincope) ed alla presenza di una cardiopatia sottostante in grado di indurre aritmie (cardiopatia aritmogena).
In molti casi la sola registrazione elettrocardiografica non è in grado di registrare gli eventi causa di cardiopalmo in quanto si tratta di un esame standard che coglie un numero molto limitato di battiti cardiaci. E’ perciò indispensabile ricorrere ad altre indagini elettrocardiografiche quali:
1) monitoraggio ECG dinamico di Holter (cosiddetto dal nome dell’inventore), che consente di registrare i battiti cardiaci delle 24 ore nell’ambito dei quali può essere presente il momento di cardiopalmo sintomatico. Al riguardo è fondamentale la collaborazione del paziente che deve compilare un diario dettagliato segnando con precisione l’ora in cui ha presentato il sintomo e l’attività nella quale si è verificato (stato di riposo, pasti, attività fisica, momenti particolari, assunzione di farmaci, riposo notturno ecc.).

L’ECG dinamico di Holter consente di registrare i battiti cardiaci delle 24 ore

2) test ergometrico nell’ambito del quale viene eseguita una registrazione elettrocardiografica che consente di scoprire gli eventuali momenti aritmici anche asintomatici che si accompagnano allo sforzo. Ciò è particolarmente importante per certe patologie cardiache come quelle del muscolo cardiaco, delle coronarie e nell’atleta. In quest’ultimo la prova da sforzo può riprodurre sintomi che compaiono durante l’attività fisica, l’allenamento o la competizione, dovuti ad aritmie a rischio a volte anche grave.
3) altri tipi di registrazione elettrocardiografica continuativa che si avvalgono di sistemi di monitoraggio quali l’event recorder, sistemi portatili di ridotte dimensioni e di facile uso, autogestiti ovvero applicati direttamente sulla pelle dai pazienti stessi quando avvertono i sintomi. Molto redditizi i loop recorder esterni simili all’Holter, collegati al paziente continuamente con elettrodi, muniti di memoria che forniscono registrazione da 1 a 3 minuti prima e dopo l’attivazione manuale del paziente. Attualmente sono disponibili dispositivi più perfezionati che si attivano automaticamente in presenza di eventi aritmici. La durata utile di questo tipo di monitoraggio è di circa 2 settimane.

Il test ergometrico consente attraverso una registrazione elettrocardiografica di registrare gli eventuali momenti aritmici, anche asintomatici, che si accompagnano allo sforzo

L’Event Recorder è un sistema di registrazione elettrocardiografica continuativa portatile, di ridotte dimensioni e di facile uso

4) telemetria cardiaca mobile ambulatoriale (TCMA). Sistema formato da un registratore collegato al paziente con elettrodi e da un ricevitore portatile in grado di trasmettere in tempo reale via telefono o per via telematica la traccia elettrocardiografica. Anche questo periodo di osservazione ha una buona resa in una durata di 2 settimane di osservazione.

La telemetria è un sistema formato da un registratore collegato al paziente con elettrodi

5) loop recorder impiantabili. Sono sistemi di dimensioni molto ridotte che vengono impiantati sotto cute nella regione precordiale sinistra mediante un piccolo taglio della pelle (di 2 cm). Questi apparecchi della durata di circa 36 mesi sono in grado di registrare automaticamente eventi aritmici saltuari altrimenti non diagnosticabili, sia di tipo rapido che bradicardico.

E’ un sistema di dimensioni molto ridotte che viene impiantato sotto la cute mediante un piccolo taglio di 2 cm

La diagnosi di cardiopalmo si completa nell’effettuazione di tutte quelle indagini che il cardiologo ritiene necessarie per escludere l’esistenza di una patologia cardiaca che lo causi o che si accompagni ad esso, quali patologie aritmogene, malattie delle coronarie, del muscolo cardiaco, delle valvole e dei grandi vasi il cui riconoscimento porterà alla cura completa del paziente con cardiopalmo.
Questi esami consistono nello studio ecocardiografico, nello studio elettrofisiologico all’interno del cuore (studio elettrofisiologico endocavitario), nella coronarografia, nella risonanza magnetica nucleare, nella tomografia cardiaca computerizzata. La terapia poi sarà conseguente alla diagnosi fatta.

LA COLLABORAZIONE DEL PAZIENTE CON CARDIOPALMO

Una descrizione accurata soggettiva del cardiopalmo è fondamentale per identificare le cause e per orientare il trattamento. Il paziente deve riferire con precisione come si verifica l’esordio, brusco o graduale del cardiopalmo, i sintomi che lo accompagnano, la durata, la regolarità ed irregolarità, il modo in cui si risolve, rapido o graduale, le condizioni nelle quali si realizza (sforzo fisico, pasti, sonno, rapporti sessuali, lavoro, emozioni). Molto utile far riprodurre al paziente, tamburellando su una superficie piana, le caratteristiche, regolari od irregolari e le frequenze basse od elevate od elevatissime del battito cardiaco durante l’episodio di cardiopalmo. È perciò necessario insegnare a rilevare con relativa esattezza il polso radiale (o temporale o carotideo) rendendo operante il motto della ANA – Aritmie “conoscere il proprio polso”.
Il paziente deve fare ogni sforzo per riferire, guidato con pazienza e esperienza dall’esaminatore, tutti i farmaci o le sostanze che assume tenendo conto che è molto comune dimenticare terapie assunte abitualmente (antidiabetici, anti-ipertensivi, sonniferi, antidepressivi, anticoncezionali per la disfunzione erettile).

E’ necessario imparare a rilevare con esattezza il polso carotideo

Deve segnalare anche se fa uso di sostanze come fito-derivati, energetici, integratori, corroboranti di bevande alcoliche od a contenuto caffeinico e se è fumatore.
Infine deve riferire se fa uso anche saltuariamente di sostanze ricreazionali, anabolizzanti ed illecite in generale. Informazioni utilissime per la diagnosi di cardiopalmo si raccolgono quando il paziente dispone di un cardiofrequenzimetro di impiego abituale (cyclette, attività sportiva ludica o professionale) o più semplicemente se sa verificare il comportamento della frequenza cardiaca durante l’automisurazione della pressione arteriosa al braccio.

COME SI CURA IL CARDIOPALMO?

Ottimi risultati si ottengono quando è stata raggiunta una diagnosi corretta ovvero sono state identificate le cause che provocano il cardiopalmo stesso.
1) TRATTAMENTO DEL CARDIOPALMO DA TACHICARDIA SINUSALE
La tachicardia sinusale rappresenta una causa frequente di cardiopalmo tachicardico da cause prettamente funzionali, endogene (ipertiroidismo, stati febbrili, patologie endocrine
particolari, disturbi psicofisici di varia gravità, dall’ansia fino ad una vera patologia psichiatrica) o in conseguenza dall’uso delle sostanze e dei farmaci che sono stati precedentemente riferiti. In queste situazioni un buon intervento medico aiuta a risolvere il problema. Queste considerazioni valgono anche per molte delle aritmie ectopiche (extrasistoli) atriali e ventricolari anche complesse senza patologia cardiaca sottostante che hanno un’evoluzione benigna.

La tachicardia sinusale rappresenta una frequente causa di cardiopalmo tachicardico, dovuta anche a stati febbrili

2) TRATTAMENTO DEL CARDIOPALMO CON FARMACI
Si basa sull’utilizzo di farmaci specifici antiaritmici che devono essere presi con regolarità, seguendo le prescrizioni mediche per quanto riguarda gli orari di assunzione ed evitando combinazioni terapeutiche incompatibili o pericolose. Utile seguire i consigli di assunzione delle varie sostanze in rapporto ai pasti (lontano, prima, durante, dopo) in quanto queste semplici attenzioni consentono di ottenere i migliori risultati possibili che il singolo farmaco può fornire in base alla sua biodisponibilità, cioè il rapporto fra la quantità introdotta, particolarmente per via orale e la quantità che raggiunge l’organo bersaglio (in questo caso il cuore) ove deve agire.

3) TRATTAMENTO DEL CARDIOPALMO CON PROCEDURE ABLATIVE CARDIACHE
Molte aritmie inoltre sono curabili con efficacia e con possibilità di guarigione con l’ablazione transcatetere intracardiaca soprattutto se effettuata in centri specializzati che fanno molti interventi.
Sono particolarmente sensibili a questo tipo di trattamento le tachicardie sopraventricolari da rientro e focali comprese quelle legate alla cosiddetta sindrome di WPW, certi tipi di tachicardia ventricolari benigne, ma anche forme severe che si accompagnano ad importanti patologie aritmogene come la cardiopatia post-infartuale o a patologie elettriche o muscolari cardiache destre e sinistre frequentemente su base genetica. Risultano aggredibili anche alcuni tipi di aritmie (extrasistoli) atriali e ventricolari che vengono però trattate con tale metodica impegnativa solo quando danno molti disturbi, inabilitanti o causa di patologie cardiache denominate tachicardiomiopatia, (cioè dovute ad una dilatazione del cuore conseguente alla continua o prolungata presenza di aritmie di solito ad alta frequenza). Un campo molto importante e molto promettente per il quale vi è un grande impegno nell’aritmologia moderna è rappresentato dall’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale, diretta ad isolare la zona di origine della tachiaritmia prevalentemente presente a livello degli sbocchi delle vene polmonari (cioè delle vene che scaricano nel cuore e più esattamente nell’atrio di sinistra il sangue dei polmoni) in quanto esse presentano nella parte terminale delle fibre muscolari che creano zone aritmogene.
La fibrillazione atriale attualmente viene anche trattata, (di solito in coincidenza di interventi cardiochirurgici sulle valvole cardiache o sulle coronarie) con interventi ablativi a cuore aperto o anche battente.
L’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale trova attualmente indicazioni anche in particolari sottogruppi di pazienti per i quali la presenza di questa aritmia rappresenta una grande limitazione, quali atleti professionisti sia giovani che delle categorie Master (dopo i 40 anni). In caso di successo gli atleti possono così riprendere la precedente attività sportiva anche agonistica dopo alcuni mesi dall’intervento. Un altro sottogruppo è rappresentata dai pazienti ultrasettantenni, e ottantenni, per i quali in casi molto selezionati, può essere utilizzata la terapia ablativa transcatetere della fibrillazione atriale con percentuali di successo e complicanze non diverse dall’età più giovanili.

ESISTONO FORME DI CARDIOPALMO NON DOVUTE AD ARITMIE?

Un cardiopalmo intenso e persistente può essere dovuto alla presenza di cardiopatie importanti come valvulopatie acquisite aortiche e mitraliche o tricuspidali o congenite con passaggio significativo di sangue fra le cavità (shunts) fino al più semplice prolasso della valvola mitralica o a protesi valvolari meccaniche. Sensazioni di cardiopalmo possono verificarsi nei portatori di elettrostimolatore cardiaco, di solito dopo l’impianto, o per disfunzioni funzionali del sistema o per ipersensibilità individuale. In questi casi i disturbi possono essere risolti procedendo a una attenta riprogrammazione anche solo per via telemetrica del sistema stesso.
Appare perciò fondamentale ricordare la raccomandazione di ANA Aritmie = imparare a conoscere il proprio polso

ESISTE UN CARDIOPALMO CONSEGUENTE ALL’INTERRUZIONE DI UNA TERAPIA FARMACOLOGICA ABITUALE?

La sospensione di alcuni farmaci ad azione sul sistema nervoso centrale, che il paziente assume abitualmente e da molto tempo, come benzodiazepine ad azione breve ed alcuni psicofarmaci, possono provocare una sindrome da astinenza con importante cardiopalmo per tachicardia sinusale, ectopie atriale e ventricolari, fibrillazione atriale. Tale sindrome è spesso accompagnata da ipertensione o ipotensione arteriosa, tremore, agitazione psichica, ansia fino al panico ed al delirio ed è trattabile con farmaci betabloccanti. Severe sindromi di astinenza con cardiopalmo importante si verificano per sospensione di cocaina, oppiacei, sostanze ricreazionali.

Promuovere la conoscenza della diagnosi e terapia, assicurare la miglior qualità di vita per ogni paziente con aritmie cardiache

Inviare il presente modulo al n. di Fax: 02 55 603125 o E-Mail: elettrofisiologia.psd@grupposandonato.it

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CONOSCERE LE ARITMIE CARDIACHE

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OPUSCOLO INFORMATIVO A CURA DI:
Prof. Francesco Furlanello
Coordinatore Nazionale ANA-Aritmie
Tiziana Gorjup
Segretaria Nazionale ANA-Aritmie
Paolo Coroneo
Dipartimento Grafica ANA-Aritmie
Leandro Gloria
Disegni
Dott.ssa Franca Porciani
Supervisione testo e grafica
Dott. Riccardo Cappato
Presidente ANA-Aritmie

ARITMIE CARDIACHE

PRESENTAZIONE
Le aritmie sono sicuramente l’anomalia della funzionalità cardiaca più frequente in senso assoluto anche se in molti soggetti non hanno alcuna conseguenza clinica e sono benigne e transitorie.
In certi pazienti possono essere causa di cattiva qualità di vita, provocare la comparsa o il peggioramento di malattie cardiache sottostanti ed essere alla base dei meccanismi elettrici della morte improvvisa.
Il sintomo più comune è sicuramente il Cardiopalmo (o palpitazione o batticuore) che rappresenta la sensazione soggettiva dell’attività cardiaca soprattutto quando irregolare.
Consiste in sensazione di battiti più forti, frequentemente irradiati al collo, di colpo quasi doloroso sul torace, frullo d’ali, perdita di battito. Il cardiopalmo può essere regolare o irregolare, bradicardico (sotto i 60 bpm) o tachicardico (sopra i 100 bpm). Le aritmie a volte si accompagnano a sintomi importanti quali astenia, dispnea, lipotimia (disturbo che precede la perdita di coscienza) e sincope (perdita di coscienza di breve durata a risoluzione spontanea accompagnata a riduzione del tono muscolare) ed in taluni casi ad arresto della circolazione.
E’ estremamente importante responsabilizzare il singolo soggetto sull’esistenza, sulle caratteristiche, sulle problematiche cliniche che riguardano i vari tipi di aritmie cardiache per poter ricorrere con tempestività al Medico Curante. Le aritmie in molti casi possono venir trattate e risolte dallo Specialista dotato di mezzi conoscitivi e terapeutici, farmacologici ed elettrici sempre più efficaci.
Il modo più elementare per introdurre il cittadino nel mondo apparentemente complesso delle aritmie cardiache è forse quello del riconoscimento del proprio polso onde cogliere quelle irregolarità che sono la conseguenza delle aritmie presenti.
Conosci il tuo polso “Know your pulse”, è il motto di una vasta campagna preventiva delle malattie cardiovascolari che si svolge in tutta la Gran Bretagna promossa dalla Associazione Internazionale “Arrhythmia Alliance” formata da volontari laici di ogni estrazione sociale e da medici di base e specialisti, iniziata con un grande lancio ed ampia ricaduta sui media , presso la Camera dei Comuni di Londra e seguita da incontri ed iniziative a tappeto in tutto il Regno Unito.
L’Associazione Nazionale per le Aritmie ANA-ARITMIE, di recente costituzione, aperta ad ogni cittadino, affiliata ad Arrhythmia Alliance inglese, ha lo scopo statutario di promuovere la conoscenza sulle diagnosi, sulla terapia e ad assicurare la miglior qualità di vita per ogni paziente con aritmie cardiache.
Questo Capitolo “Conoscere le Aritmie Cardiache” basato sul dialogo con domanda e risposta si propone di far conoscere i gruppi più importanti di aritmie cardiache, i relativi sintomi, le conseguenze soggettive, le metodologie diagnostiche di riconoscimento e i mezzi terapeutici adeguati per prevenirle e curarle.
L’impegno di ANA-ARITMIE, che comprende e sollecita la collaborazione di ogni cittadino interessato, si basa sulla convinzione che le aritmie cardiache possono essere gestite e curate a livello individuale con successo quando riconosciute con tempestività e precisione.
Riccardo Cappato              Francesco Furlanello

COS’È L’ARITMIA?

Le aritmie sono irregolarità della normale attività elettrica del cuore che possono verificarsi ad ogni età della vita, più frequenti in quella avanzata e più importanti in soggetti con patologia cardiaca sottostante.
E’ una irregolarità della normale attività elettrica del cuore che può comparire in ogni età della vita ma è più frequente in quella avanzata e più importante in soggetti con patologia cardiaca sottostante. L’aritmia è l’anomalia della funzionalità cardiaca più frequente anche se in molte persone non ha conseguenze cliniche. In certi pazienti può provocare la comparsa o il peggioramento di malattie cardiache sottostanti ed essere alla base dei meccanismi elettrici della morte improvvisa.

L’aritmia è una irregolarità della normale attività elettrica del cuore che può verificarsi ad ogni età della vita

IL CUORE HA UNA SUA PROPRIA ATTIVITA’ ELETTRICA?

Il cuore è dotato dalla nascita e fin dalla vita intrauterina di un automatismo elettrico che si origina in un centro situato a livello dell’atrio destro, chiamato nodo del seno.

Schema di un cuore normale

Lo stimolo elettrico si diffonde agli atri rappresentati dalle due cavità superiori del cuore (atrio destro e sinistro divisi dal setto interatriale), perviene al nodo atrio-ventricolare, zona a conduzione rallentata che agisce quale filtro di coordinamento. Esso attiva successivamente i due ventricoli (ventricolo destro e sinistro divisi dal setto interventricolare) diffondendosi attraverso un tessuto specifico che gli consente di raggiungere dall’alto in basso, e dall’interno all’esterno, tutte le pareti ventricolari per la contrazione e lo svolgimento dell’attività di pompa circolatoria del cuore.


Lo stimolo elettrico del cuore induce una regolare attività di pompa circolatoria del cuore

Dove si originano le aritmie?

Le aritmie possono originarsi in molti punti del cuore, atriali e ventricolari, con meccanismi diversi. Possono essere dovute a una semplice accelerazione dell’attività elettrica, a una disfunzione del nodo del seno, del nodo atrio-ventricolare, ad alterazione della conduzione dello stimolo a vari livelli. Inoltre, possono dipendere da particolari circuiti funzionali di automantenimento rotatorio, sia a livello atriale che ventricolare.
Possono essere conseguenti alla presenza di zone con patologie cardiache cicatriziali, come in malattie del muscolo, delle coronarie o a condizioni congenite caratterizzate da collegamenti anomali (dette vie accessorie), fra gli atri ed i ventricoli che “saltano” il nodo atrio-ventricolare (sindrome di WPW).

Quali sono i sintomi dell’aritmia?

Il sintomo più comune è sicuramente il cardiopalmo (o palpitazioni) che rappresenta la sensazione soggettiva dell’attività cardiaca soprattutto quando questa è irregolare.

Il sintomo più comune dell’aritmia è il cardiopalmo

Consiste in sensazione di battiti più forti spesso improvvisi, frequentemente irradiati al collo, quasi dolorosi sul torace, o come un frullo d’ali, o una perdita di battito. Il cardiopalmo può essere regolare o irregolare, bradicardico (sotto i 60 battiti al minuto) o tachicardico (sopra i 100 battiti al minuto).
Le aritmie a volte si accompagnano a sintomi più importanti quali astenia, dispnea, lipotimia (disturbo che precede la perdita di coscienza) e sincope (perdita di coscienza di breve durata accompagnata a riduzione del tono muscolare, che si risolve spontaneamente) e in taluni casi ad arresto del circolo.

Sincope: perdita di coscienza di breve durata

Cos’è la bradicardia?

La bradicardia si realizza quando la frequenza cardiaca scende sotto i 60 battiti al minuto ed è dovuta ad una serie di cause quali il rallentamento fisiologico notturno dovuto all’aumento del tono vagale, molto marcato nell’atleta allenato, all’effetto dell’età che frequentemente comporta un addensamento del nodo del seno, evento che non avviene in tutti i soggetti. La bradicardia è frequentemente dovuta all’effetto di farmaci che inibiscono e rallentano l’attività regolare del nodo del seno (betabloccanti, digoxina ecc.), a situazioni generali come l’ipotermia e l’ipotiroidismo, o a circostanze straordinarie, come le profonde immersioni in apnea.


La bradicardia è frequentemente dovuta all’effetto di farmaci e sostanze

La bradicardia può essere dovuta a ipotermie

La bradicardia può essere dovuta ad una patologia del centro sinusale, ma anche del nodo atrio-ventricolare o ad un disturbo della conduzione dello stimolo dagli atri ai ventricoli chiamato blocco atrio-ventricolare che può essere dovuto ad un semplice rallentamento (blocco AV di I° grado) e ad una interruzione temporanea ed incompleta (blocco AV di II° grado) o completa (blocco AV di III° grado).
Nel blocco atrio-ventricolare di II° e III° grado la frequenza cardiaca è condizionata dal numero dei battiti ventricolari efficaci. Una tipica condizione patologica che può dare origine a cardiopalmo bradiaritmico e tachiaritmico sintomatico è rappresentata dalla malattia del nodo del seno nella quale si verificano momenti di rallentamento dell’attività cardiaca ad altri di accelerazione dovuti a tachiaritmie atriali, compresa la fibrillazione atriale.
Le aritmie bradiaritmiche, quando importanti e fonte di disturbi soggettivi significativi, vengono corrette con l’impianto di un sistema di elettrostimolazione (Pace Maker) con successiva buona qualità di vita.

Cos’è la tachicardia?

La tachicardia è una frequenza cardiaca superiore ai 100 battiti al minuto. Essa va considerata normale quando è dovuta ad un fisiologico aumento dell’attività sinusale, come accade sotto sforzo, teso ad adeguare la portata circolatoria ai fabbisogni tissutali.
La tachicardia sinusale può essere peraltro dovuta ad uno stato di ansia fino all’agitazione psicogena, alla paura, ad eventi straordinari (incidenti, terremoti), può essere provocata da farmaci detti stimolanti in grado di accelerare il centro sinusale, assunti per motivi terapeutici (antiasmatici, beta 2 stimolanti per inalazione ecc.) o utilizzati a scopo voluttuario: anfetamine, derivati efedrinici, cocaina, cannabinoidi.


La tachicardia sinusale può essere dovuta ad una serie di emozioni ed eventi occasionali

Quali sono i tipi di tachicardia non sinusale?
1) Una tipica tachicardia patologica, frequentemente sintomatica ma non maligna è rappresentata dalla tachicardia da rientro del nodo atrio-ventricolare (TR NAV) sostenuta da una cortocircuitazione automantenentesi che si verifica di solito attraverso una doppia via nodale, rapida e lenta, con attivazione ventricolare veloce. Le TR NAV a volte si interrompono con manovre vagali che di solito sono effettuate e gestite dal medico (compreso il massaggio seno carotideo e dei bulbi oculari) ma che in taluni pazienti vengono effettuate spontaneamente istintivamente, quale l’accovacciamento e l’immersione della faccia in acqua fredda nei bambini e la manovra di Valsalva (inspirazione profonda ed espirazione a bocca chiusa) in donne abituate a precedenti parti naturali. La TR-NAV quando non migliora con la terapia farmacologica antiaritmica o quando è incompatibile con una normale qualità di vita, per le rapidissime palpitazioni, o la frequenza degli attacchi può essere trattata con l’ablazione transcatetere con radiofrequenza (TC/RF). Tale procedura viene eseguita con elettrocateteri intracavitari che posizionati nella sede di diffusione della tachicardia ne interrompono in via definitiva le percorribilità grazie all’erogazione di energia quale la radiofrequenza (od altra energia).

2) Un particolare tipo di tachicardia da rientro è dovuto alla sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW) anomalia congenita della conduzione cardiaca dovuta ad un collegamento muscolare particolare, non riassorbitosi dopo la nascita, che collega atri e ventricoli realizzando un tipico “by-pass elettrico”. A seguito dell’impulso elettrico, di solito rappresentato da uno o più battiti ectopici (extrasistoli) spontanei, il circuito si attiva e si automantiene ad alta frequenza con estrema variabilità di sintomi da soggetto a soggetto. La sindrome di WPW diventa particolarmente pericolosa quando la tachicardia è molto veloce o quando si verifica una fibrillazione atriale preeccitata con elevatissima stimolazione ventricolare . Anche nella sindrome da WPW il trattamento radicale si basa sulla TC/RF della via accessoria, nell’ambito di un accurato studio elettrofisiologico endocavitario diagnostico.

3) Un altro tipo di tachicardia atriale è rappresentato dalla tachicardia atriale focale che si origina da un centro ectopico al di fuori del nodo del seno, capace di automatismo patologico. Di solito questo tipo di tachicardia non è sensibile alle manovre vagali ed è ad inizio ed a cessazione graduale rispetto a quella brusca delle TR NAV parossistiche di cui sopra. La tachicardia atriale focale viene trattata con farmaci che possono essere presi alla comparsa della tachicardia (se questa è molto rara) in via continuativa se quest’ultima ha recidive frequenti anche ricorrenti. Anche la tachicardia atriale focale viene trattata con efficacia con procedura ablativa di TC/RF del centro di origine individuato con un mappaggio elettrofisiologico.

4) Le tachicardie ventricolari. Esistono diversi tipi di tachicardia ventricolare, dovuti al fenomeno del rientro autocircuitante o da origine focale. Alcune di esse sono benigne anche per assenza di una cardiopatia sottostante ma altre sono patologiche ed alcune pericolose per la vita.
Sono tali le tachicardie ventricolari che si accompagnano a certi tipi di patologie cardiache del muscolo, delle coronarie o per infiltrazione grassa delle pareti ventricolari (come nella displasia aritmogena del ventricolo destro). Una tipica tachicardia ventricolare è quella legata alle conseguenze di un precedente infarto miocardico con cortocircuito attorno alla zona cicatriziale. Le tachicardie ventricolari patologiche si accompagnano a sintomi importanti come astenia, dispnea, dolore precordiale, scompenso cardiaco, sincope fino all’arresto di circolo.
L’arresto di circolo di solito è dovuto alla comparsa di una fibrillazione ventricolare (FV) con stimolazione rapidissima disordinata, fascicolante delle camere ventricolari con scomparsa della funzione di pompa cardiaca. La fibrillazione ventricolare è causa di morte cardiaca se non viene rapidamente interrotta con manovre di rianimazione cardiocircolatorie con particolare riguardo alla defibrillazione elettrica esterna.
L’ablazione TC/RF della tachicardia ventricolare è di solito una procedura più complessa rispetto a quelle delle tachicardie atriali sopraventricolari, sia da rientro che focali che da via accessoria. Essa necessita di un intervento molto sofisticato con monitoraggio accurato della zona aritmogena con tecniche di interruzione eseguibili solo presso Centri altamente specializzati che fanno molti interventi.

Cos’è la cardioversione elettrica esterna?

Molti tipi di tachicardie sopraventricolari e ventricolari possono essere interrotte con cardioversione elettrica esterna (CVE) che può essere di elezione o di urgenza. In caso di elezione il paziente deve essere brevemente anestetizzato durante l’esecuzione della procedura, altrimenti molto dolorosa. Nel caso d’urgenza, come nella tachicardia ventricolare rapidissima e nella fibrillazione ventricolare il paziente è di solito già in stato di incoscienza.

Cos’è la fibrillazione atriale?

La fibrillazione atriale (FA) è la più comune aritmia prolungata fra tutti i disturbi del ritmo cardiaco e fra tutte le cause del cardiopalmo irregolare. Poco frequente o rara negli individui giovani si presenta con una frequenza maggiore nella popolazione sopra i 65 anni (5%) e sopra i 75 anni (10%).
L’irregolarità della fibrillazione atriale è dovuta alla messa fuori uso del centro sinusale con presenza di un numero altissimo di stimoli atriali in gran parte inefficaci (fino a 1000/min.) che arrivano a stimolare i ventricoli solo dopo aver superato il filtro anatomo-funzionale cardiaco rappresentato dal nodo atrio-ventricolare.

Fibrillazione Atriale

La frequenza ventricolare così modulata al livello nodale viene ad essere inferiore, oscillando di solito fra i 60-200 battiti per minuto, in base all’attività fisica del soggetto ed al tipo di fibrillazione atriale. In pratica gli atri non si contraggono e non esercitano alcuna attività di pompa meccanica, il nodo atrio-ventricolare blocca un certo numero di impulsi veloci atriali ed i ventricoli battono irregolarmente spesso ad alta frequenza, soprattutto in corso di sforzo fisico o di stimoli nervosi adrenergici quali l’ansia e l’agitazione psichica od esogeni quali i farmaci stimolanti prescritti od illeciti o voluttuari. La fibrillazione atriale può verificarsi in un cuore del tutto sano, e in quel caso si chiama fibrillazione atriale isolata o idiopatica, o accompagnarsi a patologie cardiache e generali quali la pressione alta, le cardiopatie valvolari, la cardiopatia ischemica, la miocardite, l’ipertiroidismo ecc. Vi è una serie di farmaci che possono provocare la comparsa della fibrillazione atriale quali sostanze “stimolanti” assunte anche per motivi terapeutici (inibitori dell’appetito utilizzati per ridurre il peso corporeo, certi farmaci anti-tosse, anti-asmatici quali i Beta2-stimolanti di solito per inalazione), o impiegati a scopo voluttuario con particolare riguardo a caffeinici, anfetamine, derivati efedrinici di sintesi o vegetale, cocaina, cannabinoidi.
Recenti studi documentano che la fibrillazione atriale può essere più frequente in atleti predisposti che effettuano attività competitiva soprattutto di resistenza per molti anni, intensa e regolare rispetto ai sedentari di pari età, con particolare riguardo a quelli inquadrati nelle categorie Master (dopo i 35 anni suddivise di 5 in 5 anni fino ai 60 – 70 e più anni).

Recenti studi documentano che la fibrillazione atriale può essere più frequente negli atleti che effettuano attività competitiva per molti anni

Quali sono i sintomi della fibrillazione atriale?

I sintomi della fibrillazione atriale sono prevalentemente caratterizzati da cardiopalmo tachiaritmico irregolare, astenia, vertigini, dolore toracico, riduzione dell’attività lavorativa e della concentrazione mentale, scompenso di circolo, a volte lipotimia e sincope. In alcuni soggetti la fibrillazione atriale non si accompagna a sintomi e viene scoperta occasionalmente in corso di una registrazione elettrocardiografica richiesta dal medico curante.

Quali sono i tipi di fibrillazione atriale?

La fibrillazione atriale viene suddivisa in diversi tipi:
1) Fibrillazione atriale parossistica con episodi che si risolvono spontaneamente, da minuti ad ore o qualche giorno. Questo tipo di fibrillazione atriale di solito tende alle recidive ancorché in certi soggetti possa verificarsi solo in condizioni eccezionali, rarissimamente durante la vita e di solito per cause ben identificabili. Il continuo recidivare della fibrillazione atriale parossistica può danneggiare una normale qualità di vita e rendere necessari provvedimenti terapeutici importanti fino alla ablazione transcatetere con radiofrequenza del substrato cardiaco.
2) Fibrillazione atriale persistente caratterizzata dalla necessità di un intervento di cardioversione farmacologico (per bocca o endovena) od elettrico con cardioversione elettrica esterna. La fibrillazione atriale impone un trattamento farmacologico continuativo per evitare le recidive e molti casi possono risultare candidati all’intervento di ablazione transcatetere con radiofrequenza (TC/RF). In alcuni il paziente con la metodica “pill in the pocket” (la pillola in tasca) può gestire l’eventuale recidiva assumendo per bocca un farmaco (propafenone, flecainide, chinidina), precedentemente saggiato in ospedale per la prima volta, in pazienti selezionati ed educati a seguire la procedura.

La fibrillazione atriale può essere auto gestita dal paziente con la metodica della “pillola in tasca”

3) Fibrillazione atriale permanente
Il termine di fibrillazione atriale permanente attualmente si riserva alle forme di fibrillazione atriale che non risultano risolvibili con i trattamenti impiegati per ottenere il ripristino ed il mantenimento del ritmo sinusale o nelle quali si è deciso, di solito per motivi clinici, di non utilizzarli ulteriormente.
4) Fibrillazione atriale di lunga durata (long-lasting) è considerata tale la forma persistente che dura mesi o anni. Malgrado la lunga durata attualmente si preferisce anche in questo caso mettere in opera interventi terapeutici per ottenere il ripristino ed il mantenimento del ritmo sinusale comprese le procedure ablative transcatetere con radiofrequenza (TC/RF).

Quali i rischi associati alla fibrillazione atriale?

Il rischio principale associato alla fibrillazione atriale è caratterizzato dall’ictus cerebrale con conseguenze gravi ed invalidità fisica, dovuto ad una ostruzione embolica di un’arteria cerebrale per distacco di un trombo dall’atrio (e più frequentemente dall’auricola) sinistro ove si è formato, attaccato alla parete, quale conseguenza della assenza di pompa e circolazione attiva atriale. Il rischio è molto elevato nella fibrillazione atriale persistente e di lunga durata e nella permanente soprattutto se vi è la presenza di una cardiopatia, di solito valvolare od ischemica o una dilatazione delle cavità atriali o altri rischi coagulativi generali. L’esistenza del rischio tromboembolico rende necessario l’utilizzo di un trattamento anticoagulante che può basarsi temporaneamente sull’uso di eparine a basso peso molecolare iniettate sottocute ed in tempi più lunghi, con inibitori della vitamina K (Coumadin o Sintrom). Quest’ultima terapia è molto impegnativa in quanto si deve raggiungere un grado di scoagulazione del sangue entro un range terapeutico di sicurezza al di sotto del quale non si ottengono risultati terapeutici ed al di sopra del quale c’è un notevole rischio emorragico. Il soggetto deve perciò effettuare sotto guida medica un esame specifico denominato INR (International Normalised Ratio) che deve essere controllato periodicamente. In qualche caso, in un numero limitato di pazienti a rischio tromboembolico basso, a giudizio del medico curante, possono essere utilizzati farmaci quali l’aspirina che va presa rigorosamente a stomaco pieno.
Stanno attualmente entrando in uso farmaci inibitori diretti della trombina quali il dabigratan, il cui vantaggio, a parità di efficacia e di rischio emorragico con gli antivitamina K, è la non necessità del controllo dell’INR.
La fibrillazione atriale può comportare la comparsa di una patologia cardiaca chiamata tachicardiopatia dovuta alla persistenza nel tempo di un’attività cardiaca irregolare ad alta frequenza. Può inoltre portare allo scompenso cardiaco o peggiorarne il grado se presente e favorire l’aggravamento di molte patologie cardiache. Salvo casi di pazienti che non avvertono l’aritmia e possono convivere con essa, in molti soggetti la presenza od il continuo recidivare della fibrillazione atriale comporta ad una cattiva qualità di vita.

Qual è il trattamento della fibrillazione atriale?

Il trattamento della fibrillazione atriale, oltre alla prevenzione antitromboembolica, comprende regole comportamentali, terapia farmacologica e utilizzo di procedure ablative.
1) Le regole comportamentali comprendono l’eliminazione a tempo indefinito di tutte quelle incongrue condizioni di vita scorretta, abitudini alimentari ed assunzione di farmaci e sostanze che favoriscono la comparsa o l’automantenimento o la tendenza alle recidive della fibrillazione atriale.
2) La terapia farmacologica si basa su farmaci specifici che agiscono in diverse maniere:
a) Interrompendo la fibrillazione atriale (cardioversione farmacologica per bocca o per via venosa). Sono tali la flecainide ed il propafenone che appartengono ad una categoria di farmaci chiamati 1C che trovano controindicazioni nei pazienti con scompenso cardiaco e bassa capacità di contrazione cardiaca, misurata con la frazione d’eiezione (FE), normale fra 55 e 70%, che non può essere inferiore al 40%. Questi farmaci sono controindicati anche in pazienti con importante patologia strutturale cardiaca.
b) Farmaci che tendono a mantenere un regolare ritmo sinusale ed impedire le recidive di fibrillazione atriale. Oltre al propafenone ed alla flecainide viene comunemente utilizzato nella prevenzione delle recidive della FA il sotalolo che unisce proprietà betabloccanti ed antiaritmiche specifiche, va assunto ogni 12 ore, presenta alcuni effetti secondari limitativi (bradicardia, scompenso di circolo, antagonismo con tutti i farmaci che prolungano la durata del QT, disturbi della sfera sessuale nell’uomo ecc.). Largamente utilizzato in passato ed attualmente solo da medici esperti in casi selezionati per gli effetti secondari cardiaci e generali è la chinidina (solfato od idrochinidina) il cui potere antiaritmico è stato considerato in alcuni studi superiore a quello del sotalolo. La chinidina attualmente trova impiego elettivo in particolari gravi patologie aritmogene a rischio di morte improvvisa come la sindrome di Brugada, del QT Breve, della FV Idiopatica. Altro farmaco è rappresentato dall’amiodarone largamente impiegato nel mondo per le sue buone proprietà antiaritmiche sia a livello atriale che ventricolare e per la possibilità di utilizzarlo in pazienti con bassa frazione di eiezione (FE) e scompenso di circolo e con patologie strutturali importanti (ad es. la cardiomiopatia ipertrofica e dilatativa). Si tratta di un farmaco che diventa particolarmente attivo dopo una dose carico iniziale di qualche settimana con successiva posologia di mantenimento a lungo termine. L’impiego del farmaco è attualmente limitato però ai casi altrimenti non responsivi e soprattutto non trattabili per le limitazioni dovute agli effetti secondari. L’amiodarone, per la ricchezza molecolare di iodio e la tendenza ad accumularsi in molti tessuti ed organi (tesaurismosi) può provocare complicazioni a lungo termine molto importanti quali disturbi oculari, severe alterazioni delle zone cutanee esposte al sole, fibrosi polmonare, disfunzione epatica, alterazioni neurologiche, tutte condizioni che rendono necessari periodici controlli funzionali con particolare riguardo a quelli tiroidei, funzionali epatici, respiratori ed oculari.

L’amiodarone può provocare a lungo termine complicanze molto importanti quali disturbi oculari

E’ entrato nella pratica clinica attuale un nuovo farmaco, il dronedarone con struttura chimica simile all’ amiodarone ma senza le molecole di iodio, del quale è stato verificato un effetto antiaritmico nel mantenimento del ritmo sinusale in paziente con fibrillazione atriale. Questi risultati devono ora essere confermati in ampie popolazioni di pazienti prima di utilizzarlo di routine.
Il dronedarone va assunto per bocca, ogni 12 ore, assieme al cibo, non provoca gli effetti secondari dell’amiodarone ma non ne sembra possedere la potenza antiaritmica né può essere impiegato in pazienti con bassa frazione d’eiezione (non inferiore al 35%) e con scompenso di circolo significativo. Provoca frequentemente dispepsia e disturbi digestivi di vario tipo e deve essere usato con cautela nell’insufficienza renale e soprattutto in associazione con molti farmaci antagonisti della sua metabolizzazione a livello epatico. Vale per il dronedarone come per tutti i farmaci antiaritmici somministrati in pazienti con fibrillazione atriale la regola di un impiego individualizzato e sorvegliato periodicamente dal cardiologo con particolare riguardo alla fase iniziale di terapia.
c) farmaci che tendono a modulare la frequenza ventricolare in pazienti in fibrillazione atriale permanente. Sono pazienti nei quali non risulta possibile ripristinare il ritmo sinusale per cui ogni sforzo deve essere fatto per impedire la presenza delle alte frequenze ventricolari durante la normale vita quotidiana e particolarmente durante l’attività fisica.

Il trattamento farmacologico tende ad ottenere il ritmo sinusale o a modulare, particolarmente durante lo sforzo, la frequenza ventricolare

Tali farmaci sono rappresentati dal verapamil, dal diltiazem, dai betabloccanti e dalla digoxina che vanno somministrati quotidianamente e di essi deve essere controllata efficacia e tolleranza nel tempo. Quando non è assolutamente possibile ottenere il ripristino del ritmo sinusale né mantenere una frequenza ventricolare compatibile con una normale qualità di vita si ricorre alla procedura di ablazione alta della conduzione atrio-ventricolare, il che comporta la necessità dell’ impianto di un elettrostimolatore definitivo con posizionamento di un elettrocatetere ventricolare destro o bi-ventricolare (Pace Maker).

La procedura di ablazione del nodo atrioventricolare comporta la necessità di impianto di un elettrostimolatore definitivo mono o bi-ventricolare (Pace Maker)

3) Il trattamento ablativo della fibrillazione atriale. Un campo molto importante e molto promettente per il quale vi è un grande impegno nell’aritmologia moderna è rappresentato dall’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale, prevalentemente diretta ad isolare la zona di origine della tachiaritmia particolarmente presente a livello degli sbocchi delle vene polmonari (cioè delle vene che scaricano nel cuore e più esattamente nell’atrio di sinistra il sangue dei polmoni) in quanto nella loro parte terminale esse presentano delle fibre muscolari che creano zone aritmogene. La fibrillazione atriale attualmente viene anche trattata, di solito in coincidenza di interventi cardiochirurgici sulle valvole cardiache o sulle coronarie con interventi ablativi a cuore aperto o battente.
L’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale trova attualmente indicazioni anche in particolari sottogruppi di pazienti per i quali questa aritmia è fonte di inabitabilità con cattiva qualità di vita, quali atleti competitivi sia giovani che delle categorie Master (dopo i 35 anni).
In caso di successo gli atleti possono così riprendere la precedente attività sportiva anche agonistica dopo alcuni mesi dall’intervento. Un altro sottogruppo è rappresentato dai pazienti ultrasettantenni, ed anche ottantenni, per i quali in casi molto selezionati, può essere utilizzata la terapia ablativa transcatetere della fibrillazione atriale con percentuale di successi e complicanze non diverse che in età più giovanili.

Promuovere la conoscenza della diagnosi e terapia, assicurare la miglior qualità di vita per ogni paziente con aritmie cardiache

Inviare il presente modulo al n. di Fax: 02 25 62 949 o E-Mail: info@anaaritmie.org

 

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IL CUORE DEL BAMBINO

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di Armando Calzolari
Specialista in Cardiologia e Medicina dello Sport

La Cardiologia Pediatrica ha avuto un grande sviluppo negli ultimi cinquanta anni, sia per le nuove scoperte della Medicina, sia per la possibilità, da parte degli operatori, di poter usufruire di apparecchiature anche molto sofisticate. Questo ha reso possibile formulare diagnosi prima impossibili da realizzare, di intraprendere terapie mediche e chirurgiche, dare una speranza di vita a molti pazienti e migliorare la loro vita di relazione (per esempio, la correzione chirurgica di molte cardiopatie congenite o acquisite, o il trattamento medico e/o chirurgico delle aritmie).
Da un punto di vista del medico, l’approccio al paziente pediatrico è diverso rispetto a quello che si ha per l’adulto: è necessaria sempre la presenza di un genitore non solo per motivi legali ma anche per aiutare il medico ad eseguire una corretta anamnesi. Il bambino spesso non è in grado di riferire i sintomi, è spaventato dalla presenza del medico e spesso rende difficile il suo operato.
La visita cardiologica ha lo scopo di valutare le condizioni cardiovascolari del paziente e, tra l’altro, quello di interpretare correttamente, con l’ascoltazione, l’attività cardiaca e l’eventuale presenza e natura di rumori aggiunti (soffi). Gran parte dei pazienti in età pediatrica presenta, all’ascoltazione del cuore, un rumore di soffio che nella maggior parte dei casi è musicale, variabile con la postura e privo di significato organico. Nei casi dubbi è indicato eseguire l’ecocardiogramma mono 2D color-Doppler, possibilmente su suggerimento dello specialista cardiologo. La visita deve essere completata dalla misurazione della pressione arteriosa, effettuata con bracciale di idonea dimensione rispetto all’arto del paziente in esame (la larghezza del bracciale non deve superare i 2/3 della lunghezza del braccio del paziente); spesso, proprio la mancanza di un bracciale di dimensione idonea fornisce valori della pressione arteriosa non veritieri con il risultato di porre diagnosi errate, creare inutili allarmismi, sottoporre il paziente ad ulteriori indagini ingiustificate. L’ipertensione arteriosa in età pediatrica è un fenomeno molto più frequente di quanto non si creda e trova le sue cause, tra l’altro, in fattori genetici, renali, endocrini, cardiovascolari. Una causa può derivare dal restringimento dell’aorta (es. coartazione aortica) e per questo si raccomanda di palpare sempre, nel corso della visita cardiologica, le arterie femorali del paziente.
L’elettrocardiogramma è un esame importante; con questo si esamina l’attività elettrica del cuore, il ritmo, la frequenza e la morfologia del tracciato può evidenziare anomalie altrimenti non evidenziabili (ad esempio la pre-eccitazione ventricolare).
Per questo motivo viene eseguito alla nascita ed è indicato che venga eseguito prima di un intervento chirurgico o in corso di una semplice visita di controllo.
A questo proposito è necessario sottolineare l’importanza di eseguire gli esami cardiologici prima della pratica di un’attività fisica; se è ludica, il pediatra può compilare un certificato di buona salute, dopo aver fatto eseguire al bambino un elettrocardiogramma. Se è agonistica, compatibilmente con l’età, è necessario inviare il bambino/adolescente al medico dello sport il quale deve sottoporlo a visita, elettrocardiogramma a riposo e dopo sforzo (Step test x 3’), esame spirografico e prendere visione di un referto dell’esame delle urine. Per conoscenza di chi può essere interessato a tale argomento, il bambino/adolescente deve essere accompagnato da un genitore il quale deve consegnare al medico dello sport la richiesta della società sportiva alla quale è iscritto il proprio figlio, con indicata la disciplina per la quale deve essere dichiarato idoneo. Quanto detto si riferisce a bambini e adolescenti sani.
Se nel corso della visita emergono fenomeni patologici (palpitazioni, sincopi, aritmie,ecc.) è necessario eseguire esami più approfonditi, da stabilire di volta in volta. Nel caso di bambini affetti da patologia cronica è necessario eseguire una valutazione più complessa mirante a stabilire le reali condizioni del paziente al fine di fargli praticare l’attività fisica più adatta nella maniera più sicura possibile. Preme sottolineare come nel nostro Paese la legge sulla tutela sanitaria dell’attività sportiva sia molto severa, efficace nel prevenire, per quanto possibile, incidenti cardiovascolari in chi la pratica, e presa ad esempio in molti altri Paesi.
La diagnostica cardiologica pediatrica non invasiva prevede l’esecuzione dell’ecocardiogramma; può essere eseguito in epoca pre-natale con lo scopo di evidenziare eventuali anomalie congenite; in epoca neonatale se il bambino è portatore di una cardiopatia congenita; in epoche successive, per controllare l’evoluzione di una cardiopatia congenita e/o acquisita, o di un sospetto diagnostico da chiarire. Ovviamente, non è possibile elencare in questa sede tutte le indicazioni ad eseguire l’esame. Un principio dovrebbe essere quello che, essendo un esame di secondo livello, dovrebbe essere suggerito dal cardiologo. Da sottolineare, per i non addetti ai lavori, che mentre l’elettrocardiogramma esamina l’attività elettrica del cuore, l’ecocardiogramma mira a studiare l’anatomia cardiaca, flussi e volumi, il funzionamento delle valvole; quindi i due esami si integrano.
La valutazione funzionale cardiocircolatoria prevede l’esecuzione della prova da sforzo al cicloergometro o al tappeto rotante; molte sono le indicazioni per eseguire questo esame: tra queste, la presenza di un sintomo (palpitazioni, lipotimia, facile affaticabilità, ecc.), la necessità di definire la reale capacità funzionale di un paziente sano o malato, il comportamento di ritmo e frequenza cardiaca e pressione arteriosa sotto sforzo. È un esame da eseguire in ambiente protetto, da personale esperto pronto a intervenire in caso di necessità. Nell’ambito dell’età pediatrica, si deve ricordare che l’età e la statura in piedi del bambino sono due elementi importanti per optare per la bicicletta o il tappeto: camminare/correre è più facile che non pedalare e quindi il tappeto è più adatto per i bambini più piccoli, cosi come lo è per i bambini di bassa statura che non sono in grado di pedalare perché la bicicletta è, per loro, di dimensioni troppo grandi.
Ormai da molti anni, anche in età pediatrica si è compresa l’importanza di valutare il paziente non solo a riposo ma anche nel corso della normale vita di relazione: esaminare un paziente in uno studio medico è in molti casi limitativo perchè non si riesce a formulare una diagnosi corretta. Oltre alla sindrome da camice bianco, la situazione ambientale, lo stress connesso alla visita stessa, sono tutti elementi che possono falsare il giudizio del medico.
Per questo motivo, si eseguono l’elettrocardiogramma dinamico delle 24 ore (secondo Holter) e la registrazione dinamica della pressione arteriosa per 24 ore. Nel primo caso si studia il ritmo del cuore, il suo comportamento elettrico nel corso di una normale giornata (scuola, sonno, gioco). Nel secondo caso, si studia il comportamento della pressione arteriosa sempre nel corso della normale vita di relazione.
L’Holter è di grande aiuto nell’evidenziare l’eventuale presenza di fenomeni aritmici anche misconosciuti e nella diagnosi e corretta gestione di queste patologie. Come detto, l’ipertensione arteriosa in età pediatrica ha un’incidenza non trascurabile; per questo, la registrazione dinamica della pressione arteriosa è di grande ausilio nel valutare il reale comportamento della stessa in un piccolo paziente sempre nel corso di una normale giornata.
Non bisogna dimenticare, che questi esami creano comunque e sempre disagio al piccolo paziente; per questo motivo vanno suggeriti solo se veramente necessari. Non ci si deve dimenticare che si parla di soggetti in età evolutiva ai quali, se possibile, bisogna evitare stress derivanti da esami clinici e strumentali magari superflui o inutili.
Negli ultimi anni la pratica dell’attività fisica in età pediatrica ha subito modifiche profonde: se in passato si privilegiava l’attività spontanea negli oratori, anche per strada, oggi la sedentarietà è un fenomeno in grande espansione. Ma in contemporanea, chi pratica attività fisica spesso la pratica a livelli intensi, spesso agonistici. Ormai vi sono molti bambini /adolescenti che sono sottoposti a carichi di lavoro psico-fisico così importanti da sembrare adulti. Da ciò ne deriva la necessità di sottoporre questi “atleti” a esami molto accurati. L’aritmologia pediatrica ha compiuto negli ultimi decenni grandi progressi nella diagnostica e cura delle aritmie; tutto questo ha portato a una maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione di fenomeni potenzialmente fatali, tramite accurati esami diagnostici, anche invasivi, e terapie adeguate.
Anche in tal caso, come dovrebbe essere sempre nella pratica medica, la gestione di questi pazienti deve essere fatta da medici esperti nel settore i quali siano in grado di agire con perizia e prudenza, eseguendo o facendo eseguire gli esami necessari a formulare una diagnosi corretta.
Come in tutte le branche specialistiche della pediatria, lo scopo principale è quello di aiutare i piccoli pazienti a vivere nel modo migliore i primi anni della loro vita; una normale vita di relazione associata alla pratica regolare di attività fisica, sono elementi che contribuiscono a migliorare la qualità della loro vita.


Prof. Armando Calzolari
Già Primario nell’Ospedale Pediatrico del Bambino Gesù, è responsabile del servizio di Diagnostica Specialistica Pediatrica - BIOSdiagnostica - Via D. Chelini 39, Roma

CALO DI PRESSIONE? MANGIA UNA LIQUIRIZIA

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Il caldo estivo può accentuare episodi di ipotensione che provocano stanchezza e mal di testa. Ecco i rimedi per contrastare il fenomeno

Vi sentite deboli? Vi gira la testa e a volte avete la sensazione di svenire? È probabile che soffriate di pressione bassa (ipotensione), un disturbo che colpisce circa il 5% della popolazione mondiale e che è più comune nelle donne, nei bambini e in chi pratica sport di resistenza.
«Si parla di pressione bassa quando i valori della pressione del sangue nelle arterie sono inferiori alla norma, ovvero la pressione massima (sistolica) a riposo è al di sotto dei 90 mmHg (millimetri di mercurio) e la minima (diastolica) dei 60 mmHg», spiega Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale.

CRONICA O TRANSITORIA
L’ipotensione non è sempre uguale. «Può essere cronica oppure transitoria, cioè il classico “calo di pressione”», spiega Giuseppe Crippa, direttore dell’unità operativa di ipertensione e malattie cardiovascolari dell’ospedale Guglielmo da Saliceto di Piacenza. «A differenziarle sono soprattutto le cause. Nel primo caso, alla base ci possono essere malattie dell’apparato gastrointestinale (ad esempio, patologie infiammatorie croniche), malattie del sistema nervoso (alterazioni del sistema nervoso autonomo, morbo di Parkinson ecc.) disfunzioni endocrine (insufficienza cortico-surrenalica, ipotiroidismo, diabete), anemia.
Nel secondo caso, cioè l’ipotensione transitoria, le cause dell’abbassamento pressorio possono essere il rapido passaggio dalla posizione seduta a quella in piedi (ipotensione ortostatica), una disidratazione passeggera, dovuta ad esempio a eccessiva sudorazione, a una intercorrente diarrea o all’abitudine di bere poco. Attenzione anche al caldo estivo, soprattutto se umido, perché favorisce la dilatazione dei vasi e quindi la riduzione della pressione».
In alcuni casi, la pressione bassa è asintomatica. In altri i sintomi sono poco specifici: stanchezza, debolezza muscolare, mal di testa, nausea, sensazione di «testa leggera». Se invece la pressione è molto bassa e il calo è repentino, possono comparire disturbi più caratteristici e gravi come cute pallida, fredda, sudata, vertigini, disequilibrio annebbiamento della vista, fino ad arrivare all’impossibilità di mantenere la posizione eretta e allo svenimento (sincope).

L’ATTENZIONE VA POSTA QUANDO I LIVELLI SONO
SOTTO I 60 mmHg DI MIMIMA E I 90 mmHg DI MASSIMA

L’ALIMENTAZIONE
Ma cosa fare per combattere l’ipotensione? «Uno dei migliori alleati contro la pressione bassa è una corretta alimentazione, che deve essere varia e completa», spiega Cricelli. In particolare, si possono salare un po’ di più le pietanze (senza esagerare, però!), concedendosi anche qualche fettina di formaggio stagionato e un paio di quadratini di cioccolato fondente.
Via libera a frutta e verdura di stagione, mentre sono da ridurre gli alimenti ricchi di grassi o di zuccheri raffinati, come carni rosse, salumi, dolci, snack. Da evitare, in ogni caso, pasti troppo abbondanti che richiamano una grande quantità di sangue all’apparato digerente, sottraendolo al resto del circolo.
Bere molta acqua è fondamentale: nei mesi estivi, mai stare sotto 1,5 litri per evitare la disidratazione. Tra le bevande, una tazzina di caffè o una tazza di tè sono ammesse, mentre bisogna stare alla larga dagli alcolici, che accentuano la dilatazione dei vasi sanguigni.

GLI INTEGRATORI
In caso di necessità, si possono assumere integratori di magnesio o di potassio, utili soprattutto d’estate, quando attraverso il sudore si perdono molti sali minerali. Tra i rimedi che vengono dalle piante, uno dei più efficaci è la liquirizia che contiene glicirrizina, una sostanza che aumenta la ritenzione di sodio favorendo così l’innalzamento pressorio. Basta masticare, al bisogno, la radice o una pastiglia di liquirizia purissima. Validi rimedi anche ginseng, guaranà, eleuterococco, rodiola, in grado di agire sul sistema immunitario, endocrino, nervoso esercitando un’azione tonica ed energizzante.

L’ATTIVITÀ FISICA
Utilissima in caso di ipotensione è l’attività fisica. Consigliabile il nuoto, uno sport che coinvolge tutto il corpo, ma anche il vogatore perché si utilizza in posizione seduta. Va bene pure la ginnastica isometrica, che consiste nella contrazione muscolare ottenuta in assenza di movimento.
«L’immobilità, però, è soltanto apparente», chiarisce Cricelli. «In realtà, i muscoli, costretti a lavorare contro una resistenza (ad esempio, il pavimento, un muro, una sedia) sviluppano all’interno una forte tensione». Per ottenere dei miglioramenti, bastano ogni giorno 15-30 minuti di pesi per almeno sei mesi.

GLI STILI DI VITA
Da seguire anche alcuni consigli, semplici da attuare nella vita quotidiana:

  • quando la temperatura esterna non è troppo elevata, indossare calze elastiche (si trovano nei negozi di articoli sanitari) per favorire la compressione delle gambe e favorire il ritorno venoso verso il cuore
  • dormire con la testa sollevata di circa 20-25 centimetri (l’equivalente di due cuscini) rispetto ai piedi
  • evitare bagni con acqua a una temperatura superiore a 34 gradi, sauna e bagno turco
  • non stare per lungo tempo in piedi, soprattutto in luoghi chiusi e affollati.

PER CHI È PREDISPOSTO ALLA PRESSIONE BASSA
PUÒ ESSERE UTILE DORMIRE CON DUE CUSCINI

I FARMACI
Se non ci sono miglioramenti, si può passare ai farmaci, da usare dietro prescrizione e sotto controllo medico. Le principali molecole usate per contrastare l’ipotensione sono le seguenti:
Fludrocortisone, un mineralcorticoide sintetico che agisce aumentando il volume dei liquidi corporei. «La dose varia da 0,1 a 0,5 milligrammi al giorno, generalmente in un’unica somministrazione serale», quantifica Crippa. Tra gli effetti collaterali, un modesto aumento del peso corporeo e gonfiore ai piedi e alle gambe, perché questo farmaco favorisce la ritenzione di sodio e di acqua.
Midodrina, che ha un effetto vasocostrittore sulle arteriole. La dose può variare da 2,5 a 10 milligrammi tre volte al giorno, meglio se somministrata al mattino, prima di pranzo e nel pomeriggio (mai dopo le ore 18 per non interferire sui livelli di pressione notturni). Può causare lieve cardiopalmo, sensazione di freddo alle mani e ai piedi.
Piridostigmina, un composto in grado di alzare la pressione. La dose iniziale è di 30 milligrammi due otre volte al giorno, aumentabile fino a un massimo di 60 milligrammi tre volte al giorno. I principali effetti collaterali sono eccessiva salivazione, nausea, vomito, crampi allo stomaco.
Diidrossifenilserina, un profarmaco che si è rivelato efficace nel migliorare i valori pressori. «La dose di partenza è 200-300 milligrammi al giorno, con successivi incrementi di 100 milligrammi al giorno fino a raggiungere la dose ottimale (massimo 900 milligrammi al giorno in tre somministrazioni)», afferma Crippa. «Questo farmaco è in genere ben tollerato con lievi effetti avversi, tra cui nausea, cefalea». È indicato anche nelle forme più severe di ipotensione (malattia di Parkinson, forme ereditarie di particolari deficit enzimatici).

Radice di Liquirizia

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L’IMPORTANZA DEL CARDIOLOGO PEDIATRA PER SCOPRIRE LE ARITMIE NEL BAMBINO

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Armando Calzolari

La Cardiologia pediatrica è una disciplina che nel corso degli ultimi decenni ha visto un grande sviluppo, sia per le maggiori conoscenze mediche, sia per la possibilità di poter usufruire di molti presidi diagnostici e terapeutici prima impensabili. Nell’ambito di questa disciplina, una figura di grande rilievo è quella dell’aritmologo pediatra, ovvero dello specialista che fa la diagnosi e cura ogni tipo di aritmia. Andando con ordine, è evidente che quasi sempre è il pediatra che viene messo sull’avviso dai genitori, dall’anamnesi, dai sintomi, della possibile esistenza di una forma aritmica. Quando il pediatra ravvisa la necessità di sottoporre un suo piccolo paziente a controllo cardiologico, è necessario che lo stesso venga inviato ad uno specialista cardiologo pediatra per affrontare, chiarire e risolvere il quadro clinico. Il cardiologo pediatra deve innanzitutto eseguire una accurata anamnesi familiare e personale.
Come vedremo molte forme di aritmia cardiaca presentano una precisa familiarità e questo deve subito mettere in allarme per non sottovalutare la situazione. È molto importante, poi, ascoltare i genitori ed, eventualmente, il bambino che ha le manifestazioni cliniche che hanno creato allarme e si sono dimostrate, talora, pericolose per la vita stessa del paziente. Ad esempio, capogiro, pallore improvviso associato o meno a perdita di conoscenza, palpitazioni, senso imprecisato di malessere. A questo approccio anamnestico, deve seguire un esame clinico-cardiologico mirante a evidenziare la presenza di rumori patologici, di attività cardiaca aritmica, la presenza di polsi periferici, i valori della pressione arteriosa.
Un successivo elettrocardiogramma è di fondamentale importanza per evidenziare il tipo di ritmo del cuore, la eventuale presenza e il tipo di aritmia presente. È a questo punto che la sub-specializzazione in aritmologia pediatrica può diventare importante per affrontare le fasi successive della diagnosi secondo precisi protocolli. All’elettrocardiogramma a riposo, di solito segue un ecocardiogramma, mirante a studiare le dimensioni, la cinetica, la funzione cardiaca e delle valvole; poi, la prova da sforzo, con la quale si esamina il comportamento del cuore nel corso di uno sforzo fisico programmato e controllato; questo esame va eseguito da personale esperto, pronto ad affrontare qualsiasi eventuale emergenza, e in ambiente idoneo. A quest’ultimo esame va associata la registrazione dinamica del ritmo cardiaco (ECG dinamico secondo Holter), per esaminare il comportamento del ritmo cardiaco nel corso della normale vita di relazione e nelle ore di riposo notturno.
A questi esami di facile esecuzione, possono seguire esami invasivi come la stimolazione atriale trans-esofagea o lo studio invasivo elettrofisiologico, sempre allo scopo di avere una diagnosi precisa del fenomeno aritmico e poter instaurare la terapia medica o chirurgica più corretta. Senza voler approfondire troppo la tematica, è importante sottolineare come l’approccio e la gestione di queste problematiche vadano gestiti da persone esperte nel campo così da non creare inutili allarmismi, ma nello stesso tempo non sottovalutare patologie che possono essere anche seriamente nocive alla salute del paziente.
Una aritmia ipercinetica sopraventricolare o ventricolare semplice (ovvero la presenza di battiti ectopici isolati, in cuore anatomicamente sano ecocardiogramma), che scompaiono con l’aumento della frequenza cardiaca durante prova da sforzo, in soggetto asintomatico, e sono in numero limitato nel corso dell’elettrocardiogramma dinamico delle 24 ore secondo Holter) è quasi sempre benigna, non necessita di terapia, non controindica la pratica di attività fisica. Necessità solo di controlli annuali. Senza entrare troppo nello specifico, alcune patologie di interesse cardiologico pediatrico sono di seguito presentate.

La sindrome del QT lungo

È causata da anomalie delle proteine dei canali ionici; trasmessa geneticamente, la maggior parte dei sintomi compare fra i 5 e i 15 anni di vita. Il segno più distintivo della malattia è l’allungamento dell’intervallo QT all’elettrocardiogramma. La prevalenza è di circa 1/2500 neonati; responsabile di circa il 10% dei casi di morte improvvisa infantile (SIDS).
Da questo si sottolinea ancora una volta l’importanza di eseguire un elettrocardiogramma in età neonatale. Le condizioni di stress fisico (esempio: nuoto, corsa, calcio) o emotivo possono, in questa patologia essere causa di sincope o arresto cardiaco.
Per i bambini affetti da questa patologia, il gioco più pericoloso è quello del “nascondino” dove allo sforzo fisico della corsa si somma lo stress emotivo determinato dalla paura di essere scoperti. La terapia farmacologica beta-bloccante riduce la mortalità dal 50-60% al 2%, mentre l’impianto di un defibrillatore riduce la mortalità a meno dell’1% dei casi diagnosticati.
Infine lo screening del QT lungo va effettuato quando è necessario, somministrare farmaci che allungano il QT (macrolidi, antistaminici, procinetici) e/o ovviamente prima di rilasciare un certificato di idoneità alla pratica di attività fisica.

La sindrome di Brugada

Ha una prevalenza stimata in 5/10.000 abitanti, con una prevalenza per il sesso maschile ed una trasmissione genetica autosomica dominante. È da mettere in stretta relazione con i casi di morte improvvisa; presenta un quadro elettrocardiografico tipico (blocco di branca destra e sopraslivellamento del tratto ST persistente nelle precordiali di destra). Lo screening cardiologico deve essere effettuato in tutti i probandi di un soggetto affetto da sindrome di Brugada con anamnesi familiare positiva per questa patologia e anamnesi positiva per sincope o aritmie documentate. Nei bambini asintomatici (familiari di probandi sicuramente affetti, genetica positiva o con Pattern tipo 1) è sufficiente l’esecuzione di controlli elettrocardiografici standard e Holter con cadenza annuale. In casi più complessi sono necessarie procedure diagnostiche e/o terapeutiche da eseguire in centri aritmologici pediatrici di provata esperienza.

La sindrome di Wolff Parkinson White

Ha incidenza di 1.5-5 per 1000 di nati vivi. La diagnosi elettrocardiografica è caratterizzata dalla presenza di PR corto e onda delta (vedi tracciato). È stimato che il 90% dei bambini, il 65% degli adolescenti e il 40% degli adulti sopra i 30 anni, con W.P.W. all’elettrocardiogramma a riposo, sono asintomatici. Si manifesta clinicamente con palpitazioni, presincope, o sincope in conseguenza di tachicardia rientrante atrioventricolare o fibrillazione atriale. L’incidenza di morte improvvisa è da 0,004 a 0,0002 pazienti/anno. Da qui l’importanza ancora una volta di eseguire l’elettrocardiogramma di controllo nel corso dei primi anni di vita. Questo quadro elettrocardiografico, di per sè, controindica la pratica di attività fisica-agonistica; la valutazione del rischio aritmico con uno studio elettrofisiologico in età scolare, consente di individuare pazienti a rischio di morte improvvisa. L’ablazione transcatetere è pratica che guarisce l’anomalia in modo definitivo. Il blocco atrioventricolare completo congenito ha una incidenza di 1/14.000-20.000 nati vivi, senza cardiopatie associate e spesso è dovuto ad un danno immunomediato (LESS). Quando la frequenza ventricolare media è inferiore a 50/min la prognosi, in storia naturale, può essere infausta; in questi casi l’unica possibilità di sopravvivenza è l’impianto di un Pacemaker entro 48-72 ore dalla nascita. Per finire, si ribadisce come ormai sia consuetudine che l’elettrocardiogramma venga eseguito alla nascita. I controlli cardiologici successivi devono coincidere: 1 con l’inizio della pratica di attività fisica, per la compilazione di un certificato, da parte del pediatra, di nulla osta alla pratica di attività fisica-ludica. 2 con l’insorgenza di sintomi che possono far pensare a un problema cardiologico. 3 successivamente , con l’inizio di un eventuale attività fisica agonistica Deve essere il pediatra a inviare il paziente allo specialista e rimanere sempre il punto di riferimento per il genitore; solo così il bambino, con l’ausilio in questo caso del cardiologo pediatra, può essere gestito correttamente. Per curiosità del lettore si riportano i valori normali della frequenza cardiaca per età.

Prof. Armando Calzolari
Specialista in Cardiologia e Medicina dello Sport coordina il Servizio di Diagnostica Specialistica Pediatrica della BIOS.
BIOSdiagnostica – Via D. Chelini 39, Roma

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CERTIFICATO MEDICO, NUOVA CIRCOLARE: NO AI BAMBINI SOTTO I 6 ANNI

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Per praticare sport a livello non agonistico, i bambini fino a sei anni non dovranno presentare alcun certificato medico e, tanto meno, l’elettrocardiogramma. Lo prevede una circolare di prossima emanazione da parte del Ministero della Salute, al fine di facilitare l’accesso alle attività motorie per i più piccoli.
Ad annunciarlo, andando incontro alle richieste dei pediatri che avevano denunciato come un eccesso di burocrazia tendesse ad allontanare i bimbi dallo sport, è stato il sottosegretario alla Salute Vito De Filippo, nella risposta all’interrogazione presentata in Commissione Sanità del Senato dalla senatrice Pd Annalisa Silvestro.
Sull’obbligo della certificazione medica, negli ultimi tre anni, si sono “avvicendate” tre leggi, due decreti ministeriali e, a giugno 2015, una circolare di chiarificazione da parte del Ministero. Inoltre una risoluzione della Commissione XII di Montecitorio, seguita ad una lettera aperta delle Associazioni pediatriche italiane.
Ma il caos certificati, non accenna a diminuire, con palestre e piscine che continuano a chiederli anche nei casi in cui l’obbligo è stato eliminato.
“Al fine di promuovere e salvaguardare l’attività motoria nella prima infanzia”, anticipa il Ministero, “da 0 a 6 anni, e fatta eccezione per i casi di bambini con specifici problemi sanitari, tale attività motoria può essere svolta senza alcuno obbligo di certificato sanitario”. Una posizione, aggiunge, “che sarà oggetto di una specifica integrazione alla circolare del giugno 2015”.
(fonte: ministero salute)

Commento di SPORT&MEDICINA:
“PREVENZIONE, PREVENZIONE … CHI ERA COSTEI?
Chi pratica attività sportiva da 0 a 6 anni non può avere malattie … e solo dopo i 60 anni è obbligatorio un controllo cardiologico annuale: questo dicono le norme!
Ma il presidente della Federazione Medico Sportiva Italiana e i presidenti delle Associazioni Medico Sportive delle varie regioni stanno pensando finalmente di intervenire per far capire che la prevenzione è fondamentale e non è solo una “parola” da usare per prendere in giro la gente?!?!?!
Quale bambino non va dal medico una volta l’anno? E allora fare una visita (dal pediatra o dal medico dello sport) e farsi rilasciare un certificato, quale “aggravio” burocratico causerebbe? E magari si potrebbe approfittare della visita per dare indicazioni ai genitori sul tipo di attività sportiva da svolgere e correggere errori di alimentazione e/o postura, migliorando lo stato di salute del bambino e attuando una vera azione preventiva.

Commento di Marcello Cosentino:
“Lo annuncia il Ministero della Salute”: io spero vivamente che si ricordino dell’ultimo decesso in cronaca, quello del bambino di 7 anni che praticava calcio da almeno 2 anni. In quella circostanza, la seconda notizia data era quella della denuncia a carico del Medico che aveva certificato l’idoneità per attività sportiva non agonistica. La caccia alle streghe inizia dal Ministero della Salute a quanto pare, se promuovono delle iniziative così scellerate: non penso che un elettrocardiogramma a riposo o da sforzo di un figlio possano essere un deterrente per i genitori ai fini dell’avvicinamento all’attività sportiva.
E ne vale la sicurezza, non il portafogli, si tratta solo di tagliare prestazioni che spettano di diritto per risparmiare qualcosa.
Faccio il Medico e la visita cardiologica la regaliamo sempre quando sottoponiamo bambini all’ECG da sforzo. A questo punto, promuovete pure il fumo di sigaretta …”.

Commento di Sara Peritonno:
“Che porcheria! Ma allora torniamo indietro ed eliminiamo qualsiasi obbligo di visita sia agonistica che non agonistica: chi vuole fare sport lo faccia come diavolo vuole e se muore muore amen! Lo dico da medico dello sport: preferisco a questo punto dedicarmi all’orto piuttosto che combattere ancora con queste diatribe sterili di chi si apre la bocca con paroloni parlando di prevenzione e poi nemmeno sa che cosa vuol dire fare prevenzione. L’ultima legge sulle certificazioni non agonistiche è ridicola e poi che i pediatri e medici di famiglia promuovono lo sport sembra più una favola o una barzelletta. Aboliamo qualsiasi certificazione e poi vediamo che succede.”

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Speciale: IL “CUORE D’ATLETA”

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(The “Athlete’s Heart”)

A cura di Luigi Ferritto (1) e Sergio Lupo (2)

(1) Dipartimento di Medicina Generale, Clinica “Athena” Villa dei Pini – Piedimonte Matese (CE)
(2) Istituto di Medicina e Scienza dello Sport – CONI – Roma

Gli atleti agonisti con importanti ambizioni seguono per la preparazione un programma di allenamento sportivo intenso e di lunga durata che provoca sostanziali modificazioni morfologiche e funzionali dell’apparato cardiovascolare, che si instaurano progressivamente e regrediscono con l’interruzione della pratica sportiva.
L’allenamento appare il più importante dei fattori nel provocare i cambiamenti morfologici cardiaci infatti gli atleti praticanti gli sport di endurance presentano un aumento sia dei volumi che della massa del cuore, mentre negli atleti praticanti gli sport di potenza si ha solo un’ipertrofia del miocardio. Anche la funzionalità cardiaca non è esente da modificazioni. Infatti, negli atleti, è caratteristica la bradicardia sinusale, spesso con aritmia sinusale; fino a 1/3 degli atleti possono essere portatori di un blocco atrio-ventricolare di primo grado e di frequente riscontro sono anche i battiti ectopici. È importante la conoscenza della costellazione di modificazioni cardiovascolari negli atleti al fine di evitare erronee diagnosi di cardiopatia.

INTRODUZIONE

In questi ultimi decenni la cultura sportiva ha subito notevoli cambiamenti.
Gli atleti agonisti con importanti ambizioni, infatti, seguono per la preparazione, rigorose schede d’allenamento che comprendono sedute giornaliere di più ore e che portano a vari adattamenti sia a carico dei muscoli scheletrici, sia a carico del sistema cardiovascolare: proprio i cambiamenti che avvengono su quest’ultimo sono conosciuti come “Cuore d’Atleta” (1).
Il lettore, deve però prestate attenzione perché, come su detto, questi adattamenti fisiologici sono propri di atleti di elevato livello agonistico e non di atleti di basso livello o dediti ad attività ludico-ricreativa, dove l’anatomia cardiovascolare non differisce molto dal soggetto sedentario (2).

FIG. 1 – Immagine Ecocardiografica in Quattro Camere Apicale

CLASSIFICAZIONE DELLE ATTIVITÀ SPORTIVE IN BASE ALL’IMPEGNO CARDIOVASCOLARE

Gli esperti della Società Italiana di Cardiologia dello Sport (SICSport), della Federazione Medico-Sportiva Italiana e delle altre associazioni cardiologiche italiane (ANCE, ANMCO, SIC) nella realizzazione dei Protocolli COCIS hanno redatto una classificazione nella quale le attività sportive vengono distinte in cinque categorie:
A) Impegno “minimo – moderato” (frequenze cardiache sottomassimali e caduta delle resistenze periferiche), quali jogging, marcia, ciclismo in pianura, ecc., praticati a livello non agonistico.
B) Impegno di tipo “neurogeno” (aumento della frequenza cardiaca dovuto ad importante impatto emotivo), quali automobilismo, sport di tiro, ecc.
C) Impegno di “pressione” (frequenze cardiache moderatamente elevate e significativo aumento delle resistenze vascolari e della pressione arteriosa), quali sollevamento pesi, corsa di velocità, ecc.
D) Impegno “medio – elevato” (numerosi e rapidi incrementi della frequenza cardiaca e delle resistenze periferiche vascolari, in relazione a brusche interruzioni dell’attività muscolare alternate a fasi di intenso lavoro aerobico), quali calcio, pallacanestro, tennis, ecc.
E) Impegno “elevato” (frequenze cardiache e portate massimali necessarie a sostenere un lavoro intenso e protratto), quali maratona, canottaggio, ciclismo, ecc.
Questa classificazione costituisce per il medico un utile strumento operativo per valutare il grado e l’adeguatezza degli adattamenti cardiovascolari in un soggetto praticante una determinata attività sportiva e il rischio cardiovascolare emodinamico e/o aritmogeno reale o ipotetico (3).

ADATTAMENTI CARDIACI

ECOCARDIOGRAMMA
(Si ringrazia per il filmato il Dottor Fernando DI PAOLO Istituto di Medicina e Scienza dello Sport del CONI)

Nel corso degli ultimi anni sono stati numerosi gli studi che hanno contribuito ad individuare le modificazioni indotte dall’esercizio fisico sull’apparato cardiovascolare e a definire il concetto di “Cuore d’atleta”.
Tali studi, inizialmente basati su dati clinici, radiologici ed elettrocardiografici, si sono avvalsi in tempi più recenti di metodiche più innovative e sofisticate quali l’ecocardiografia coi i suoi molteplici campi di interesse e la risonanza magnetica, che hanno consentito di effettuare una valutazione non solo morfologica, ma anche funzionale dell’apparato cardiovascolare nel soggetto allenato.
Tra i fattori che inducono le modificazioni che nell’insieme caratterizzano il “cuore d’atleta”, l’allenamento appare il più importante nel provocare i cambiamenti morfologici tra cui l’incremento delle dimensioni delle camere cardiache sinistre, del setto interventricolare, della massa e degli apparati valvolari, ma influiscono anche il genotipo (fattori ereditari), l’età e l’epoca di inizio dell’attività sportiva (4).

FIG. 2

– VENTRICOLO SINISTRO

I meccanismi che provocano modificazioni della morfologia del ventricolo di sinistra negli atleti sono molteplici, ma il tipo di sport ha una particolare importanza: gli sport di resistenza (ciclismo, sci di fondo, canottaggio e canoa) hanno il maggiore impatto nell’ingrandire la cavità ed aumentare lo spessore delle pareti mentre gli atleti praticanti sport di potenza (sollevamento pesi o lanci) presentano un ispessimento delle pareti ventricolari.
Gli atleti praticanti discipline di “endurance” presentano dimensioni delle pareti e/o delle cavità ventricolari al di sopra dei limiti normali, tanto da simulare una condizione patologica, quale la cardiomiopatia ipertrofica (quando lo spessore delle pareti è > 13 mm) o la cardiomiopatia dilatativa (quando la cavità ventricolare sinistra è > 60 mm).
Il meccanismo causale di un così importante rimodellamento cardiaco è rappresentato dall’aumento della portata cardiaca (che durante sforzo supera i 30 l/min) e della pressione arteriosa sistolica (che durante sforzo supera i 200 mmHg).

FIG. 3 – Immagine Ecocardiografica in B-Mode e M-Mode (Ciclista aa. 28)

La dilatazione della cavità ventricolare sinistra negli atleti, soprattutto quelli praticanti sport di resistenza, può arrivare nel 15% dei casi sino a 70 mm, che verosimilmente rappresenta il limite fisiologico dell’ingrandimento indotto dall’allenamento (valori medi ottenuti da autori diversi sono compresi tra 54 mm e 63 mm). L’ingrandimento della camera ventricolare avviene in modo globale ed omogeneo, per cui la normale geometria ventricolare non è alterata, così come lo spessore delle pareti che è normale o aumentato (5, 6). Nella cardiopatia dilatativa, anche se le dimensioni assolute della cavità ventricolare possono presentare valori simili all’atleta, non raramente il diametro traverso diastolico supera i 70 mm, si verifica un rimodellamento geometrico del ventricolo che tende ad assumere un aspetto globoso, lo spessore delle pareti può essere normale, con il rapporto h/r (spessore relativo) usualmente ridotto (< 0.30) ed è presente una disfunzione contrattile del miocardio (4).
Gli atleti praticanti sport di potenza (sollevamento pesi o lanci) presentano un ispessimento delle pareti ventricolari, che è conseguenza del carico di pressione cui vanno incontro durante l’allenamento (la pressione sistolica supera abitualmente i 200 mmHg, talora anche i 300 mmHg), mentre la cavità ventricolare sinistra non si modifica sensibilmente (7).

FIG. 4 – Immagine Ecocardiografica in Asse Corto del Ventricolo di sinistra

Generalmente l’ispessimento delle pareti ventricolari negli atleti ben allenati non supera i 15 mm (2% degli atleti), che rappresentano il limite dell’ipertrofia fisiologica indotta dall’allenamento (valori medi ottenuti da autori diversi sono compresi tra 12 mm e 13 mm). Nel cuore d’atleta la distribuzione dell’ipertrofia è simmetrica e regolare anche se i diversi segmenti del miocardio ventricolare possono non essere ispessiti in modo uguale (il setto anteriore mostra generalmente il massimo ispessimento) ma le differenze sono modeste (< di 2 mm) e nell’insieme l’ipertrofia risulta simmetrica ed omogenea (8). Al contrario, nei pazienti con cardiopatia ipertrofica, l’ipertrofia è tipicamente asimmetrica e, anche se il setto interventricolare è la regione più spesso coinvolta dall’ipertrofia, esiste una eterogeneità morfologica e non sono rari i casi in cui il massimo ispessimento interessa solo altri segmenti del ventricolo (6).
Gli atleti praticanti sport di squadra, infine, presentano variazioni della morfologia cardiaca usualmente più lievi, a ragione del carico emodinamico più modesto (7).
Caratteristiche del ventricolo sinistro nel “Cuore d’atleta” sono delle trabecole fibrose o fibro-muscolari tese tra le sue pareti, definite false corde tendinee per differenziarle dalle vere corde: generalmente sono tese tra setto interventricolare e parete laterale, in vicinanza dell’impianto dei muscoli papillari (2).

ECOCARDIOGRAMMA ATLETA CANOTTAGGIO
(Si ringrazia per il filmato il Dottor Fernando DI PAOLO Istituto di Medicina e Scienza dello Sport del CONI)

– FUNZIONE SISTO-DIASTOLICA DEL VENTRICOLO SINISTRO

Una delle caratteristiche particolari del Cuore d’Atleta è che all’aumento della massa miocardica fa riscontro l’assoluta normalità degli indici funzionali.
La Funzione sistolica espressa mediante la frazione di eiezione ventricolare sinistra del “Cuore d’Atleta”, misurata ecocardiograficamente o con altre metodiche, risulta nella norma (F.E.% 60-65) (2) mentre la funzione diastolica è nettamente aumentata e migliorata negli atleti, tanto che il riempimento ventricolare appare già completo in protodiastole.
Il ventricolo nel “Cuore d’Atleta” esprime un elevato coefficiente di distensibilità nella fase protodiastolica in cui sembra completarsi quasi interamente il riempimento ventricolare stesso: non è raro che durante l’esercizio la velocità del flusso transmitralico superi quella transvalvolare aortica (9).
Tutti gli studi sulla funzione diastolica nel cuore fisiologicamente ipertrofico hanno dimostrato velocità massime d’incremento delle dimensioni del ventricolo sinistro e di assottigliamento parietale normali o superiori alla norma, con un ampio volume di riempimento ventricolare protodiastolico e, in condizioni di riposo, un contributo marginale della sistole atriale (rapporto E/A>2). Il miglioramento dei parametri di funzionalità diastolica si associano ad un aumento delle dimensioni e delle performance ventricolari.
Il rilasciamento isovolumetrico è prolungato nelle forme patologiche d’ipertrofia, mentre è sempre nell’ambito della normalità nell’ipertrofia fisiologica (4).

– ATRIO SINISTRO

Anche l’atrio sinistro, che riceve il sangue ossigenato dai polmoni, non è esente da modificazioni morfologiche. Infatti negli atleti di fondo non è difficile evidenziare un ingrandimento superiore alla norma (valori medi ottenuti da autori diversi sono compresi tra 36 mm e 42 mm) (10).

– CAVITÀ CARDIACHE DI DESTRA

Analogamente le camere cardiache di destra subiscono un aumento proporzionato del volume; molti studi dimostrano che negli atleti di endurance si verifica un aumento del volume di circa il 25% e della massa di circa il 37%, rispetto a soggetti sedentari (11). L’ecocardiografia standard ha evidenziato come anche il ventricolo destro partecipi al processo di ingrandimento del “Cuore d’Atleta”, con aumento delle dimensioni interne e dello spessore della parete libera. La complessità della struttura tridimensionale del ventricolo destro, associata alla sua caratteristica dinamica di contrazione non concentrica ma prevalentemente longitudinale, alla localizzazione retrosternale della camera cardiaca e alla cooperazione dinamica con il setto interventricolare, determina notevoli difficoltà nell’analisi della cinetica globale e segmentarla di tale ventricolo con l’ecocardiografia tradizionale.
La partecipazione delle sezioni destre del cuore è testimoniata anche dall’incremento consensuale nell’atleta di endurance del calibro della vena cava inferiore, con normale collassabilità inspiratoria, fenomeno strettamente correlato all’ingrandimento dei diametri cavitari del ventricolo di destra (4).

– RIGURGITI VALVOLARI

La prevalenza di rigurgiti valvolari negli atleti è molto alta, infatti il 90% presenta un jet di rigurgito ad almeno una valvola e il 20% presenta un jet di rigurgito a tre valvole (12).
Questi rigurgiti valvolari “fisiologici” sono possibili in corrispondenza di tutte e quattro le valvole cardiache, ma con frequenza estremamente variabile e in assenza di alterazioni strutturali (2)

FIG. 5 – Immagine Ecocardiocolordoppler di Rigurgito Mitralico di grado insignificante (rigurgito fisiologico)

Questo fenomeno sembra legato all’aumento del tempo di allenamento e associato al fisiologico ingrandimento delle camere cardiache e generalmente non ha alcun significato emodinamico (13, 14, 15).
Raramente un ecocardiografista esperto non è in grado di effettuare una diagnosi differenziale tra un rigurgito valvolare fisiologico e patologico.
Nei rigurgiti “fisiologici”:
– è assente qualsiasi alterazione strutturale valvolare,
– non si osservano fenomeni di turbolenza ed “aliasing” al Doppler,
– l’area di rigurgito è limitata alla zona mediana immediatamente sottovalvolare, con rilievo del segnale Doppler fino e non oltre a 1-2 cm da essa (2, 16).

– INFLUENZA DEI FATTORI COSTITUZIONALI NEL RIMODELLAMENTO CARDIACO

Le dimensioni cardiache sono il risultato non solo dell’influenza dello sport praticato ma anche delle caratteristiche costituzionali dell’atleta e del grado di risposta cardiaca all’allenamento.
È noto da tempo che le dimensioni cardiache sono in relazione con le dimensioni corporee in tutti i mammiferi. Nell’uomo esistono i nomogrammi che permettono di predire le dimensioni cardiache in base al rapporto tra peso corporeo, superficie corporea, statura ed età (6).
L’età rappresenta un altro fattore determinante le dimensioni cardiache, è comune osservare come il passaggio dall’adolescenza all’età adulta si accompagna ad un aumento progressivo delle dimensioni cardiache (in particolare dello spessore delle pareti ventricolari). Ciò sembra legato ad un aumento delle dimensioni corporee ed al progressivo incremento dei carichi di lavoro negli allenamenti effettuati dagli atleti (17).
Anche il sesso ha influenza sull’adattamento morfologico cardiaco.
Le atlete, quando paragonate ai maschi della stessa età e praticanti le stesse discipline sportive, presentano dimensioni minori sia della cavità (circa – 10%) che dello spessore delle pareti ventricolari (circa – 20%). Queste differenze sono legate ad una serie di fattori, tra cui i principali sono la taglia corporea (e la percentuale di massa magra) mediamente più piccola nelle donne, l’aumento più modesto della portata cardiaca e della pressione arteriosa sistolica durante lo sforzo e, non ultimo, il più basso livello di ormoni androgeni naturali (18,19). Le differenze nella morfologia cardiaca tra atleti ed atlete hanno notevole importanza clinica: infatti gli uomini possono sviluppare una ipertrofia delle pareti ventricolari sino a 15 o 16 mm, mentre al contrario le donne raramente superano gli 11 mm. Pertanto, il problema della diagnosi differenziale tra “Cuore d’Atleta” e cardiomiopatia ipertrofica non si pone usualmente nelle atlete (7).
Recentemente è stato suggerito che un ruolo importante nel rimodellamento cardiaco possa spettare anche ai fattori genetici (20, 21).
Sebbene tale ipotesi sia assai attraente, al momento esiste una conferma solo per quanto riguarda l’enzima ACE (che controlla il livello della pressione arteriosa e può presentarsi nelle isoforme D/D, I/I e I/D) ed altri enzimi del sistema renina-angiotensina-aldosterone. È stato dimostrato che i soggetti che hanno il pattern ACE di tipo D/D e I/D , all’esercizio fisico, rispondono con un aumento della massa ventricolare sinistra significativamente maggiore (rispettivamente 42 g e 38 g) in confronto a quelli con pattern I/I (2 g) (22).

– ADATTAMENTI PERIFERICI

È logico che anche il sistema circolatorio, costituito da vasi arteriosi e venosi, debba adattarsi a questa nuova realtà. In altri termini la circolazione deve essere potenziata al fine di consentire lo scorrimento di flussi sanguigni così elevati senza “rallentamenti”.
A seguito dell’allenamento di resistenza, si ha un aumento delle arterie coronarie che nutrono il cuore. Il cuore dell’atleta, aumentando il suo volume e la massa muscolare, ha bisogno di un maggior rifornimento di sangue e di una maggiore quantità di ossigeno (23).
L’aumento del calibro delle coronarie costituisce un altro degli elementi che differenziano l’ipertrofia fisiologica del cuore da quella patologica legata alle malattie cardiache congenite o acquisite. Negli atleti c’è la possibilità di visualizzare i tratti iniziali dell’arteria coronaria di destra e sinistra e di misurarne il calibro, in modo non invasivo mediante l’ecocardiografia, e in alcuni casi anche di evidenziarne la biforcazione in discendente anteriore e circonflessa. Tale fenomeno nell’atleta è dovuto all’aumento del calibro stesso delle coronarie, proporzionale all’aumento della massa miocardica, e al prolungamento della diastole dovuto alla bradicardia (4).
I vasi arteriosi e venosi di medio e grosso calibro aumentano le loro dimensioni (“vasi d’atleta”): questo fenomeno è particolarmente evidente nella vena cava inferiore, il vaso che riporta al cuore il sangue proveniente dai muscoli degli arti inferiori, utilizzati molto nei vari sport.
A carico della microcircolazione, gli adattamenti più importanti riguardano naturalmente i muscoli (particolarmente i muscoli più allenati).
I capillari, attraverso i quali avvengono gli scambi tra sangue e muscolo, sono distribuiti in maggior misura attorno alle fibre muscolari rosse, lente, a metabolismo aerobico (fibre ossidative), che hanno bisogno di una maggiore quantità di ossigeno (23).
Nell’atleta di resistenza, con l’allenamento si realizza un aumento in assoluto del numero di capillari e del rapporto capillari/fibre muscolari.
Tale fenomeno è conosciuto con il nome di “capillarizzazione” e grazie ad esso, le cellule muscolari vengono a trovarsi nelle migliori condizioni per sfruttare a pieno le aumentate disponibilità di ossigeno e substrati energetici. L’aumento della superficie capillare e della capacità di vasodilatazione delle arteriole muscolari, fa sì che i muscoli riescano ad accogliere quantità di sangue veramente notevoli senza che aumenti la pressione (24).

– TRAINING E DETRAINING

In numerosi studi, la valutazione ecocardiografica dell’ipertrofia ventricolare sinistra ha dimostrato che, sia nel corso del periodo di allenamento (training), che dopo la sua interruzione (detraining), possono verificarsi modificazioni molto rapide delle dimensioni e dell’ipertrofia del ventricolo sinistro.
In tempi relativamente brevi, sia i fondisti (osservati per 7 settimane), che i nuotatori (osservati per 10 settimane), hanno presentato rapide modificazioni sia delle dimensioni che dell’ipertrofia ventricolare, con aumenti delle dimensioni cavitarie sinistre sino a 15 mm al termine dello studio.
Durante la fase di detraining, sia i nuotatori che i fondisti hanno evidenziato un progressivo ridimensionamento delle dimensioni telediastoliche delle cavità cardiache sinistre.
Non è ancora accertato se le più evidenti modificazioni osservate negli atleti di resistenza regrediscano rapidamente, ma è possibile che, dopo un lungo periodo di adattamento, tali modificazioni regrediscano molto più lentamente (25).
Tuttavia in studi recenti si è evidenziato che il rimodellamento cardiaco in seguito a decondizionamento è più evidente negli atleti che praticano attività sportiva da meno anni rispetto agli atleti che praticano attività sportiva da più anni, infatti in questi persistono una sostanziale dilatazione ed ispessimento delle pareti delle camere anche dopo il periodo di detraining (26).

ESAME OBIETTIVO

La Pressione Arteriosa sistemica differisce di poco tra gli atleti allenati a sport di endurance e le persone normali non allenate. I polsi carotidei negli atleti, specie quelli praticanti sport di endurance, sono iperdinamici, fenomeno verosimilmente dovuto alla bradicardia e all’aumentata gittata sistolica. L’impulso ventricolare sinistro è spostato, ingrandito e di tipo iperdinamico. È frequentemente presente un terzo tono (dovuto al riempimento ventricolare rapido protodiastolico); è meno comune un quarto tono (più facilmente udibile con l’aumento del tempo di riempimento diastolico e un torace sottile).
Un soffio sistolico eiettivo sul margine sinistro dello sterno, di intensità 1-2/6, può essere auscultato fin nel 50% degli atleti e spesso diminuisce d’intensità al passaggio dalla posizione supina a quella ortostatica (27).

VALUTAZIONE DEL RITMO CARDIACO DELL’ATLETA

Lo studio dell’elettrocardiogramma dell’atleta ha sempre appassionato i cardiologi fin dalle prime interpretazioni dell’elettrocardiografia.
Molte sono le modificazioni dell’elettrocardiogramma descritte negli atleti e spesso considerate innocente effetto dell’allenamento, tuttavia alcune modificazioni, quali l’aumento marcato di voltaggio delle onde R o S, un sopraslivellamento del tratto ST, l’inversione dell’onda T, la presenza di onde Q profonde, potrebbero suggerire la presenza di una cardiomiopatia ipertrofica o cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro. Al momento attuale il significato clinico di tali alterazioni in atleti peraltro sani, non è ancora ben definito, non è chiaro cioè se tali anomalie ECG siano la prima espressione di una cardiomiopatia che si svelerà in un tempo successivo, oppure siano semplice espressione del rimodellamento morfologico cardiaco indotto dall’allenamento. In realtà solo una piccola percentuale di atleti che mostrano alterazioni marcate dell’ECG presentano, alla verifica ecocardiografica, anomalie, mentre la maggioranza di essi sono risultati “falsi positivi”(7) .

FIG. 6 – Prevalenza di alcune Bradiaritmie nel gruppo di Atleti e nel gruppo di Controllo (sedentari)

Numerosi sono stati gli studi epidemiologici condotti sulla prevalenza delle diverse aritmie cardiache negli sportivi.
Tra le aritmie più frequenti negli atleti rispetto alla popolazione sedentaria si evidenzia: le bradicardie sinusali, i ritardi di conduzione atrioventricolare e le tachiaritmie.

– BRADICARDIA SINUSALE

La bradicardia sinusale è l’espressione peculiare dell’elettrocardiogramma dello sportivo ed è talora caratterizzata da valori a riposo anche inferiori ai 40 bpm.
È più frequente negli atleti praticanti sport di resistenza ad elevato livello agonistico.

FIG. 7 – Bradicardia Sinusale (43 bpm) in atleta

Generalmente la bradicardia sinusale, se non è accompagnata da sintomatologia sincopale e se è normalizzata dall’esercizio fisico, viene inquadrata nel cosiddetto adattamento “ipervagotonico” all’allenamento fisico intenso e, nella maggioranza dei casi, non pone problemi di idoneità allo sport agonistico.
Molti studi hanno documentato che un allenamento intenso e duraturo è in grado di modificare l’equilibrio simpatovagale in senso vagale, inducendo la predominanza della componente parasimpatica. Tale effetto è particolarmente evidente in quelle regioni cardiache che maggiormente risentono della prevalenza del tono vagale, come il nodo del seno ed il nodo atrioventricolare. È probabile che alcune bradicardie molto marcate siano l’espressione anche di una componente genetico – costituzionale e vadano seguite attentamente nel tempo. Le bradicardie estreme dell’atleta devono essere distinte dalle bradicardie espressione di una iniziale disfunzione sinusale, soprattutto in età adulta e avanzata, nella quale l’evenienza di una malattia del nodo del seno è cronologicamente più probabile (28).
Per una diagnosi differenziale tra Bradicardia estrema e iniziale disfunzione sinusale nell’atleta è utile ricordare che nelle bradicardie “fisiologiche” si evidenzia:
– Assenza di pause sinusali maggiori di 3,5 secondi
– Scomparsa della bradicardia durante test da sforzo e dopo disallenamento
– Assenza di sintomi di tipo sincopale.

– RITARDI DELLA CONDUZIONE ATRIOVENTRICOLARE

L’ipervagotonia indotta dall’allenamento può essere considerata il primum movens patogenetico anche per queste forme di bradiaritmia.

FIG. 8 – Blocco Atrio-Ventricolare di 1° grado

Si tratta generalmente di blocchi atrioventricolari di 1° grado o di 2° grado tipo Mobitz 1, con espressione tipicamente notturna e con completa normalizzazione dopo test da sforzo massimale o dopo periodo di disallenamento.
Una particolare attenzione deve essere posta ai casi di blocco atrioventricolare già evidente in giovane età che non si associano ad un intenso condizionamento fisico o ai casi presenti in età adulta, soprattutto se si tratta di blocco atrioventricolare di grado avanzato od associato a blocco di branca (28).

– TACHIARITMIE: ARITMIE SOPRAVENTRICOLARI

La prevalenza dei battiti prematuri sopraventricolari nell’atleta è molto variabile (intorno al 30%) da casistica a casistica e generalmente non assume rilevanza clinica né compromette l’idoneità all’attività sportiva agonistica.
Di interesse maggiore sono le varie forme di tachicardia parossistica, di flutter o di fibrillazione atriale parossistica. Nello sportivo tali tachiaritmie rappresentano un importante problema, in seguito al cardiopalmo che provocano, soprattutto quando tale sintomo accade durante lo sforzo fisico. Per fortuna questi episodi sono molto rari nello sportivo, con una prevalenza del 1%.
Il sintomo del cardiopalmo nell’atleta è sostenuto dalle seguenti aritmie: tachicardia da rientro atrioventricolare (50%); fibrillazione atriale (25%); flutter atriale (13%); tachicardia da rientro atrioventricolare da via anomala occulta e tachicardia atriale (6,2%).
La fibrillazione atriale, anche se rara negli atleti, assume un particolare rilievo epidemiologico nell’atleta sintomatico per cardiopalmo. Essa può essere correlata sia ad un ipertono neuro – adrenergico e, quindi, scatenata dallo sforzo fisico, sia concomitante ad un forte input vagale. Generalmente, la fibrillazione atriale “vagale” è in relazione al grado di allenamento e scompare dopo un congruo periodo di disallenamento. Negli atleti che presentano episodi di fibrillazione atriale deve essere esclusa una cardiopatia, un distiroidismo e la presenza di pre-eccitazione cardiaca (6).
Particolare attenzione deve essere posta alla Sindrome di Wolff-Parkinson-White nell’atleta e al rischio ad essa connesso di poter determinare frequenze ventricolari elevatissime, inefficaci dal punto di vista emodinamico, con conseguente fibrillazione ventricolare e morte improvvisa. Questa eventualità tragica è correlata ad elementi intrinseci al fascio anomalo, alla situazione cardiaca generale e alla potenzialità aritmogena del gesto atletico (6).

– TACHIARITMIE: ARITMIE VENTRICOLARI

Le aritmie ventricolari nell’atleta apparentemente sano rappresentano una delle tematiche più controverse nell’ambito della cardiologia dello sport. Tale problematica può essere riassunta in alcuni punti fondamentali:
– La prevalenza di battiti ectopici ventricolari isolati nello sportivo è molto frequente ed è stimabile tra il 35% e il 50%.
– È spesso difficile identificare un substrato organico come causa dell’aritmia, anche nelle forme più maligne.
– Non esistono ancora studi longitudinali per poter stabilire un follow-up adeguato.

FIG. 9 – Extrasistolia Ventricolare

Sono sempre più frequenti gli studi che documentano la presenza di un substrato organico associato all’aritmia, come minime anomalie a carico dell’infundibolo ventricolare destro, miocarditi in fase di remissione, cardiopatia aritmogena del ventricolo destro ed altre forme minori di cardiopatia. In tal senso lo sforzo fisico è generalmente inquadrabile come fattore scatenante od aggravante l’aritmia.
Sulla base di queste osservazioni è utile proporre un iter valutativo dell’atleta con aritmie ventricolari, articolato nei seguenti punti:
– scrupolosa ricerca di una cardiopatia organica associata all’aritmia
– attento studio aritmologico degli atleti sintomatici per sincope o cardiopalmo
– cautela nell’indicazione e prescrizione di metodiche invasive negli atleti aritmici asintomatici, nei quali manca un vero end-point elettrofisiologico, a causa della difficoltà di attribuire ad una aritmia inducibile, potenzialmente aspecifica, un rischio reale di morte improvvisa
Vale la pena sottolineare che tra le forme più pericolose rientrano proprio quelle aritmie ventricolari che, per assenza di ripercussioni sulla performance, consentono di praticare lo sport ad alto livello, esponendo l’atleta ad un reiterato rischio.
Negli atleti andranno considerate in modo benigno quelle forme “occasionali” di aritmie ventricolari, non ripetibili e non associate allo sforzo fisico.
Una delle forme di più frequente riscontro nell’atleta è l’aritmia ventricolare ad origine dal cono di efflusso della polmonare od infundibolare destra che assume il caratteristico aspetto a “tipo blocco di branca sinistro”. Questa aritmia è spesso cancellata dallo sforzo fisico, è raramente associata ad una cardiopatia ed ha una prognosi benigna (6) .

EVENTI POTENZIALMENTE TEMIBILI NELL’ATLETA

– MORTE IMPROVVISA DA SPORT

Per Morte improvvisa (MI) da esercizio fisico si intende una morte repentina ed inaspettata, non traumatica che si verifica in relazione temporale con l’attività sportiva, in genere entro un’ora dall’inizio dei sintomi.La prevalenza della MI risulta più elevata nei maschi, nei soggetti in età adulta/avanzata e nei pazienti con cardiopatia anche se clinicamente silente. Verosimilmente, la minor prevalenza della MI durante l’esercizio fisico nelle donne rispetto agli uomini trova spiegazione nella scarsa partecipazione delle prime ad attività fisiche ad impegno elevato cardiovascolare e nella minore espressione fenotipica di alcune cardiopatie di origine genetica o aterosclerotica nel sesso femminile.
Anche il tipo di esercizio ha importanza nella prevalenza della MI: nei pazienti con cardiopatia nota l’incidenza di MI risulta più bassa durante l’attività fisica di intensità moderata e controllata. Nonostante l’attività fisica, sia nel giovane che nell’anziano, aumenti le probabilità di MI di origine cardiovascolare rispetto allo stato di riposo, il rischio assoluto di MI indotto dall’esercizio rimane, comunque, basso (in Italia l’incidenza di MI nella popolazione generale giovanile risulta pari a 2.62/100000 nei maschi e pari a 1.07/100000 nelle femmine).
Le patologie, anche silenti, dell’apparato cardiovascolare rappresentano la causa della stragrande maggioranza di MI da esercizio ed incidono in maniera diversa in base all’età dei soggetti, infatti mentre nei giovani al di sotto dei 35 anni prevalgono le cardiopatie congenite o di origine genetica (cardiomiopatia ipertrofica, origine anomala delle arterie coronarie, cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro), nei soggetti in età adulta/avanzata la causa più frequente è rappresentata dall’aterosclerosi coronarica.
La patogenesi della morte improvvisa è legata prevalentemente ad un disturbo del ritmo cardiaco (fibrillazione ventricolare, blocco atrio-ventricolare completo, prolungato arresto sinusale), mentre risultano meno frequenti le cause emodinamiche, quali la rottura di un aneurisma aortico o l’embolia polmonare (29).

– SINDROMI CORONARICHE ACUTE

Una percentuale variabile dal 4% al 18% avviene durante o subito dopo un’attività fisica intensa ed il periodo più a rischio è quello compreso tra la fine dell’esercizio e l’ora immediatamente successiva.
Il rischio di infarto miocardico acuto è sensibilmente minore negli individui che si allenano regolarmente e durante attività fisica bassa o moderata, mentre aumenta nei soggetti già cardiopatici.
Verosimilmente, uno dei meccanismi attraverso cui l’esercizio può favorire il verificarsi di una sindrome coronarica acuta è la rottura di una placca aterosclerotica vulnerabile, in seguito allo stress emodinamico, che innescherebbe fenomeni trombotici e vasospastici (29).

SCREENING CARDIOLOGICO PREVENTIVO

L’esercizio fisico può scatenare eventi acuti cardiovascolari tra i quali i più temibili sono la morte improvvisa e le sindromi coronariche acute. La probabilità che si verifichino eventi cardiovascolari durante esercizio fisico è più elevata nei pazienti affetti da cardiopatia, nei soggetti in età adulta/avanzata, in quelli sedentari e con fattori di rischio cardiovascolare e quando l’attività fisica è praticata ad intensità elevata.
La probabilità, invece, è minore quando l’attività fisica è praticata a bassa intensità e nei soggetti che si allenano regolarmente. Il meccanismo attraverso cui l’attività fisica abituale esercita questo effetto protettivo nei confronti degli eventi acuti cardiovascolari ed in particolare della morte improvvisa, è legato probabilmente ad una maggiore stabilità elettrica del miocardio, con riduzione del rischio di aritmie ventricolari fatali. Allo scopo di ridurre il rischio di eventi cardiaci avversi, quindi, risulta importante eseguire un adeguato screening preventivo ed avviare i soggetti ad un graduale e progressivo condizionamento fisico, soprattutto se hanno cardiopatia nota, età avanzata, o fattori di rischio coronario.
L’ECG, insieme con la storia clinica, rappresenta il primo gradino di ogni indagine non invasiva, allo scopo di identificare malattie cardiache a rischio di instabilità elettrica.
Il “golden standard” nella diagnosi della maggior parte delle malattie strutturali del cuore è l’ecocardiografia, che è un eccellente mezzo di diagnosi non invasiva per lo studio sia della morfologia che della cinetica ventricolare sinistra (30).
Ogni individuo, quindi, che si accinge ad iniziare una attività fisica regolare dovrebbe essere sottoposto, preventivamente, ad una attenta valutazione cardiologia che deve essere ancora più accurata in caso di atleti, visto i grossi carichi di lavoro effettuati.
È pensiero comune che attraverso un adeguato screening preventivo, si possa ridurre la probabilità di eventi cardiovascolari avversi, in modo da godere dei benefici dell’attività fisica senza incorrere nei rischi ad essa associati.
Scopo dello screening preventivo è quello di evidenziare l’esistenza di cardiopatie clinicamente silenti in soggetti apparentemente sani, nonché in caso di cardiopatia clinicamente accertata, stratificare il rischio associato alla pratica dell’attività sportiva ed attivare gli interventi terapeutici necessari (29).

CONCLUSIONI

Il cuore, essendo un muscolo, subisce delle variazioni come risposta funzionale alle sollecitazioni dell’allenamento. Grazie ai meccanismi dell’anabolismo proteico, in seguito ad un allenamento costante si ha una prevalenza dell’anabolismo sul catabolismo, con un conseguente aumento delle strutture fondamentali del cuore, le miofibrille, e quindi, anche condizionato dall’età e dal sesso, l’allenamento induce un ingrandimento delle dimensioni cardiache ed un aumento della massa cardiaca (6).
Negli ultimi anni si è verificato un enorme incremento della popolarità di molti sport. Ne è derivato un aumento del numero di soggetti che giungono all’osservazione del medico presentando gli effetti cardiovascolari dell’allenamento.
La conoscenza delle modificazioni cardiovascolari negli atleti è essenziale per evitare erronee diagnosi di cardiopatia.

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CONTENERE IL RISCHIO DI IPERTENSIONE ARTERIOSA

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Alessandra Fabretto
Specialista in Cardiologia

Le malattie cardiovascolari (CV) sono la più frequente causa di invalidità e di morte nei paesi industrializzati. Non è nota la causa scatenante di infarto o ictus, le maggiori patologie CV, ma conosciamo i loro fattori di rischio: una serie di patologie che spesso si presentano nello stesso paziente, sono correlate fra loro e riconoscono frequentemente cause comuni.
Al rischio concorrono vari fattori come la familiarità per malattie cv, l’obesità, la vita sedentaria, il fumo, lo stress, il diabete, i livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue.
L’ipertensione arteriosa (IA) dunque è la maggiore causa del rischio CV globale. La normalizzazione della pressione comporta quindi la riduzione del rischio CV, la possibilità cioè che ha un individuo di andare incontro a eventi cv maggiori nei 10 anni successivi alla valutazione.
La pressione arteriosa in un uomo sano deve mantenersi intorno a valori di 120/80 mmHg, solitamente più bassi nei giovani o nelle donne in età fertile, con variazioni in relazione all’attività fisica, allo stato generale dell’organismo, ma sempre entro limiti ben definiti.
Al mantenimento di un buon equilibrio pressorio collaborano in ogni istante molti fattori, sia all’interno dell’apparato cardiovascolare, sia esterni ad esso: neurologici, ormonali, fattori che regolano altre funzioni metaboliche. Ma se questi fattori si alterano per cause note, per malattie intercorrenti o per fattori sconosciuti, osserviamo il progressivo aumento della pressione arteriosa in modo inappropriato, sottoponendo cuore e vasi a un lavoro molto maggiore di quello fisiologico normale. Ne consegue, con il tempo, il deterioramento dei cosiddetti organi bersaglio: reni, cervello, ecc., sia per quel che riguarda la funzione sia l’anatomia. L’IA è l’aumento della pressione oltre i 135/85 mmHg, fino a valori anche molto più elevati.
Si hanno vari livelli di ipertensione: da ipertensione borderline, a lieve, moderata, severa, fino all’ipertensione maligna. Nell’IA esiste una predisposizione genetica, ma al suo sviluppo possono concorrere numerosi fattori fisici e ambientali. Significa che se uno o entrambi i genitori sono ipertesi i figli hanno alte probabilità di sviluppare l’ipertensione. E maggiore e più precoce può essere lo sviluppo della malattia e le sue complicanze quanti più fattori di rischio ha il paziente. In questo caso è indispensabile conservare entro i limiti della norma gli altri fattori di rischio noti e controllabili.

L’incidenza dell’IA è statisticamente in continuo aumento negli ultimi 20 anni nel mondo occidentale, come a loro volta sono in aumento le sue complicanze: infarto e ictus. La comunità scientifica, intesa come ricerca medica e come aziende farmaceutiche, è intensamente attiva nella ricerca delle cause dell’IA e nell’individuazione di terapie sempre più precise e con minori effetti collaterali.
Nell’ultimo congresso italiano sull’IA è emerso un dato nuovo di estrema importanza sia scientifica sia pratica: alla base di tutta la terapia anti-ipertensiva c’è la sana igiene di vita. Questa dovrebbe essere in realtà la base di tutta la moderna medicina per tutte le malattie: la prescrizione di qualunque terapia farmacologica deve essere preceduta e affiancata dalla correzione degli errori nelle norme igieniche di vita.
Nella società moderna occidentale c’è la tendenza alla vita sedentaria, all’alimentazione abbondante con conseguente aumento del peso corporeo, all’assunzione di sale in eccesso (sopratutto nei cibi preconfezionati), al consumo di caffè, a uno stress cronico che induce una produzione abbondante di adrenalina.

Il raggiungimento di questi obiettivi equivale alla somministrazione di un farmaco anti-ipertensivo: come se il paziente assumesse già una terapia.
Equivale a dire che in un paziente borderline o affetto da ipertensione di grado lieve il raggiungimento di questi obiettivi può far scendere la pressione tanto da permettere la sospensione, almeno temporanea, della terapia, mentre in un paziente in politerapia può significare la riduzione della quantità di pillole.
Alcuni pazienti sono spaventati dal luogo comune che una volta iniziata l’assunzione della terapia anti-ipertensiva, questa dovrà essere continuata per tutta la vita: non è così. Se messe in azione queste norme igieniche possono ridurre la pressione arteriosa e controllare eventuali patologie associate fino alla possibile riduzione del rischio cv e la possibile sospensione della terapia farmacologica.
Le statistiche hanno evidenziato che un soggetto con un fattore di rischio ha scarse probabilità di andare incontro ad eventi cv maggiori, ma aumentando il numero di fattori, la probabilità di andare incontro a infarto miocardico o ictus aumenta in modo consistente (vedi la “Carta del Rischio cardiovascolare“).
Nel 48% dei casi in Italia i pazienti ipertesi non raggiungono un sufficiente abbassamento della pressione arteriosa: non si ottengono cioè con la terapia i valori pressori raccomandati dalle linee guida della società europea dell’ipertensione, fino a una vera riduzione del rischio CV. Questo può accadere per molti motivi: scarsa aderenza alla terapia da parte del paziente, dimenticanze nell’assunzione dei farmaci, rari controlli medici, ecc.

Sia nell’uomo che nella donna la percentuale di insufficiente controllo risulta sovrapponibile e questo dato, anche se analizzato per tutte le regioni italiane, cresce ulteriormente nel resto della popolazione europea.

NORME IGIENICHE DI VITA
(poche, chiare e fondamentali)

CALO PONDERALE

La riduzione di peso comporta la riduzione della quantità di tessuto adiposo, che contrariamente a quanto si credeva in passato, non è un tessuto inerte, ma è pari a un organo metabolicamente attivo, sede di deposito e di scambi di sostanze che nella fattispecie hanno profonde implicazioni nella regolazione della pressione arteriosa. Inoltre il lavoro a cui viene sottoposto il cuore per l’irrorazione di una massa corporea maggiore è più elevato di quello fisiologico normale. A questo aggiungiamo che negli obesi il tessuto adiposo non è solo sottocutaneo e non si riduce ad un fatto estetico: depositi adiposi si ritrovano in tutto il corpo, compresa la zona intorno al cuore.

SPORT

Lo sport da solo non fa perdere peso, ma aiuta a mantenere una corretta igiene alimentare. L’attività muscolare comporta l’attivazione di vie metaboliche diverse da quelle adottate in una vita sedentaria con la mobilizzazione e la produzione di sostanze che dilatano i piccoli vasi, stimolano l’attività cardiaca e la produzione di nuovi vasi coronarici, bruciano il colesterolo in eccesso nel sangue. Inoltre aiuta la propriocezione e motiva a mantenere una dieta più equilibrata. Questo comporta oltre che un minor rischio cv in generale, una funzione cardiaca migliore, la riduzione di adrenalina disponibile, e altri benefici.

RIDURRE L’ASSUNZIONE DI SALE

Il sodio è già contenuto nei cibi freschi. L’aggiunta di sale come cloruro di sodio durante la preparazione dei cibi o il consumo di alimenti precotti che ne contengono molto comporta l’assunzione di un eccesso di sale. Questo sovraccarica il lavoro dei reni, dando false informazioni ai sensori che attraverso vari meccanismi fanno alzare la pressione. Inoltre l’eccesso di sale nel sangue comporta anche l’eccesso nella saliva con una minor percezione dei sapori e la susseguente aggiunta di ulteriore sale. La progressiva riduzione del consumo e l’eliminazione del suo eccesso nel corpo, nel sangue e nella saliva, porta al recupero dei sapori originali dei cibi. Per quantificare uno studio recente ha dimostrato che la riduzione di 1 grammo di sale comporta in media un calo di 7 mmHg di pressione.

RIDURRE L’ASSUNZIONE DI CAFFÈ

Il caffè è un potente stimolatore del sistema nervoso, non solo centrale, ma anche delle terminazioni periferiche. Esso stimola il metabolismo, il livello di allerta neurologico e altre funzioni. A livello cardiaco aumenta la frequenza e la pressione arteriosa. Il decaffeinato visto spesso come un escamotage, ha gli stessi effetti sul sistema CV; oltre alla molecola usata per spostare la caffeina, esistono molte altre sostanze attive in una tazzina di caffè. Un caffè al giorno può essere benefico; un eccesso può essere un vero tossico.


Dott.ssa Alessandra Fabretto
Specialista in Cardiologia
Responsabile del Servizio di Prevenzione e Terapia dell’Ipertensione
BIOS SpA – Via D. Chelini 39 – Roma

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ASCOLTARE MEGLIO IL CUORE …

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di Giuseppe Luzi

stetoscopio
È, insieme al camice bianco, uno dei simboli del medico. Consente di essere utilizzato come un emblema, quasi magico, della professione.
Parliamo dello stetoscopio/fonendoscopio.
È il sogno iniziale per ogni studente di Medicina. Metterselo sul collo e “girare” nei reparti con aria professionale … Ma è probabile che molti medici ignorino la storia dello stetoscopio/fonendoscopio, che è ricca di evoluzioni nel tempo.
La storia racconta che lo stetoscopio (vedremo poi la differenza tra i due termini, anche se oggi correttamente si dovrebbe usare solo il lemma fonendoscopio) fu inventato da Renè Theophile Hyacinthe Laennec nel 1816. Sembra che l’invenzione nascesse da un certo imbarazzo derivato dalla necessità di auscultare il petto di una giovane (piuttosto obesa).
Per il contatto diretto dell’orecchio sulla cute venne arrotolato un quaderno formando una sorta di cilindro cavo. Ebbene, Laennec realizzò che appoggiando un’estremità del quaderno arrotolato sul torace e collocando il proprio orecchio all’altra estremità del cilindro, si potevano ascoltare meglio, amplificati, i rumori provenienti dagli atti respiratori del polmone e quelli originati dall’attività cardiaca. Il nome stetoscopio, letteralmente vuol dire guardare dentro il petto, e ha origine da due parole greche: stethos “petto” e skopé “guardare”.
Il primo “vero” modello dello strumento era costituito da un cilindro di legno che aveva un piccolo tunnel all’interno. Nel corso degli anni vari cambiamenti, proposti da diversi autori, portarono alla costruzione di nuovi stetoscopi, utilizzando oltre a legno altre sostanze di metallo, avorio o plastiche.
È stato anche ideato uno stetoscopio biauricolare, che però non deve essere confuso con il fonendoscopio che si usa comunemente ai nostri giorni. Infatti il fonendoscopio ha una capsula di metallo che racchiude una membrana vibratile. Questa membrana viene applicata dal medico sui punti da esaminare. La capsula si collega quindi con uno o due tubi flessibili lungo i quali “viaggiano” le onde sonore.
In termini concettuali gli strumenti sono un po’ la stessa cosa e differiscono perché il fonendoscopio ha la membrana vibratile nella capsula mentre lo stetoscopio ne è privo. Gli stetoscopi monoaurali hanno avuto un lungo periodo di applicazione nell’ambito dell’ostetricia (prevalentemente per il rilievo del battito fetale). Il loro uso ai nostri giorni è stato del tutto sostituito dall’impiego di strumenti che usano l’effetto Doppler.
René Theophile-Hyacinthe Laennec (1781-1826) è stato un medico francese dalla vita avventurosa e sfortunata. La madre morì di tubercolosi quando aveva cinque anni e necessariamente, essendo il padre non in grado di seguirlo perché impegnato nella professione di avvocato, venne affidato a uno zio medico nella città di Nantes.
Dopo un certo periodo di esperienza come chirurgo militare si spostò a Parigi ed ebbe contatti con alcuni importanti clinici del tempo. Si dedicò con impegno all’anatomia patologica e nel giugno del 1804 si laureò.
L’invenzione dello stetoscopio prese forma presso l’Ospedale Necker di Parigi. Come riportano diverse fonti alla base della scoperta c’è il forte spirito di osservazione di quest’uomo, intelligente e pronto a correlare le informazioni. Sembra che una mattina avesse visto alcuni ragazzi giocare in modo insolito. Uno di loro poggiava l’orecchio all’estremità di una pertica lunga e sottile. Un altro ragazzo, collocatosi all’altra estremità, utilizzava uno spillo facendo piccole percussioni. Incuriosito dal gioco fu invitato a provare come fosse possibile ascoltare in modo netto e forte il rumore, altrimenti impercettibile, dello spillo.
Fu posta una lapide che ricorda, presso l’ospedale Necker, l’introduzione di questo essenziale strumento dell’attività medica: l’auscultazione.

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Laennec comunicò la sua invenzione all’Accademia delle Scienze e successivamente venne pubblicato il libro “Trattato sull’auscultazione mediata”. Il pregio del suo studio è consistito nell’aver esaminato le diverse sintomatologie, utilizzando il suo strumento, e in particolare aver meglio caratterizzato le patologie del polmone.
I primi stetoscopi, costruiti dallo stesso Laennec erano di cedro e di ebano.

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Il suo trattato non venne accolto immediatamente con favore ed ebbe, al solito, come accade frequentemente nel mondo medico e della ricerca scientifica in generale, detrattori. L’impegno del lavoro e le polemiche contribuirono a far peggiorare la salute di Laennec che morì in Bretagna, nel 1826, di tubercolosi.
Negli anni Quaranta del XX secolo due autori, Rappaport e Spragne, idearono un modello di fonendoscopio particolarmente efficace, che consentiva di distinguere i suoni ad alta frequenza da quelli a bassa frequenza. Attorno agli anni Sessanta poi, il celebre David Littmann, docente ad Harvard, costruì un modello ancora migliore (ideazione del diaframma modificabile).
Arrivando ai nostri giorni, l’evoluzione tecnica ha consentito di produrre fonendoscopi con sistemi di trasduzione delle onde sonore, in gradi di ridurre le interferenze “esterne”. In particolare, il XXI secolo vede l’introduzione dei fonendoscopi elettronici (fonendoscopi in grado di amplificare elettronicamente i suoni e quindi anche di registrarli).

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Giuseppe Luzi, prof. associato di Medicina Interna, svolge attività di consulenza in qualità di medico internista e specialista in Immunologia Clinica – BIOSdiagnostica

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POWELLNUX – Alimento Multifunzionale Naturale

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Il nuovo e innovativo programma di allenamento naturale con l’alimento multifunzionale, Powellnux.
Emanuele Blandamura, sfidante al titolo mondiale Boxe dei pesi medi, ha deciso di seguire il progetto Powellnux seguito dal suo trainer e dal suo cardiologo il prof. Valerio Sanguigni, ideatore della miscela alimentare funzionale brevettata Powellnux.

POWELLNUX, IL BUONO CHE FA BENE

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La miscela antiossidante Powellnux con base di cacao scuro, nocciole, tè verde, nata da uno studio del cardiologo prof. Valerio Sanguigni, sperimentata inizialmente come gelato e poi brevettata, a breve acquistabile online in crema e barrette, è un innovativo integratore naturale, che concilia salute e gusto. Consigliato anche agli sportivi per il miglioramento della performance fisica, sarà protagonista al Riminiwellness in programma a Rimini dal 1 al 4 giugno.
Efficace sull’ipertensione arteriosa, riduce lo stress ossidativo e l’invecchiamento, migliora la funzione vascolare e la performance fisica. Sono i tre punti di forza della innovativa miscela antiossidante brevettata da Vera Salus Bio con il nome di “Powellnux”, ai quali se ne aggiunge un quarto, non trascurabile: il sapore. Visto che Powellnux è gustosa e piacevole al palato, come poche volte accade per un prodotto salutare. L’idea della miscela antiossidante con base di cacao scuro, nocciole, tè verde, sperimentata inizialmente come gelato, nasce grazie ad uno studio del prof. Valerio Sanguigni, cardiologo e docente di Medicina interna all’Università di Roma Tor Vergata e da sempre attento ai fenomeni di invecchiamento della popolazione. “Partendo da studi condotti su popolazioni centenarie, siamo arrivati, sempre attraverso studi scientifici, a dimostrare che la somministrazione della miscela alimentare alla base di Powellnux – spiega Valerio Sanguigni – determina un evidente effetto acuto di riduzione dello stress ossidativo e miglioramento della funzione vascolare e performance fisica in gruppo di soggetti sani, determinando, anche in soggetti con ipertensione, una riduzione della pressione arteriosa”.

VIVERE BENE A LUNGO

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Vivere a lungo è importante, è quello a cui tutti ambiscono. Ma la differenza, spesso, non la fa quanti anni si riesce a vivere, ma come. Per farlo, o almeno per provarci, c’è un solo modo: investire sulla propria salute. E’ questa la filosofia del Prof. Valerio Sanguigni, cardiologo e docente di Medicina interna all’Università di Roma Tor Vergata. «Le malattie cardiovascolari, soprattutto infarto del miocardio e ictus cerebrale, sono la prima causa di morte nel mondo, circa il 40%» spiega Sanguigni. Numeri che non hanno bisogno di alcuna interpretazione, e che mettono in evidenza come uno stile di vita sano sin da giovani possa favorire una vecchiaia più lunga.
La ricerca della longevità pone delle domande fondamentali in campo medico: la prima cosa da fare è cercare di capire perché in certe popolazioni è così frequente trovare persone molto anziane in buona salute. Gli abitanti di Vicabamba (Ecuador), Hunza (Kashmir), Tibet, Abcasi (Caucaso), Giappone (Okinawa) e altre zone del mondo sono famosi per la grande percentuale di ultracentenari senza malattie. Diversi studi hanno dimostrato che le ragioni di questa longevità sono legate alle abitudini di vita, sopratutto alimentari. Le persone in quei posti consumano grandi quantità di frutta e verdura, che contengono polifenoli e antiossidanti, capaci di ridurre i danni dei radicali liberi dell’ossigeno, di far arrivare più ossigeno agli organi del corpo e quindi di rallentare l’invecchiamento. Proprio per queste proprietà, si è visto che chi mangia frutta e verdura almeno 5 o 6 volte al giorno, e pratica attività fisica regolare, riduce del 30% la possibilità di malattie cardiovascolari.
Il Prof. Sanguigni, sulla scorta di queste osservazioni, ha cercato di far adottare ai suoi pazienti uno stile di vita in grado di prevenire le malattie. «Se un dottore prescrive una terapia senza intervenire sullo stile di vita, spesso non ottiene i risultati sperati» rivela. Tanti anni a contatto con i pazienti nel suo studio di Roma gli hanno insegnato l’importanza di instaurare un rapporto di fiducia ed empatia perché, spiega, «ogni prescrizione terapeutica è come un vestito, va fatto su misura. Troppo spesso, invece, si dà la stessa cura a pazienti che hanno patologie molto diverse tra loro».
Proprio per questo motivo Valerio Sanguigni dedica gran parte della sua giornata ad ascoltare e cercare di capire le persone che si trova davanti, le loro abitudini, il loro stile di vita. Il suo obiettivo è di creare un rapporto di confidenza con i pazienti, tale da permettere loro di aprirsi e di discutere dei propri problemi senza remore, mettendosi sullo stesso piano.
Ma se osservazione e ascolto sono fondamentali per un buon dottore, c’è un altro aspetto che va coltivato e che deve andare di pari passo: lo studio. La medicina evolve in maniera molto rapida, quindi occorre tenersi sempre aggiornati sulle novità e le scoperte che avvengono nel mondo. «Il contatto con i pazienti e l’aggiornamento professionale rappresentano i due aspetti fondamentali del lavoro di qualunque medico. E’ una associazione basilare, bisogna saper tenere insieme questi due elementi».
Valerio Sanguigni e Powellnux Esperienza e conoscenza dei pazienti significa anche saper analizzare i dati offerti dalle più innovative strumentazioni tecniche per capire se muoversi in una direzione o in un’altra. La tecnologia offre oggi un gran numero di dati, un patrimonio inestimabile che deve però essere valorizzato: «Spesso c’è un eccessivo tecnicismo diagnostico, si rimandano i pazienti da un esame all’altro, a volte inutilmente. La bravura del medico – spiega Sanguigni – sta nell’analisi e nell’interpretazione dei dati che le macchine gli forniscono. E’ questo il valore aggiunto che deve essere in grado di dare».

Laurea in Medicina all’Università La Sapienza di Roma con una tesi sulla valutazione ecocardiografica degli atleti professionisti, specializzazione in Cardiologia, docente alla facoltà di Medicina dell’Università di Roma Tor Vergata, autore di numerose pubblicazioni sulle principali riviste scientifiche internazionali: il curriculum parla da solo, ma l’attività di Valerio Sanguigni non si ferma all’ambito medico e accademico.

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Proprio grazie alla sua grande conoscenza delle malattie cardiovascolari e alla consapevolezza dell’importanza dell’alimentazione nella prevenzione cardiovascolare, ha pensato di creare una miscela alimentare che contenesse quegli elementi ricchi di polifenoli ed antiossidanti che rallentano l’invecchiamento. Dopo anni di studio, grazie alla collaborazione con un chimico, ha brevettato “Powellnux”, una crema composta da un mix di cacao scuro, nocciole, miele e tè verde. «L’obiettivo – racconta – era quello di mettere a punto qualcosa che facesse bene e che, allo stesso tempo, fosse anche buono».
Risultato ampiamente raggiunto sia in un senso che nell’altro. L’analisi dei dati provenienti da uno studio appena pubblicato ha mostrato come l’assunzione della miscela da parte di un campione di soggetti sani determini un aumento della performance fisica del 25%, grazie all’effetto antiossidante e di vasodilatazione delle arterie. Dato ancora più interessante, proveniente da alcuni studi in corso, è quello che i riguarda i pazienti affetti da ipertensione arteriosa, che dopo aver iniziato a consumare “Powellnux” hanno ridotto sensibilmente il dosaggio dei farmaci ipertensivi.
Il prodotto sarà presto disponibile sul mercato anche sotto forma di gelato e di barretta. Sanguigni è molto soddisfatto del risultato: «Sono convinto che molti capiranno l’importanza di questo prodotto sia nel mantenimento di una buona forma fisica sia nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. Dopotutto, come amo spesso ripetere, si tratta del primo “farmaco alimentare naturale”».
(Intervista pubblicata da: “Corriere dell’Economia”)

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Prof. Valerio Sanguigni
Specialista in Cardiologia – Università di Roma Tor Vergata

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FITTE AL TORACE

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NIENTE PANICO, spesso sono dovute allo stress. I dolori intercostali non vanno necessariamente associati all’infarto. Ecco come interpretarli e come farli passare.

Testo di Chiara Caretoni

Se avverti una fitta acuta e improvvisa che trafigge il costato, magari dopo uno sforzo fisico anche lieve, la tua mente – condizionata dal bagaglio di informazioni raccolte qua e là negli anni – fa scattare immediatamente l’allarme a tal punto da farti credere di avere un infarto in corso. D’altronde, quando il dolore arriva dal petto la preoccupazione sale, l’agitazione va alle stelle (e magari anche la pressione) e si tende a pensare che la salute del cuore sia ormai compromessa.
Tuttavia, prima di cedere il passo all’ansia, bisogna provare a “interpretare” il tipo di dolore avvertito. “Perché spesso viene frainteso, ingigantito e confuso con quello tipico delle fitte intercostali, che colpiscono anch’esse la parte centrale della gabbia toracica, specialmente la regione compresa tra la quinta e la decima costa”, ricorda Bruno Restelli, direttore del poliambulatorio & day services del Centro diagnostico italiano di Milano.

LE DIFFERENZE PRINCIPALI
Questi due tipi di sensazioni, infatti, si manifestano con durata e intensità molto differenti. “Il dolore caratteristico dell’attacco cardiaco”, rammenta l’esperto, “è oppressivo e localizzato dietro lo sterno o nella parte sinistra del torace, può irradiarsi al collo, al braccio e alla mano del medesimo lato con eventuale formicolio, non è legato all’atto respiratorio e può essere associato ad altri sintomi come una sudorazione eccessiva, l’affanno e una nausea persistente”.
Oltre alle peculiarità, bisogna valutare anche l’assiduità del dolore. “Quello relativo all’infarto del miocardio è acuto, non si modifica con i movimenti del corpo e soprattutto è continuativo e costante, tanto da creare un evidente stato di angoscia interiore e non dare tregua anche per molte ore”, puntualizza Restelli.
Per fugare ogni dubbio, comunque, il primo passo è contattare il proprio medico di famiglia e descrivere nei dettagli la sintomatologia: già con queste prime informazioni il dottore è in grado di capire se si tratta di un episodio cardiovascolare ed eventualmente indirizzare subito la persona al pronto soccorso per ulteriori accertamenti.
“In assenza di queste specifiche avvisaglie, è possibile che ad attanagliare l’individuo siano delle semplici – ma fastidiosissime – fitte intercostali che, a differenza dell’attacco cardiaco, sono pungenti, trafittive e migranti e possono aumentare o diminuire con l’inspirazione”, avverte Restelli. “Inoltre, il malessere causato da questo disturbo può presentarsi a sprazzi nell’arco della giornata, tornare sporadicamente nei giorni successivi e modificarsi in base alle posizioni assunte dal corpo”.

MUSCOLATURA CONTRATTA
Nella maggior parte dei casi questi dolori non sono patologici e non devono destare alcuna preoccupazione, sebbene ci sia sempre un motivo (spesso non grave) all’origine di questo disturbo. “Ad esempio, quando le fitte sono particolarmente blande e occasionali e il medico non ha riscontrato alcuna anomalia sospetta, è probabile che siano l’espressione psicosomatica di uno stato di tensione interiore, legato a un accumulo di stanchezza, ansia e stress”, sottolinea Restelli. Queste condizioni, che spesso sono accompagnate anche da disturbi digestivi, tachicardia o extrasistole e spossatezza, “agiscono” in maniera silente, irrigidiscono la muscolatura del torace, provocano a lungo andare delle contratture e infiammano le pareti addominali, dando luogo a una sensazione dolorosa anche molto intensa.

RESPIRAZIONE DIAFRAMMATICA
“Di solito in questi casi il problema tende a passare spontaneamente nel giro di pochi giorni, ma l’ideale sarebbe cercare di eliminare qualsiasi tipo di nervosismo o inquietudine”, consiglia il medico. “Un buon punto di partenza potrebbe essere quello di lavorare sul respiro, che è quasi sempre troppo breve, affannato e superficiale”. Per questo motivo, chi soffre di ansia e ha spesso fitte provenienti dal costato, dovrebbe imparare a respirare col diaframma per incamerare più ossigeno nei polmoni. In che modo? “È molto semplice: basta appoggiare i palmi delle mani sull’addome, inspirare profondamente dal naso, gonfiare la pancia per qualche secondo ed espellere lentamente l’aria dalla bocca, ripetendo l’esercizio per almeno uno o due minuti, più volte al giorno”, spiega Restelli.
Per sciogliere la tensione si può trarre beneficio anche dallo yoga e dallo stretching, attività che sono in grado di distendere i muscoli liberandoli da eventuali contratture e intorpidimento, e dalle tisane rilassanti. Via libera, dunque, a bevande a base di melissa, che è molto conosciuta per le sue proprietà antispasmodiche e antinfiammatorie, agisce come calmante sul sistema nervoso e rilassa la muscolatura, e di passiflora e valeriana, che sono sedative, ansiolitiche e conciliano il sonno.

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ANSIA? RESPIRA COL DIAFRAMMA
Appoggia i palmi delle mani sull’addome, inspira profondamente dal naso, gonfia la pancia per qualche secondo ed espelli lentamente l’aria dalla bocca. Ripeti l’esercizio per uno o due minuti più volte al giorno.

UTILI LE FASCE RISCALDANTI
Stress a parte, i muscoli della gabbia toracica possono subire contratture, specie in seguito a traumi, colpi di freddo, disturbi posturali, sforzi fisici improvvisi o attività sportive troppo intense, ed essere responsabili dei dolori intercostali. “In questi casi, se il fastidio è localizzato lateralmente, più verso il fianco e la schiena, si possono usare pomate antinfiammatorie da banco, anche a base di arnica o artiglio del diavolo, e applicare fasce riscaldanti che, a contatto con la pelle, rilasciano un calore naturale in grado di penetrare fino ai muscoli e acquietare l’indolenzimento”, suggerisce l’esperto.
Anche l’apparato gastrointestinale gioca un ruolo di rilievo nell’insorgenza delle fitte intercostali. “Ciò è abbastanza tipico negli individui che soffrono di reflusso, gastrite o ulcera duodenale – spesso causati proprio dallo stress di cui si parlava poco fa – e che hanno anche rigurgiti, gonfiore, nausea, crampi addominali, peso sullo stomaco, digestione lenta e meteorismo», conclude Restelli. “Se il medico sospetta una patologia che interessa l’esofago, lo stomaco, le mucose gastriche, il duodeno o l’intestino, può consigliare una gastroscopia o una colonscopia, dopo le quali si può eventualmente intraprendere una terapia idonea”.

POSSONO ESSERE SINTOMI DI ALTRE MALATTIE

Non solo disturbi gastrointestinali, contratture muscolari e tensioni da stress: dietro a dolori intercostali acuti, incessanti, trafittivi ed estenuanti si possono celare anche patologie più gravi, che richiedono ben altre attenzioni. Bruno Restelli, direttore del poliambulatorio & day services del Centro diagnostico italiano di Milano, spiega quali sono.

NEVRITE (o neurite)
Si tratta si un’infiammazione che colpisce uno o più nervi del sistema nervoso periferico e spesso ha origine da un’infezione virale da herpes zoster. Può essere accompagnata da manifestazioni cutanee, come arrossamenti e gonfiori, debolezza diffusa, intorpidimento, formicolio e perdita della sensibilità della zona interessata. In questi casi vengono somministrati degli antidolorifici, per lenire la sintomatologia, dei coadiuvanti con vitamina B12 e l’acido folico.
PATOLOGIE CARDIACHE
Escluso l’infarto, che si manifesta in maniera differente, questa sensazione dolorosa, specialmente se ha sede a sinistra, può essere indice di pericardite, ossia l’infiammazione della membrana che avvolge il cuore (pericardio). Spesso è causata da un’infezione virale ma anche da un trauma toracico, malattie autoimmuni o neoplasie e peggiora in posizione supina, soprattutto durante l’inspirazione o la deglutizione. A seconda dei fattori scatenanti, il trattamento prevede la somministrazione di antibiotici, antinfiammatori o cortisonici.
PATOLOGIE POLMONARI
Le fitte intercostali possono essere l’espressione di una pleurite, cioè un’infiammazione della membrana che avvolge i polmoni (pleura). In questo caso il dolore è esacerbato dalla respirazione profonda ed è spesso accompagnato da una tosse stizzosa. Può anche capitare che a scatenare la sensazione dolorosa nel costato sia uno pneumotorace acuto, che consiste nell’accumulo di aria nel cavo pleurico, cioè quello spazio che separa il polmone dalla parete toracica.

Angina

Si ringrazia OK SALUTE & BENESSERE per aver autorizzato la riproduzione dell’articolo

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ECG – Diagnosi, interpretazione e terapia

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ECG – Diagnosi, interpretazione e terapia

ecginterpretazione

Desiree Velez Rodriguez

ECG – Diagnosi, interpretazione e terapia” non è il solito testo di interpretazione dell’ECG. Si parte dalla fisiologia, per arrivare alla cardiologia con la parte di elettrofisiologia e di clinica cardiologica basata sull’ECG. È quasi un corso completo che, partendo dai dati più basilari, introduce il lettore nell’elettrocardiografia più avanzata. Il testo è incentrato sull’importanza del ruolo dell’ECG nella diagnosi cardiologica come punto di riferimento da cui proseguire con altre metodiche diagnostiche e di imaging. Inoltre contiene gli aggiornamenti delle più recenti indicazioni dell’American Heart Association (AHA) e della Società Europea di Cardiologia (SEC). Chiude il libro una sezione che comprende i principi attivi utilizzati in cardiologia. Il testo risulta utile e attuale grazie alla validità che ha, ancora oggi e sempre di più, l’elettrocardiografia, in quanto rileva non solo disturbi cardiovascolari, ma altre malattie come la sindrome coronarica acuta e cronica e le cardiomiopatie, o alterazioni molecolari come le canalopatie.

Contenuti
Le illustrazioni, i diagrammi e le tabelle rendono il testo facile da consultare, utile per il lavoro quotidiano, del professionista di medicina generale, dello specialista e dello studente dell’ultimo anno che inizia a fare le guardie mediche.

edra

Tel. +39 02.881841 – Fax +39 02 88.184.304
e-mail: ordiniedra@lswr.it – assistenza@medikey.it

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GUASTI ALLE VALVOLE: RIPARARLE O SOSTITUIRLE?

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In caso di problemi cardiaci le nuove tecniche consentono una sopravvivenza più lunga. Dall’anuloplastica all’intervento transcatetere, ecco quando sono indicate e come si eseguono

Testo di Elisa Buson

Ogni volta che si guasta la lavastoviglie, il frigorifero, la lavatrice o il televisore, si ripete sempre la stessa scena. Il tecnico dell’assistenza osserva l’apparecchio con aria sconfortata, comincia a scuotere la testa, e dopo qualche secondo di bofonchiamenti vari, solleva le spalle pronunciando la fatidica frase: “Guardi, a questo punto non vale neanche la pena di metterci le mani, fa prima a buttarlo via e comprarne uno nuovo”. Per nostra fortuna, il corpo umano è ancora fatto alla vecchia maniera, e può essere riparato anche quando a “svalvolare” è il suo motore più importante: il cuore.
Uno dei pezzi più delicati e suscettibili a guasti, secondo il libretto di manutenzione in dote ai cardiochirurghi, è la valvola mitralica, che regola il passaggio unidirezionale del sangue dall’atrio al ventricolo sinistro affinché venga pompato in tutto l’organismo.
“Questa valvola ha la stessa struttura di un paracadute: il lembo anteriore e quello posteriore, ancorati a un anello fibroso, sono le due vele a cui il cuore “paracadutista” è legato mediante delle corde tendinee”, spiega Michele De Bonis, primario dell’unità di cardiochirurgia delle terapie avanzate e di ricerca dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano. “La valvola si può ammalare per diverse cause: per degenerazione legata all’età, per un’infezione, ma anche per effetto della febbre reumatica o di malattie funzionali del cuore, come un infarto o una cardiomiopatia”.
Può accadere così che i lembi della valvola non chiudano perfettamente, causando rigurgiti via via più gravi che portano a quella che i medici definiscono insufficienza mitralica. In questi casi, la parola d’ordine è riparare.

CHIRURGIA CON CIRCOLAZIONE EXTRACORPOREA
“La riparazione della valvola è preferibile alla sostituzione perché l’intervento è più sicuro, c’è un minor rischio di infezioni, il cuore si riprende meglio e garantisce una sopravvivenza più lunga”, sottolinea De Bonis. La cosa fondamentale è non rivolgersi al primo “tecnico” trovato sulle Pagine Gialle.
“La riparazione della valvola mitralica è stata spesso definita come una lotteria, perché l’esito varia enormemente in base all’esperienza dell’ospedale che la esegue: il cardiochirurgo, in questi casi, è come un artigiano, che deve stare a bottega per anni per apprendere e perfezionare la tecnica”, aggiunge lo specialista. La chirurgia a cuore aperto rappresenta ancora la soluzione che garantisce i risultati migliori a lungo termine. Oggi, ricorda De Bonis, “si opta sempre più spesso per l’approccio mini invasivo, che prevede un’incisione più piccola (lunga 4-6 centimetri) praticata sul lato destro del torace.
L’intervento prosegue poi in modo tradizionale: il cuore viene fermato e la circolazione del sangue nel corpo viene garantita attraverso un macchinario esterno, mentre si procede alla riparazione della valvola. L’intervento si conclude dopo circa tre ore con l’anuloplastica, ovvero l’applicazione di un anello che stabilizza i lembi della mitrale garantendo un risultato più duraturo”.

PROTESI BIOLOGICHE E MECCANICHE
Se in sala operatoria si riscontrano difficoltà tecniche, “si può sempre considerare la sostituzione della valvola con una protesi, sebbene in mani esperte questa soluzione debba rappresentare decisamente un’eccezione”, spiega il cardiochirurgo. “Per i pazienti più anziani è meglio la protesi biologica, che richiede di assumere i farmaci anticoagulanti solo per qualche mese, mentre per i giovani è più indicata la protesi meccanica, che non degenera e resiste per tutta la vita, ma che ha un impatto sulla qualità della vita perché rende necessaria una terapia, detta anticoagulante, indispensabile per il funzionamento della protesi”.
Se questo tipo di operazione rappresenta un rischio troppo alto per il paziente, allora è possibile ricorrere alle tecniche di intervento trans catetere, che permettono di risalire fin dentro il cuore attraverso dei tubicini inseriti nella vena femorale destra.

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PER TUTTA LA VITA – La protesi meccanica in sostituzione della valvola mitrale non degenera e dura per sempre, ma richiede la terapia anticoagulante per tutta la vita

“Così il cuore non dev’essere fermato, non serve la circolazione extracorporea e l’intervento, più facile e veloce, causa meno traumi e complicazioni”, sottolinea De Bonis. “Il problema è che in questi casi la riparazione della mitrale non può essere perfezionata con l’anuloplastica e spesso tale soluzione risulta meno efficace e duratura: un’opzione da valutare solo per pazienti accuratamente selezionati”.
Anche la sostituzione di una eventuale protesi biologica impiantata al posto della valvola mitrale che negli anni sia poi degenerata può essere fatta transcatetere, “portando all’interno della protesi malata una nuova protesi biologica che si apre a margherita, ancorandosi tra atrio e ventricolo: questa pratica è piuttosto recente e finora è stata eseguita solo su qualche centinaio di casi al mondo”, ricorda il cardiochirurgo.

PICCOLA INCISIONE SULLO STERNO
L’esperienza non manca, invece, per la manutenzione di un altro pezzo chiave del cuore, la valvola aortica, che con la sua particolare forma a semiluna controlla il passaggio del sangue dal ventricolo sinistro all’aorta e quindi a tutto il resto del corpo. “La riparazione della valvola è consigliabile nei pazienti giovani sotto i 40 anni che soffrono di insufficienza aortica, generalmente per colpa di una patologia congenita: in questi casi la valvola “perde”, causando la dilatazione del ventricolo e sintomi invalidanti come la mancanza di respiro”, afferma Alessandro Castiglioni, primario di cardiochirurgia al San Raffaele.
“L’intervento viene fatto con tecnica mini invasiva, aprendo una piccola incisione verticale sullo sterno: dopo di ché si ferma il cuore, ricorrendo all’ausilio della circolazione extracorporea, e si procede alla riparazione dei lembi della valvola. Il vantaggio, anche in questo caso, è che non serve assumere una terapia anticoagulante a vita”.

I VANTAGGI DELLA TAVI
Discorso a parte per i pazienti più anziani che soffrono invece di stenosi aortica, un “indurimento” della valvola dovuto alla deposizione di calcio che ne impedisce la corretta apertura, causando la mancanza di respiro. La cosa migliore da fare è sostituire la valvola calcificata con una nuova, mediante intervento chirurgico a cuore aperto. “In genere, dopo i 70 anni, si opta per una protesi biologica: anche se degenera nel giro di 10-15 anni, c’è sempre la possibilità di sostituirla nuovamente attraverso una tecnica transcatetere, chiamata Tavi, che non richiede né di riaprire chirurgicamente il torace, né di fermare il cuore usando la circolazione extracorporea”, spiega il primario di cardiochirurgia. Un’altra importante novità è quella dell’impianto delle nuove valvole senza sutura, che non devono essere “cucite” in modo sartoriale al cuore, ma “vengono semplicemente appoggiate sul vecchio anello fibroso della valvola a cui poi si ancorano da sole, riducendo i tempi dell’intervento a vantaggio del paziente”, continua Castiglioni.

PROCEDURA ALL’AVANGUARDIA PER L’ARCO AORTICO
Per operare il cuore servono mani di fata, soprattutto quando a guastarsi è quella sorta di tubo a gomito che porta il sangue dall’aorta ascendente a quella discendente. “Il cosiddetto arco aortico può dilatarsi pericolosamente fino a rischiare la rottura nel 5-10% dei pazienti che hanno già subito un intervento per riparare la rottura (dissezione) della prima parte dell’aorta ascendente: può infatti accadere che, col passare degli anni, la porzione del vaso che si trova a valle della riparazione inizi a dilatarsi pericolosamente, rischiando a sua volta di rompersi”, ricorda Castiglioni. “In questi casi è necessario un intervento chirurgico molto delicato, che prevede l’apertura della cavità toracica e la sostituzione del tratto di aorta malato con una protesi sintetica. La procedura comporta un altissimo rischio di mortalità post-operatoria: i pazienti, tra l’altro, possono subire importanti problemi neurologici, come ictus e coma, proprio perché dall’arco aortico partono i vasi carotidei che portano sangue al cervello”.
Per superare questa impasse nel trattamento dell’aneurisma dell’arco aortico i medici del San Raffaele hanno messo a punto una nuova tecnica operatoria che riduce in modo significativo i rischi. “L’intervento prevede una prima fase di chirurgia vascolare, che stacca e reimpianta le due carotidi dirette al cervello, e poi una seconda fase di cardiochirurgia, in cui s’impianta un’endoprotesi biocompatibile all’interno dell’aorta discendente e poi la protesi vera e propria, al posto del vaso ascendente”, conclude Castiglioni. “Con questa tecnica, unica al mondo, siamo riusciti a minimizzare i rischi neurologici riducendo la mortalità dal 15 all’ 1-2%”.

MEGLIO OPERARSI AL POMERIGGIO

Il buon esito di un intervento al cuore non dipende solo dalla gravità del paziente e dall’esperienza del cardiochirurgo: conta perfino l’orario in cui si finisce sotto i ferri. Lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet dall’équipe del cardiologo David Montaigne dell’Università di Lille, in Francia.
I ricercatori hanno preso in esame quasi 600 persone che erano state sottoposte a un intervento a cuore aperto, in gran parte dei casi per la sostituzione di una valvola cardiaca: dopo un periodo di osservazione di 500 giorni, è emerso che i pazienti operati nel pomeriggio hanno un rischio di sviluppare eventi avversi che è dimezzato rispetto a quello dei pazienti operati al mattino. La scoperta è stata poi confermata da una sperimentazione ad hoc, condotta su 88 persone che dovevano essere operate per problemi valvolari: quelle sottoposte all’intervento nel pomeriggio hanno mostrato un minore danno al tessuto cardiaco. La spiegazione, secondo gli esperti, sarebbe da ricercare nei geni che regolano il nostro orologio biologico: la loro azione, infatti, favorirebbe la riparazione del cuore nelle ore pomeridiane.

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